Misteri di Sicilia: l'economia cresce, i disoccupati pure

Economia | 27 novembre 2016
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Abbiamo assistito a un ben strano spettacolo nel corso della presentazione siciliana del Rapporto Svimez. Da un lato la serietà con cui Riccardo Padovani e Peppino Provenzano- rispettivamente direttore e vicedirettore dell'Istituto di via Pinciana- e il prorettore dell' Università Fabio Mazzola presentavano dati e ragionamenti che evidenziano le dinamiche positive di movimento ma anche la complessità e la contraddittorietà della situazione siciliana; dall'altro lato il presidente Crocetta intento, novello Alice nel paese delle meraviglie, all'esaltazione dell'operato del suo governo. Eppure, l'occasione avrebbe potuto aprire una prospettiva nuova e non convenzionale sulla reale situazione economica e sociale dell'isola e sulle cose da fare . 

I dati della Svimez parlano chiaro: nel 2015 l'economia del Meridione (nel complesso delle otto regioni considerate) è cresciuta dell'1%, interrompendo sette anni di contrazioni consecutive che avevano prodotto una perdita complessiva di oltre tredici punti. Ciò è avvenuto per diversi fattori, alcuni di ordine congiunturale altri strutturali, che il Rapporto esamina dettagliatamente. In tale contesto la Sicilia ha fatto rilevare nel 2015 un incremento dell'1,5% significativamente più elevato di quello realizzato nell'anno dalle altre due grandi regioni dell'area, Campania e Puglia. “Non si può tuttavia non ricordare”, dice la Svimez, che “nel complesso del precedente settennio 2008-2014 la recessione aveva colpito pesantemente l'economia della Sicilia con un'intensità (-13,1%) in linea con quella media dell'area meridionale (-13,2%) ,. quasi doppia rispetto alla caduta produttiva del Centro-Nord”. Aggiungo che il dato siciliano di caduta del PIL nel settennio è identico a quello della regione del Nord Ovest che ha pagato il prezzo più alto alla crisi, il Piemonte (-13,2%), a sottolineare ancora una volta la dimensione nazionale delle questioni che il paese è chiamato ad affrontare. Che significa questo dato, che peraltro le recenti previsioni regionalizzate della Banca d'Italia considerano non ripetibile nel 2016? 


Vuol dire semplicemente che abbiamo cominciato a risalire lentamente dal fondo del pozzo in cui eravamo precipitati. La risalita è lenta, i segnali di ripartenza sono concentrati solo in alcuni settori, ma purtroppo l'inusitata lunghezza della crisi ha provocato un terremoto sociale dalle conseguenze potenzialmente devastanti. Vediamo cos'è avvenuto nel sistema produttivo. Afferma Padovani: “ emerge un impoverimento del modello di specializzazione del Mezzogiorno ...derivato essenzialmente dalla crisi dei sistemi locali di piccola impresa nella filiera della pelle e dei mobili, Di converso i vantaggi comparati si sono progressivamente concentrati nell'industria alimentare che resta l'unico settore di vantaggio comparato basato su sistemi locali di piccola impresa...” L'analisi è corretta; aggiungo solo che finalmente in Italia, con Industria 4.0, si è tornato a parlare di politica industriale. Tuttavia gli interventi inseriti nel disegno di legge di bilancio in discussione al Parlamento hanno quasi tutti carattere di incentivo fiscale (super-ammortamento, iperammortamento, scambio salario/produttività): ciò li rende scarsamente utilizzabili in un'area a ritardo di sviluppo nella quale abbisognano invece interventi verticali diretti della mano pubblica, in particolare sulle competenze umane e sulla promozione della ricerca applicata che rappresentano i principali driver dell'innovazione. Di ciò non vi è traccia nel dibattito regionale. Drammatiche sono le evidenze sul versante sociale: la crisi lascia la nostra società più povera e più diseguale.


 La Sicilia è ultima in Europa per tasso di occupazione (43,4% a fronte del 70,0% dell'UE a 28; ancor peggio tra le donne 30,5% contro 64,2%) e questo dato è reso ancor più pesante dal concentrarsi della disoccupazione nelle classi d'età più giovani, dalla crescita spropositata dei voucher che tendono ad occupare per intero l'area del lavoro precario e occasionale abbassandone drasticamente la “qualità”, dall'effetto praticamente nullo della decontribuzione. In questo mi permetto di dissentire parzialmente dalla valutazione dell'amico Provenzano il quale, pur evidenziando lo scarso effetto dello strumento nel Mezzogiorno, si schiera a favore di un provvedimento di decontribuzione specifica per il Sud. Se infatti, come tutti concordano, la crisi è di domanda, l'effetto della decontribuzione differenziata sarà, al massimo, di far emergere lavoro nero o “grigio”. Cosa di per sé positiva, ma che non crea nuova occupazione; per favorire la quale bisogna invece attivare quote consistenti di domanda pubblica.


 Devastante è l'immagine della condizione giovanile che emerge dal Rapporto: è crollata la partecipazione universitaria, tra il 2002 e il 2014 sono andati via dalla Sicilia 103.000 giovani tra i 15 e i 34 anni di cui 35.000 laureati, il saldo migratorio netto (emigrati-immigrati) è negativo per oltre 144.000 unità. Insomma dall'isola scappano i giovani e la nostra diventa una società sempre più vecchia. La Svimez ipotizza l'esistenza di una questione demografica che, con il rovesciamento dell “piramide dell'età”, degrada verso una società con una popolazione minore e più invecchiata. Per la prima volta nella storia d'Italia nel Sud si registrano meno nascite che nel resto del paese. La progressione è impressionante: nel 1980 il numero di figli medi per donna era in Sicilia di 2,22 e in Italia del 1,68; nel 2015 siamo a 1,36 in Sicilia a fronte di 1,37. Basti appena ricordare che il tasso naturale di sostituzione della popolazione è di 2 figli per donna per comprendere come ci si trovi di fronte ad una tendenza che nell'arco dei prossimi cinquantanni muterà profondamente la composizione della popolazione siciliana e che gli immigrati, a differenza di altre regioni, non sembrano in grado di invertire. 


La somma di crisi economica, alti tassi di disoccupazione, tendenze demografiche ha prodotto un meccanismo perverso che scarica sui giovani gli effetti più pericolosi e desolanti. Sono noti i dati sulla povertà assoluta e sul rischio di povertà, ma mi ha colpito la correlazione tra classi di età e rischio povertà. Solo i ciechi non vi vedrebbero il detonatore di una crisi sociale esplosiva: nei nuclei in cui il capofamiglia si colloca tra i 20 e i 29 anni di età il rischio di povertà in Sicilia si impenna al 70,19% (Mezzogiorno 58,02%, Centro Nord 20,14%). Come si fa a non vedere l'esistenza di una gigantesca questione giovanile che deve diventare la priorità delle priorità della politica siciliana? Anche per questo è ancor più indispensabile la rapida approvazione della legge di iniziativa popolare presentato dal Centro Pio la Torre con un nutrito cartello di associazioni contro la povertà assoluta che giace da mesi all'Ars. Invece il buon Crocetta, nel suo sermone all'insegna di “tutto va bene madama la marchesa”, è tornato a proporre l'intervento di finanziamento dei cantieri di lavoro. Per giunta, in un clima che , subito dopo il 4 dicembre, saprà subito di campagna elettorale per le prossime elezioni regionali. Il dio della politica acceca quelli che vuol perdere!

 di Franco Garufi

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