Mes o non Mes, cresce il pericolo della deriva autoritaria

Società | 16 aprile 2020
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“..Facendo crollare il vecchio ordine imperniato sul monopolio economico dei popoli anglosassoni, miriamo ad aprire a tutte le Nazioni la possibilità di una più equa distribuzione delle risorse del mondo. Con il nostro esempio diamo un modello pratico di quelle riforme sociali del quale tutti i popoli possano spontaneamente avvantaggiarsi……Se il problema è impostato così noi possiamo benissimo pronunciarci in favore di alcuni principi generali. E tra questi: 1) il riconoscimento del diritto che ciascun popolo ha ad organizzarsi e governarsi a proprio modo; 2) il riconoscimento del diritto che ciascun popolo ha a partecipare ad un'equa distribuzione delle risorse del mondo; 3) il riconoscimento del diritto che ciascun popolo ha ad una legislazione che assicuri i principi della giustizia sociale a parità di condizioni con gli altri popoli…… Alla plutocrazia anglo-americana che minaccia di asservire l'Europa agli interessi di un'egemonia economica, noi opponiamo il concetto di un'equa e libera distribuzione e utilizzazione delle risorse, delle energie produttive, delle vie di comunicazioni del mondo”.



Iniziare un articolo con una citazione senza riferimenti bibliografici è una pratica non proprio corretta. Lo sappiamo e ce ne scusiamo immediatamente con i nostri lettori. Visti gli “strani giorni” che stiamo vivendo concedeteci questo inizio inusuale che vi chiediamo di interpretare alla stregua di un indovinello di Jessica Fletcher (“la signora in giallo” per intenderci); invece di chiedervi “chi è l’assassino?”, vi chiediamo “chi è l’autore?”… Avete già indovinato? In ogni caso seguiteci fino alla fine del nostro ragionamento e vi mostreremo qual è la vera posta in gioco.



Dal tardo pomeriggio del venerdì di passione un esercito di macroeconomisti si aggira tra cucina e salotto in milioni di case del Bel paese. Con una di quelle strambate che ci hanno fatto un grande popolo di navigatori, l'Italia si interroga se sia meglio il MES o l'Eurobond, lasciando per una volta da parte le tribune calcistiche sul modulo migliore per vincere il campionato. Alcuni, tra i più nostalgici del campionato, si saranno chiesti perché questo trambusto su MES(SI?): “Forse il prossimo anno passerà all'Inter???”. Qualche vecchio alcolista si sarà forse interrogato meditabondo sul motivo di tanta discussione sul (PUNT&) MES, l'antico vermouth italiano “ conosciuto in tutto il mondo per il suo giusto equilibrio tra l'intrigante nota agrumata e l'amaro della china.” Tuttavia per la grande maggioranza l'argomento del MES è diventato centrale nelle discussioni serali di un paese ormai da quarantacinque giorni costretto in un pesantissimo lockdown.


Il tema del MES è diventato di grandissima attualità almeno da quando i due intemerati paladini del sovranismo hanno accusato di tradimento “l'avvocato degli italiani” e costui, presidente del Consiglio per grazia di Grillo e virtù agostana di Renzi, ha risposto con un proclama a reti semi unificate, da far invidia a Putin Da quel momento il dibattito pubblico si è trasformato nel botta e risposta tra le tifoserie delle curve di SanSiro.


“Il MES è di destra mentre gli eurobond sono di sinistra, perché li vuole il sindacato” …


...“Avanti tutta contro il pensiero unico neoliberista che ha portato alla rovina l'ambiente che ora finalmente il virus sta salvando: non avete visto le paperelle che facevano passeggiare i piccolini sulla pista dell'aeroporto di Catania?”…


… “Il MES è nostro, non avete sentito che la capa di Fratelli d'Italia ha solennemente dichiarato che lei nel 2010 l'ha approvato, ma non ha capito di cosa si trattava? …


…“L’Europa ci deve dare i soldi in nome della “patria e della costituzione, poi saremo noi a decidere come spenderli”…


…“Il pacchetto condiviso dall'Eurogruppo è una trappola. E’ un grande bluff”..


