Musulmani e cristiani pregano per la pace

Società | 20 novembre 2015
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Centinaia di persone a Palermo hanno raccolto l'appello dell'Imam della moschea sunnita di piazza Gran Cancelliere, Mustafà Boulaalam, che ha invitato la comunità islamica e cristiana del capoluogo siciliano a manifestare con un sit-in per dire no al terrorismo, a una settimana dalla strage di Parigi. In piazza Castelnuovo sventolano le bandiere arcobaleno, ci sono cartelli e striscioni. Uno in inglese recita «Islam is not Isis» e a reggerlo sono alcuni giovani ragazzi musulmani d'origine e per credo ma palermitani d'adozione. Achraf ha 20 anni, è nato a Casablanca ma da quattro anni vive a Palermo e dice: «Siamo qui per dire che l'Islam non è l'Isis. Non è giusto uccidere in nome di Dio. Per me i terroristi dell'Islam non sono fedeli. Islam significa pace». In piazza anche il missionario laico Biagio Conte, alcuni sindacalisti e l'Imam Mustafà Boulaalam.  «Ringrazio chi ha raccolto il nostro appello - dice Boulaalam - Non tutti gli islamici sono terroristi. Il terrorismo non ha nulla a che fare con l'Islam. C'è dolore per quello che è successo a Parigi ma anche in altre parti del mondo: in Kenya e in Siria. I musulmani sono i primi ad essere colpiti dall'Isis. La maggioranza dei musulmani residenti a Palermo è arrabbiata, ha paura di mandare i bambini a scuola, meno fedeli vengono in moschea. Sappiamo che ci sono alcuni giovani musulmani che sono caduti nel terrorismo: sono giovani di cui l'Isis si è approfittato».  Biagio Conte, fondatore della missione Speranza e Carità che a Palermo dà ospitalità a poveri, senza tetto e migranti, dice: «Siamo tutti fratelli e rispondiamo alla violenza con la preghiera. Bisogna convertire ogni strumento di morte in strumento di pace: alla violenza rispondiamo con la preghiera». In piazza anche i rappresentati della comunità cattolica palermitana. Durante la manifestazione è stato osservato un momento di preghiera interreligioso per tutte le vittime del terrorismo. Gli islamici hanno recitato una preghiera in arabo, i cattolici il Padre nostro.
Anche a Catania i musulmani questo pomeriggio hanno pregato per la pace nella Moschea della Misericordia, la più grande della Sicilia, in ricordo dei Caduti della I Guerra Mondiale e in occasione dei 201 anni dalla fondazione dell'arma dei Carabinieri. L'incontro è stato anche occasione per ricordare le vittime innocenti degli attentati di Parigi e per chiedere la pace e la fratellanza. La manifestazione era organizzata da mesi dall'Associazione nazionale carabinieri, dalla Comunità islamica di Sicilia e della Lega dei musulmani europei ma i recenti fatti di Parigi ne hanno fatto un momento di preghiera e di riflessione contro tutte le guerre. A prendere la parola sono stati, tra gli altri, il presidente della Comunita islamica di Sicilia e Imam della moschea. Keith Abdelhafid, il portavoce della Comunità di Sant'Egidio in Sicilia, Emiliano Abramo, il presidente della della Lega dei musulmani europei, Alfredo Maiolese ed il vicario episcopale per la cultura monsignor Gaetano Zito. «Siamo ancora sconvolti - ha detto Abdelhafid - da quanto successo in Francia venerdì scorso e la nostra condanna è netta, inequivocabile. Niente, neppure l'ingiustizia subita potrà mai giustificare l'accaduto. Su tutte le vittime la nostra preghiera e le nostre reali condoglianze alle famiglie. Ma se la reazione dovesse esse un'altra guerra ecco che saranno stati i terroristi ad averla vinta». Zito ha detto: «La preghiera è il presupposto di base per comprendere la dignità di sè stessi e degli altri perchè nella preghiera la relazione con Dio determina immediatamente un modi di relazionarsi con gli altri indipendentemente da cultura, razza, religione». Maiolese ha continuato: «Quando abbiamo pensato tempo fa di ricordare i morti della Prima Guerra Mondiale già c'era in corso una guerra ma oggi la guerra non è più un fatto straordinario. Purtroppo tutti i giorni ci sono guerre, in Siria, Palestina, Afghanistan e Iraq e oggi si sta trasferendo anche in Europa. Dopo i fatti di Parigi tutti quanti dobbiamo batterci per la pace»

