Memoria e coraggio nell'eterna sfida per la libertà

Cultura | 24 agosto 2021
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Un bambino che corre sull'erba spezza il silenzio che avvolge 7.861 lapidi a forma di croce e stelle di Davide. Due mini bandiere - una italiana, l'altra degli Stati Uniti d'America - sventolano sotto il marmo bianchissimo in cui è inciso il nome di Raymond Varnes: cittadino americano nato in Arkansas e morto in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale il 23 luglio 1943. A pochi passi da lui c'è Gerst Buyer uno dei soldati americani che ha contribuito a portare il baseball nel nostro Paese e che ha pagato con la vita il prezzo della nostra libertà lasciando negli Stati Uniti la moglie incinta.

I 77 acri (circa 311mila metri quadrati) che ospitano il Sicily-Rome American Cemetery di Nettuno, in provincia di Roma, sono un patrimonio di storie da raccontare, un'infinità di lacrime da asciugare e un universo di sogni infranti. Ma sopra ogni cosa sono un'area di autentico rispetto e riconoscimento per i cittadini americani - soldati e civili - morti durante i combattimenti in Sicilia, a Salerno, ad Anzio/Nettuno e lungo la linea Gustav.

Quello di Nettuno è uno dei 26 cimiteri militari americani amministrati e gestiti dall'ABMC (American Battle Monuments Commission) in 17 Paesi nel mondo per commemorare il servizio e il sacrificio di chi è morto nelle guerre combattute dagli Stati Uniti d'America ed è stato sepolto, per volere della famiglia d'origine, nei luoghi in cui ha combattuto. Eroi dalle grandi gesta che, come auspicato dal generale John J. Pershing, non sono state offuscate dal tempo.

"La prima cosa che colpisce di più quando si arriva in questo cimitero - spiega Melanie Resto, direttrice del Sicily-Rome American Cemetery di Nettuno - è il silenzio. Dà un fortissimo senso di pace e secondo me, più di ogni cosa, è ciò che rende il Sicily-Rome American Cemetery un posto speciale. Qui si vede il prezzo che è stato pagato per la nostra libertà. Ogni lapide ha un nome e rappresenta qualcuno che non c’è più per la tua e per la mia libertà. Questo è uno dei 6 più grandi cimiteri di cittadini americani della Seconda Guerra Mondiale al mondo e, guardando le lapidi, non si può non pensare a tutti questi ragazzi che sono venuti per dare la pace e ci hanno lasciato quel senso di pace. Tanti ci chiedono 'É aperto il parco?' E io dico sempre è un cimitero, il cimitero è aperto. I giardini sono stupendi, ma è sempre un cimitero".

Ogni lapide ha una storia: alcune sono scritte, altre da scrivere. Sulle croci degli ignoti è scritto "Known but to God" (Conosciuto a Dio). So che è in atto un progetto per dare un'identità agli sconosciuti.

"Ogni giorno onoriamo i nostri militari sconosciuti perché sappiamo che sotto quella lapide c’è una persona che ha un nome, una figlia, un compagno... Ognuno, anche se non ha il nome sulla lapide, è identificato con il nome e cognome sul muro dei dispersi. Circa 5 anni fa l’ABMC ha cominciato a lavorare con la DPAA (Defense POW / MIA Accounting Agency: un'agenzia del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti che si occupa di identificare, anche grazie al DNA, i resti degli ignoti, ndr) e finalmente c’è la possibilità per i parenti di questi ragazzi, magari di seconda o terza generazione, di scoprire cos’è successo al loro caro. Già tanti sono stati identificati non solo qui, ma in altri cimiteri americani nel mondo. Questo progetto si estende a tutti i caduti dei conflitti che hanno visto coinvolti i soldati americani".

Qual è stato il momento più emozionante che ha vissuto nel corso della sua attività professionale?