Cori da stadio di questo tipo continuano a alternarsi sulle televisioni, sulla stampa e inondano i social media. In questo quadro di certezze tanto granitiche quanto arbitrarie, in gran parte derivate dalla completa abolizione del “tempo della riflessione” (come si evince da analisi come quella proposta dalla BBC sul modo in cui stiamo costruendo a livello planetario le nostre opinioni) abbiamo cercato di capire di cosa stiamo parlando esattamente, dato che si tratta di questioni che avranno un peso decisivo sul futuro di tutti noi. Noi per ricostruire la vicenda del MES abbiamo scelto di utilizzare una fonte di indubbio prestigio, il portale della Banca d'Italia, anziché basarci sulle nostre convinzioni personali.


Come si legge nelle conclusioni del Consiglio europeo del 17 dicembre 2010, nel pieno della crisi dei debiti sovrani, in quella sede si decise di “modificare il trattato dell'Unione per permettere agli Stati membri della zona euro di istituire un meccanismo permanente volto a salvaguardare la stabilità finanziaria dell'intera zona euro. Tale meccanismo sostituirà il fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) e il meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria, che resteranno in vigore fino al giugno 2013... detto meccanismo è destinato a salvaguardare la stabilità finanziaria dell'intera zona euro”. Assunta la decisione nel dicembre 2010, il Meccanismo europeo di stabilità (MES in italiano, ESM in inglese - European Stability Mechanism) è stato formalmente istituito mediante un trattato intergovernativo, dunque al di fuori del quadro giuridico della UE, nel 2012. La sua funzione fondamentale è concedere, sotto precise condizioni, assistenza finanziaria ai paesi membri che, pur avendo un debito pubblico sostenibile, trovino temporanee difficoltà nel finanziarsi sul mercato. Quindi, per mettere i punti fermi sulla vicenda, la decisione di creare il meccanismo fu assunta quando era presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, mentre il trattato fu firmato dal successivo governo Monti. Sfortunatamente la governance europea è costruita sull'assunto che i paesi abbiano governi stabili, come avviene nella maggior parte del continente, e non può tenere conto dell'instabilità della politica italiana.


La polemica su chi ha approvato il MES è dunque di lana caprina, e quando invade i luoghi della comunicazione istituzionale, com’è stato con l’infausto attacco di Conte contro le opposizioni e ancor di più con la pesante sgrammaticatura istituzionale rappresentata dalla nota stampa di Palazzo Chigi del 13 aprile, sembra contravvenire al principio inviolabile secondo cui in democrazia “la forma è sostanza”. Simili accadimenti mettono in mostra una diffusa irresponsabilità politica nei confronti di temi esiziali, che sembra caratterizzare tanto l’opposizione, quanto una parte del governo.

Nei vari stadi di costruzione dello strumento sono stati governi di colore diverso a condurre le trattative e le diverse maggioranze protempore hanno approvato; il MES è stato più volte sottoposto a modifiche in relazione al mutamento della situazione economica in cui era nato. Nella ricostruzione di questa genesi dinamica è chiaro, anche dopo l’ultima trattativa sulla sua riforma, che in nessuno dei testi in discussione si parla esplicitamente di ristrutturazione immediata del debito sovrano. Va tuttavia chiarito che nella sua ultima stesura il MES può decidere di accordare assistenza finanziaria a un Paese in difficoltà chiedendo che una parte del suo debito venga ristrutturata, ma non si tratta di un automatismo, come chiedevano alcuni Paesi del Nord Europa, bensì di una decisione sulla base di una analisi di sostenibilità del debito condotta congiuntamente dalla Commissione europea e dal board del MES. In poche parole se il debito veniva giudicato insostenibile, si sarebbe potuta chiedere la ristrutturazione, ma per decisioni di questo tipo è necessaria la maggioranza qualificata dell'85% del capitale. L'Italia, avendo il 17,7%, ha dunque diritto di veto. Ciò equivale a dire che nessuno potrebbe imporre la ristrutturazione del debito italiano senza il consenso dell'Italia. Fu proprio questa struttura condizionale del MES a scatenare lo scontro parlamentare alla fine dell'anno scorso, con Cinque stelle di nuovo su posizioni equivoche e la Lega all’attacco all’arma bianca.