ROMA, MILANO, PARMA: I BARBARI 

HANNO INFRANTO LA LEGGE DI DIO 

 «Nessuno ha il diritto di violare i diritti della persona. Oggi dopo mesi di inaudita violenza, dopo stragi perpetrate da una organizzazione terroristica il cui nome non voglio pronunciare in questo luogo sacro, queste persone dovranno rispondere davanti a Dio dei loro atti, l'ultima consumata in diretta tv nel cuore dell'Europa. Erano nati lì e hanno ucciso 128 persone». Sono queste solo alcune delle parole pronunciate dall'Imam Kamel Layachi a Parma. La comunità islamica della città emiliana ha infatti deciso di aprire la sua sala di preghiere alla cittadinanza e alle autorità locali per testimoniare il proprio «no» al terrorismo.  «Oggi vorrei ricordare, per l'esempio che è stato, Valeria Solesin - ha detto l'Imam -, che ha dato la sua vita allo studio e al lavoro umanitario. È stata uccisa ingiustamente da questi barbari che hanno infranto la legge di Dio. Allah è grande ed è più grande della loro malvagità, della loro barbarie e dei loro crimini. Hanno offeso Dio e noi tutti, musulmani e non musulmani».  «Noi musulmani siamo chiamati a una scelta di campo e alla chiarezza - ha proseguito l'Imam (arrivato da Treviso per la momentanea assenza del capo spirituale della comunità parmigiana) - Oggi siamo chiamati a schierarci contro la barbarie e a favore della vita a fianco dei nostri cittadini e al fianco delle nostre istituzioni. Dobbiamo schierarci coi giusti e vigilare affinchè la nostra comunità rimanga immune da questa barbarie. Ai giovani musulmani va l'appello alla prudenza e all'equilibrio: avete la fortuna di vivere in un paese che riconosce la libertà di culto: fatene buon uso». L'Imam si è rivolto anche all'universo femminile musulmano. «A Saint-Denis una donna si è fatta esplodere e noi, lo ripeto, condanniamo queste cose - ha sottolineato Kamel Layachi - Voi, sorelle, insegnate con il vostro esempio, la vostra sensibilità, il vostro amore infinito ai figli di questa comunità il rispetto degli altri, anche nell'uso dei social network». Infine la citazione del Corano. «Il Profeta disse: 'Aiuta tuo fratello, sia che faccia il bene o faccia il male. Lo dobbiamo aiutare a fare il male?, gli chiesero i seguaci. Impedendogli di farlo, rispose il nostro amato Profeta». Analogo appello è stato lanciato dagli Imam di Segrate, Roma e in tutte le città italiane dove vivono musulmani.

 ASSEMBLEA NELLA GRANDE MOSCHEA 

DI PARIGI:  ISLAM È PACE NON TERRORE 

 Poliziotti con giubbotti antiproiettile, picchetti di militari, perquisizioni minuziose di chiunque cerchi di avvicinarsi. La Grande Moschea di Parigi è blindata per questa prima preghiera del venerdì dopo gli attentati islamisti, che il rettore Dalid Boubakeur ha voluto trasformare in vibrante condanna del terrore e celebrazione del vivere insieme. Il «grande raduno» inizialmente previsto è stato annullato, in linea con l'ordinanza della prefettura che vieta le manifestazioni pubbliche nelle strade fino a domenica, ma i fedeli accorrono comunque numerosi, intenzionati a rimarcare il divario tra la «logica di morte» dei jihadisti e «il vero messaggio del Corano, che dice che non bisogna uccidere, che chi uccide anche una sola persona uccide l'intera umanità». Nella sua predica, l'imam ha un pensiero per le vittime «di questa barbarie» e le loro famiglie, rivolge una preghiera perchè riescano a superare «questo momento tragico». Ma parla anche ai radicalizzati, alle persone tentate dal terrorismo: «Che Allah indichi loro la via del vero Islam, dell'Islam che è pace», dice in francese, intonando poi un'invocazione in arabo. «Avete apprezzato le sue parole?», chiede l'ANSA ad un uomo all'uscita della funzione. «Certo che le abbiamo apprezzate. È un messaggio di unità, chi non apprezza un messaggio di unità - risponde lui senza esitazioni -. C'era molta attesa per quello che l'imam avrebbe detto, il fatto che ci siano così tanti giornalisti qui lo prova, perchè la Grande moschea di Parigi è un luogo importante, un simbolo». Un luogo da cui oggi tutti vogliono inviare lo stesso messaggio: gli attentatori di venerdì «non hanno niente a che fare con l'Islam» e con i milioni di fedeli che lo praticano pacificamente in Francia. «Sono solo dei ragazzi ignoranti - li condanna Soraya, studentessa ventitreenne - a cui hanno detto che quello è l'Islam, e che se faranno la jihad andranno in paradiso. Così fanno queste cose e pensano di andare in paradiso, ma non hanno capito niente». La determinazione a creare una distanza risponde anche alla paura delle generalizzazioni, di una stigmatizzazione diffusa. «Affibbiare a un'intera comunità una colpa del del genere è un crimine, un reato a sua volta», commenta Rachid, incontrato all'interno della libreria specializzata in testi religiosi di fronte all'ingresso della moschea. «Noi siamo le prime vittime di questa situazione, perchè gli altri non si fidano più di noi, in quanto musulmani», dice una ragazza, abiti occidentali e rossetto color mattone, ammettendo di temere un riaccendersi della retorica islamofoba. «Mia cognata porta il velo, e ieri sera quando è scesa dalla sua macchina è stata fermata da due ragazzi e si è sentita insultare, spintonare. Solo per il suo aspetto - racconta poco più in là un uomo, giacca scura e cravatta griga, davanti a uno dei numerosi capannelli di videocamere -. Anche questo è sbagliato e ingiusto».
 di Alida Federico

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