"Mi vengono in mente due momenti molto speciali. Il primo quando lavoravo in Francia al cimitero di Lorraine. Ho avuto l’opportunità di incontrare un gruppo di veterani della Seconda Guerra Mondiale che sono venuti a trovare gli amici della loro unità morti durante i combattimenti in Francia. Ci hanno raccontato la storia di quei ragazzi e non abbiamo fatto altro che piangere. Tra gli anziani giunti dagli Stati Uniti c'erano anche uomini in sedia a rotelle. Il secondo momento speciale è stato qui a Nettuno quando Papa Francesco ha celebrato la messa nel cimitero il 2 novembre 2017. Ci ha dato la possibilità di chiedere una preghiera personale e ognuno di noi gli ha stretto la mano. Le sue parole resteranno per sempre nei nostri cuori".

Come restate in contatto con i parenti delle vittime?

"Prima del Covid, ogni settimana, almeno una famiglia veniva dagli Stati Uniti per fare visita ai propri cari. A volte ci sono state anche 8 famiglie a settimana. Nel 2017 sono venute circa 166 famiglie a trovarci. Noi non abbiamo modo di cercare le famiglie, ma quando vengono a trovare i propri cari ci forniscono foto, storie e la biografia del soldato per poter fare in modo che possiamo raccontare le storie di chi non c'è più. Dopo la guerra le famiglie dei soldati o dei civili uccisi potevano scegliere se rimpatriare i propri cari a spese del Governo americano o se lasciarli dove sono morti. Il Governo americano ha promesso che, per l’eternità, manterrà il cimitero sempre perfetto, la lapide sempre pulita e di raccontare le storie di chi è morto per la nostra libertà. Ci impegniamo a mantenere questa promessa sempre viva".

Mio nonno materno ha combattuto in entrambe le guerre mondiali ed è tornato a casa vivo. Passeggiando al Sicily-Rome American Cemetery ho pensato che se lui fosse morto, io non sarei mai nato e oggi non ci sarebbe nessuno a ricordarsi di lui. È possibile "adottare" un soldato americano che non ha più amici o parenti in vita per deporre un fiore sulla sua tomba?

"In alcuni cimiteri lo fanno. Per esempio in Olanda gli ignoti sono tutti adottati dalle famiglie, alcuni sono già alla seconda o terza generazione. Qui questo programma non esiste, ma chiunque può spontaneamente decidere di prendere dei fiori e portarli o farli portare sulla tomba di uno dei caduti in guerra".

Che impatto ha avuto il Covid-19 sulle visite e sulla gestione del Sicily-Rome American Cemetery?

"Le visite per noi sono importanti perché vogliamo che tutti ricordino, ma la salute del nostro personale e dei visitatori sono di fondamentale importanza. Nell’ultimo anno abbiamo visto un aumento dei visitatori italiani e abbiamo toccato punte record. Mai viste così tante visite nella storia di questo cimitero. Non so se perché tanta gente non ha fatto viaggi all’estero o se perché venivano al mare qui vicino e hanno pensato di venire a visitare il cimitero. In questi anni abbiamo lavorato tantissimo per garantire che i parenti delle vittime potessero tenersi in contatto con loro online o con i social. L’ABMC ha offerto la possibilità di far fare delle chat con Zoom o Whatsapp, per mantenere viva la promessa del generale Pershing: 'Il tempo non offuscherà la memoria delle loro azioni'. Niente, nemmeno il Covid può farci stare zitti e non raccontare quello che è successo e perché questi ragazzi sono qui".

Delle Guerre Mondiali è stato raccontato moltissimo. C’è qualcosa che secondo lei non è stato ancora raccontato?

"Sì. Io penso che non sia stata raccontata abbastanza la storia della diversità che c’era nei corpi militari. Quando vedi un film di Hollywood i soldati sono sempre simili nell'aspetto, ma ci sono stati anche battaglioni composti da neri come i Tuskegee Airmen: 994 piloti afroamericani che sono stati pluridecorati. Hanno combattuto i Niesi, il 100° Battaglione di Fanteria. Nel gennaio 1944 combatterono a Cassino, e in seguito accompagnarono la 34a Divisione di Fanteria ad Anzio. Non si parla quasi mai dei soldati latino-americani e delle donne che non erano solo crocerossine. Qui sono sepolte 16 donne e c’è anche un soldato che è stata impegnata nell'operazione Husky in Sicilia come crittografa per intercettare i messaggi radio. Donne come lei hanno aperto le porte a donne come me che hanno potuto svolgere il servizio militare".

 di Dario Cirrincione

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