Come ha chiarito Romano Prodi l'emergenza sanitaria in corso ha però profondamente modificato la natura dello strumento: “il MES è uno strumento nato con condizionamenti allo scopo di intervenire nei Paesi in crisi, come dire ti do i soldi ma sei in libertà vigilata. Giustamente l'Italia ha detto “questo non lo voglio”. Ma nell'ultima riunione si è ottenuto il 'discondizionamento', cioè il fondo europeo non è più condizionato. Perciò il paese che vorrà usarlo per finalità connesse all'emergenza sanitaria potrà farlo a tassi bassissimi e senza condizionalità”. In questo nuovo scenario alcuni paesi hanno dichiarato di essere interessati, altri no. Se l'Italia non vuole il MES ha, dunque, facoltà di non usarlo e trovare una soluzione alternativa per recuperare i circa 36 miliardi di euro che oggi potrebbero essere disponibili grazie al MES.

Alla luce di quanto ricostruito fin qui, la dissennata polemica politica in corso in Italia ci sembra non avere alcun rapporto con la realtà. Il tema del MES è usato cinicamente per fare battaglie tattiche in un momento tragico per il nostro paese, con il solo risultato di indebolire la nostra posizione negoziale in Europa. La stessa cosa si può dire del dibattito sugli eurobond, di cui in realtà si parla da più di dieci anni. Da quando cioè Romano Prodi e Alberto Quadro Curzio proposero (era il 2010) la creazione di obbligazioni sovrane (denominate EUB-EuroUnionBond) garantite dalle riserve auree detenute dai paesi della zona euro (erano circa 450 miliardi di euro) una buona fetta delle quali (180 miliardi) era posseduta dall'Italia. All’epoca della proposta si ipotizzò che alla garanzia aurea si sarebbe potuta aggiungere quella basata sul pegno di azioni di società sotto controllo statale. La dotazione così creata, denominata Fondo finanziario europeo (Ffe), sarebbe stata, all’epoca, di circa 1.000 miliardi di euro, la stessa Commissione europea nel novembre 2011, suggerì che gli European bond fossero emessi congiuntamente dalle 17 nazioni della zona euro e presentò uno studio in cui si valutava la fattibilità di un'emissione comune di titoli sovrani tra gli stati membri dell'eurozona. Il reale motivo per cui non se ne fece niente fu la contrarietà della maggioranza dell'opinione pubblica tedesca che ha sempre temuto di essere costretta a pagare il conto dei cosiddetti pigs (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna) con debiti pubblici superiori al 100% del PIL. Dunque la polemica contro lo spreco dei paesi mediterranei ha rappresentato uno dei cavalli di battaglia dei sovranisti tedeschi ed olandesi e ha determinato la paralisi della politica tedesca fino all'evidente empasse in cui si trova oggi Angela Merkel.

Tuttavia in questi giorni molto si sta muovendo nella dimensione europea: Paolo Gentiloni e Thierry Breton, rispettivamente commissari europei agli affari economici ed al mercato interno, hanno proposto la creazione di un fondo europeo per gli investimenti. In una dichiarazione rilasciata il 14 aprile ad un quotidiano tedesco, il vicepresidente della Commissione, il terribile Valdis Dombrovskis, ha affermato che il fondo per la ricostruzione potrebbe essere finanziato con bonds emessi sulla base della garanzia degli stati membri. Dombrovskis ha anche indicato un possibile valore finanziario dell'operazione, che secondo Reuters potrebbe essere di 1,5 miliardi di euro, tuttavia, ha precisato che “nulla è ancora stato deciso, ma sembra possibile immaginare una simile infrastruttura finanziaria”.


Il prossimo Consiglio europeo del 23 aprile sarà quindi decisivo per quello che qualcuno ha chiamato il “debito degli innocenti”, cioè il debito nato senza alcuna responsabilità degli stati per effetto della pandemia. Di questo dovrebbe occuparsi l'opinione pubblica italiana invece di tifare per uno o l'altro degli opposti populismi, in una sorta di invereconda partita di pallone. A meno che, seguendo il vecchio adagio secondo cui “a pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca”, non si debba pensare che dietro lo scontro in corso tra i politici italiani vi sia in realtà la prossima scadenza di un'importante tornata di nomine nelle principali aziende pubbliche italiane. C'è già chi lavora per una soluzione autoritaria della crisi, basta leggere alcuni scritti che ripropongono la vecchia “Europa delle nazioni”. Antonio Rapisarda sul numero di Aprile de Il Primato Nazionale riflette così sulle conseguenze politiche della pandemia di Sarcov2:


“La lezione da trarre? È chiaro – come risulta dalla natura del Covid-19 – che se alcuni pericoli nel contesto odierno davvero «non conoscono confini», gli Stati da soli non possono bastare ad assicurare ai cittadini la protezione necessaria. Nel momento in cui però la risposta a minacce di questo tipo inizia ad attivare il “sano dubbio” sulla tenuta e le garanzie dell’economia interdipendente…….ecco che emerge la necessità di plasmare ciò che l’europeismo “nazionale” sostiene fin dagli anni ‘50: un continente indipendente. O, per dirla con Massimo Fini, un’Europa «unita, neutrale, armata, nucleare e autarchica»”


Secondo Rapisarda possiamo “oggettivamente ribattezzare il Covid-19 il virus del Wto” e in questo senso la cura politica alla pandemia non potrà certo provenire dall’Unione europea. L’UE, come istituzione, infatti “avrebbe dovuto porsi come attore protagonista a tutela dell’integrità dei suoi appartenenti sotto attacco della pandemia ma ha cassato decisamente la grande occasione con la storia.” A proposito della disafatta dell’Europa Rapisarda cita le parole di Massimo Cacciari, “consapevole” a detta del giornalista, “che l’assassino non è certo il coronavirus sia ben chiaro: hanno cominciato a massacrare l’Europa vent’anni fa quando hanno gestito la moneta unica come fosse il fine e non l’inizio.” Le “manifestazioni di cinico egoismo” e i “tentativi di sciacallaggio” di questo mese sarebbero dunque solo la fine di un lungo percorso di collasso dell’Unione. Ci sia consentita a riguardo solo una breve nota di commento per ricordare che la riflessione sulla “malattia dell’Europa” pertiene, da almeno un ventennio, ad una cultura politica ben lontana da quella del giornalista Rapisarda, per citarne solo uno dei contributi basti pensare alla riflessione sul “Suicidio dell’Europa” pubblicata nel 2005 da Pietro Barcellona (di cui il più giovane dei due autori di questo articolo è stato l’ultimo allievo).

L’articolo di Rapisarda suggerisce che il collasso dell’Europa può essere una buona occasione per iniziare ad “immaginare di comporre una comunità di Stati proprio a partire da ciò che ha dimostrato di poter funzionare”, come ad esempio la decisione di chiudere gli spazi esterni, che va chiaramente nella direzione della difesa dei «confini europei» più volte invocata dall’ “internazionale sovranista”. Questa nuova “Europa delle Nazioni” potrebbe nascere proprio dal piano per la ripresa dall’emergenza Coronavirus “per il momento solo ventilato dalla Bce e dalla Commissione, e potrebbe essere l’occasione per un “new deal” infrastrutturale e tecnologico finanziato dal Fondo europeo degli investimenti.”


Una posizione leggermente diversa sembra essere quella di Laura Castelli, sottosegretario all’economia, che in un’intervista di qualche giorno fa a Radio anch’io dice: “oggi mi hanno chiesto di nuovo del MES, per me non è lo strumento giusto. Quindi NO MES. Alcuni lo stanno chiedendo, i Paesi sono diversi e con differenti esigenze. C’è chi lo vuole usare, chi è un paradiso fiscale e chi come noi non intende utilizzarlo per nessuna ragione. Voglio essere ancora più chiara e diretta. In Europa ci sono dei paradisi fiscali, anche se ogni tanto alcuni stati si dimenticano di far parte di questa categoria.” Il riferimento all’Olanda, il cattivo di turno dell’Unione Europea, è talmente chiaro che non andrebbe nemmeno esplicitato; la logica politica delle parole della sottosegretaria è più o meno questa: “voi fate i rigoristi sulla contabilità e noi ve la faremo pagare sulla fiscalità”.


I due interventi proposti sembrano molto distanti per toni e contenuti, ma la sottile linea che li accomuna appare chiara “il rigorismo europeo non passerà”, e sembra suggerire, a chi pensa male, che è “meglio stare fuori dell’Europa che in un’Europa senza cuore e senza politica”. Per inciso va evidenziato che in tutti e due gli interventi manca qualsiasi richiamo alla collaborazione tra i paesi europei. La collaborazione è una categoria politica ben diversa dalla solidarietà e dalla sfida, ma su questo ci sarebbe troppo da scrivere, ci basti ricordare la lezione di Elias Canetti che suona quanto mai attuale. Per Canetti “le nazioni devono quasi essere considerate come se fossero religioni. Esse hanno la tendenza ad acquistare veramente, di tempo in tempo, quella condizione. Un'attitudine in questo senso è sempre latente; in tempo di guerra le religioni nazionali si acutizzano in modo particolare”. In effetti la collaborazione tra “religioni nazionali in guerra” è quantomeno complessa da immaginare.

