Misure antimafia attuali ma ora serve aggiornare tecniche e strategie

L'analisi | 25 luglio 2024
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L’intervento di Emilio Miceli su questo sito offre stimoli alla riflessione e chiede l’assunzione di una responsabilità collettiva nell’azione antimafia, a tutti i livelli, sociale, politico e istituzionale.
L‘antimafia è un patrimonio ideale che appartiene alla coscienza democratica del Paese. Vengono in mente le parole di Pio La Torre: “Noi concepiamo la lotta alla mafia come un aspetto della più generale battaglia di risanamento e rinnovamento democratico della società italiana”. Ciò è avvenuto grazie all’azione della società civile, di partiti, sindacati e enti del terzo settore, che hanno dato vita ad associazioni, comitati, cooperative e gruppi informali che, da anni, operano su tutto il territorio nazionale. Dal 1982, inoltre, l’Italia dispone di un apparato normativo e della capacità di contrasto, che ne consegue, ritenute un’eccellenza a livello internazionale.
Oggi, l’antimafia è debole, perché è divisa, talvolta silente ed è assente dal dibattito pubblico, tranne in occasione delle ricorrenze dei tragici avvenimento che hanno segnato la sua storia repubblicana: dalla strage di Portella a quelle che hanno insanguinato l’Italia tra il ’92 e il ’93. Oppure, quando viene condotta una brillante operazione di contrasto e repressione da parte di magistratura e forze di polizia o quando vengono applicate le misure di prevenzione, i sequestri e le confische. In più, le manifestazioni per ricordare le vittime innocenti uccise dalla mafia diventano occasione di divisione e di polemica, invece di essere il momento dell’incontro e del confronto, quando non sono ridotte a mere esibizioni di autorità in cerca di consenso o per rivendicare stima e amicizia mai nutrite.
Negli ultimi trent’anni, l’antimafia si è alimentata di cronaca nera (i delitti) e giudiziaria (le pene), perdendo di vista il fenomeno di classi dirigenti e il sistema di potere, che ne deriva e riducendo, spesso, la sua azione alla, pur legittima, difesa dei principi di legalità. Questo approccio ha, di fatto, indebolito la capacità di analisi e di proposta politica. L’antimafia ha smarrito il senso e, spesso, si domanda cosa sia diventata oggi la mafia, senza riuscire a dare risposte soddisfacenti.
Come dimostra l’analisi prodotta dalla Relazione di minoranza della Commissione Antimafia del 1976 e come descritto nell’art. 416 bis della legge Rognoni-La Torre, obiettivo della mafia era, è e sempre sarà l’illecito arricchimento, attraverso l’acquisizione di appalti e concessioni. Certo la mafia si è evoluta e si continua ad evolvere molto rapidamente, affinando tecniche e strumenti, tessendo relazioni e stringendo accordi utili all’obiettivo, ma la finalità, la sua ragion d’essere resta l’acquisizione illecita di denaro pubblico.
Non aver saputo, potuto o voluto aggiornare l’analisi del fenomeno mafioso e dei relativi strumenti di contrasto e prevenzione, non ha consentito di adeguarli, in maniera efficace, all’evoluzione del fenomeno stesso.
Allo stesso tempo, il sistema di potere politico-mafioso non ha mai smesso di lavorare per indebolire l’antimafia, fatta di persone e norme: screditando amministratori onesti, oggetto di provvedimenti giudiziari, rivelatisi infondati o accreditando in ruoli istituzionali persone organiche al sistema o minacciando giornalisti, che non si lasciavano ammaliare.
Ha ragione Emilio quando scrive: “Il cuore dell’assalto è la ‘specialità’ della legge La Torre. È un attacco politico a tutto tondo e con questo attacco dovremo misurarci nei prossimi mesi”. Non ripeto quanto Emilio ha ben descritto.
In questi anni sono emerse alcune criticità, sia sul fronte normativo che degli strumenti.
Le norme devono essere adeguate alle nuove fattispecie di illecito arricchimento, dalle transazioni globali alle criptovalute, definendo strumenti efficaci, anche in termini di capacità professionali e di risorse ed è necessaria un’azione coordinata a livello internazionale – la nuova Direttiva europea sulla confisca va in questa direzione e meriterebbe di essere portata in sede Onu.
Le misure di prevenzione sono oggetto di critica, in generale, rivolte all’operato delle sezioni misure di prevenzione dei Tribunali.
Lo scenario non è confortante: da un lato, l’inchiesta che ha interessato la sezione delle misure di prevenzione di Palermo, che ha portato alla condanna della sua presidente, l’ex giudice Silvana Saguto, ha gettato discredito sull’azione della magistratura; dall’altro, la storica difficoltà dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc) a curare adeguatamente il patrimonio dei beni e, in particolare, il comparto aziendale; tutto ciò con riflessi negativi sull’azione dello Stato. A questo si aggiungono alcuni episodi riguardanti aziende confiscate a persone “prevenute”, assolte dall’accusa di appartenenza alla mafia, di cui si sta occupando la Corte di Giustizia e, a riguardo, una sentenza è attesa.
Il dibattito pubblico è stimolato dai media, dalla pubblicazione di articoli e libri a sostegno della revisione delle norme vigenti.
Il cosiddetto caso Saguto ha prodotto, come effetto collaterale, la caduta delle misure di prevenzione, forse risultato di prudenza e cautela da parte dei magistrati.
Allo stesso tempo, è immutato l’impegno di sindaci, amministratori locali ed enti del terzo settore nel riutilizzo dei beni confiscati, a fronte del taglio dei fondi previsti dal Pnrr a sostegno del loro recupero.
Vi è il rischio di snaturare le misure di prevenzione, mentre sarebbe opportuno promuovere iniziative politiche per ribadire il ruolo fondamentale di queste misure e parlamentari volte a risolvere le criticità esistenti e fornire strumenti più efficienti alla lotta dello Stato contro la mafia.
Questi alcuni ambiti d’intervento, coerenti col processo di recepimento della Direttiva europea:
• definizione della strategia nazionale sul recupero dei beni per orientare le azioni riguardanti le indagini finanziarie, il congelamento e la confisca, la gestione e la destinazione finale dei beni strumentali, dei proventi o dei beni rilevanti
• costituzione di una banca dati unica, utile a classificare e stimare il patrimonio dei beni confiscati
• ridurre drasticamente i tempi di amministrazione giudiziaria, per favorire l’affidamento rapido
• superare i limiti dell’Anbsc, attraverso la sua riorganizzazione
• adeguare gli amministratori giudiziari ai compiti di valorizzazione e sviluppo, in particolare nella gestione delle aziende
Questo quadro sommario merita ulteriori approfondimenti, al fine di definire le iniziative volte a rafforzare l’azione di contrasto e non a indebolirla, rendendo più efficaci le misure di prevenzione e, di conseguenza, recuperando la credibilità dello Stato. Questo può avvenire anche grazie al rilancio dell’azione del movimento antimafia, cui tutti i soggetti sono chiamati a contribuire con spirito unitario.
 di Franco La Torre

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