Che gli opposti populismi in campo stiano affilando le armi per lo scontro politico post-coronavirus? Che la posta in gioco continui ad essere la stessa che portò al veto contro la nomina di Paolo Savona a ministro dell’economia? Che ci sia all’orizzonte la contesa sulla paternità di una possibile proposta di “italexit”? Tutte ipotesi di scuola, a cui solo il tempo darà valore o no. Tuttavia il grande appeal elettorale dell’antieuropeismo e la conseguente avversione popolare per la fazione opposta sono fatti acclarati, specialmente in Italia.

Prima di concludere l’analisi del rischio politico delle due posizioni proposte ci sembra però necessario chiarire due concetti:


1) Né i virus, né le pandemie possono insegnare qualcosa. I virus scientificamente sono un gruppo di organismi, di natura non cellulare e di dimensioni submicroscopiche, incapaci di un metabolismo autonomo e perciò caratterizzati dalla vita parassitaria endocellulare obbligata, cioè non sono annoverati neanche nel regno degli esseri viventi, e Sarcov2 non è nient’altro, detto in termini molto grossolani, che un filamento di RNA che è riuscito ad adattarsi meglio di altri suoi concorrenti al suo ambiente naturale, cioè gli esseri umani.


2) Pretendere di dedurre una morale della storia partendo dall’analisi di un episodio di cui stiamo iniziando a vedere gli effetti da poco più di due mesi, corrisponde a provare di dedurre il finale di “Papillon” (il famoso film con Steve McQueen) avendone solo visto la locandina.


Partendo da queste due brevi considerazioni ci sembra di poter dire che tutte le sofisticate “teorie della storia pandemica”, che vanno dai contributi sulla necessità del decisionismo di Galli della Loggia alle farneticazioni filosofiche di Agamben, e che ultimamente spuntano come funghi a settembre, non sono nulla di più di semplici esercizi di fantasia, rispettabili senz’altro, ma tra qualche settimana non saranno di certo ricordate come pietre miliari del pensiero. In questo campo forse abbiamo da imparare qualcosa dai tedeschi. Il Comitato Etico Tedesco ha infatti pubblicato le sue linee guida ribadendo che “i responsabili politici e il pubblico in generale devono comprendere i vari scenari di conflitto in termini di problemi normativi. La loro risoluzione è un compito per la società nel suo insieme. Sarebbe contrario all'idea di base della legittimità democratica delegare le decisioni politiche alla comunità scientifica e richiedere da essa chiare istruzioni per il sistema politico. Più di ogni altra, le decisioni dolorose devono essere prese dagli organi che sono incaricati di farlo dalle persone e sono quindi investiti della responsabilità politica di tali questioni. La crisi del coronavirus è l'ora della politica democraticamente legittimata.” Un forte richiamo alla responsabilità politica delle democrazie che ci sentiamo di condividere a pieno.

In questa delicatissima situazione la mancanza di responsabilità politica combinata all’assenza di una visione realistica potrebbe facilmente determinare un diffuso uso strumentale delle analisi della pandemia. E una torsione in chiave antieuropea, che sembra dilagare anche a sinistra, rischia di diventare così un pericoloso gioco intellettualistico che affonda le sue radici direttamente nel fascismo. A dimostrazione di quanto sia viscido il terreno sui cui si gioca la partita va svelato che la citazione con cui abbiamo aperto l’articolo, e che ci auguriamo abbiate riconosciuto prima di arrivare a leggere queste righe, è tratta da un discorso1 Giuseppe Bastianini dell’aprile 1943. Giuseppe Bastianini fu il sottosegretario agli Esteri a Mussolini. Questa sola considerazione ci impone due conclusioni, che affermiamo con l’enfasi emotiva di chi ama la libertà e la democrazia.

LA NOSTRA PATRIA E’ L’EUROPA, UNA PICCOLA REGIONE DELL’UMANITA’.

SENZA EUROPA NON C’E’ DEMOCRAZIA.

1 Tratto da “Mussolini ed il fascismo” di Renzo De Felice; pagg. 1440-1443.

 di Franco e Tommaso Garufi

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