Mauro Rostagno, tipico esempio di giornalista rompiscatole
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«Mauro Rostagno è stato barbaramente
ucciso dalla mafia trent'anni or sono, mentre tornava nella sede
della comunità terapeutica che aveva contribuito a fondare a
Lenzi, nella provincia di Trapani. In quella esperienza
riversava il suo impegno, le sue convinzioni, la sua passione
civile». Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella
ricorda il giornalista Mauro Rostagno ucciso dalla mafia.
«In questo giorno di ricordo - si legge in una nota -
desidero anzitutto partecipare al dolore dei suoi familiari,
degli amici e di quanti hanno condiviso con lui un tratto della
vita. E’ stato un tempo spesso difficile, in cui la strada verso
la verità giudiziaria ha anche subito gravi deviazioni. La
memoria di una vittima di mafia oltrepassa lo strazio per la
vita umana vigliaccamente spezzata. Essa costituisce un monito
per la società e per le stesse istituzioni della Repubblica.
L'agguato criminale contro Mauro Rostagno venne concepito per
far zittire la sua voce libera nel denunciare le trame mafiose e
i loschi affari».
«Il suo assassinio - si legge ancora - avvenne pochi giorni
dopo quello del magistrato in pensione Alberto Giacomelli e
addirittura poche ore dopo l’uccisione del giudice Antonino
Saetta, nel pieno di una strategia terroristica decisa e attuata
dai vertici dell’organizzazione criminale. Rostagno, in quella
stagione, svolgeva con riconosciute qualità anche il lavoro di
giornalista, suscitando apprezzamento e attenzione nei lettori.
Il suo impegno giornalistico non fu estraneo all’origine della
spietata reazione mafiosa, e oggi resta a noi come testimonianza
e come esempio».
Dietro l’uccisione di Mauro Rostagno c'era il suo «esemplare lavoro giornalistico» che aveva
sollevato il velo sulla ragnatela di interessi di Cosa nostra a
Trapani. Il sigillo sulla matrice del delitto è arrivato con le
sentenze di condanna degli esecutori materiali. E viene ora
ripreso come tema conduttore nelle iniziative organizzate fra
Trapani e Palermo a 30 anni dall’agguato al
sociologo-giornalista.
A Trapani e Valderice un cartello di associazioni - tra cui
Articolo 21, Libera e Anpi - ha organizzato vari momenti: un
incontro sul luogo del delitto, l’inaugurazione di murales, la
proiezione del documentario 'La rivoluzione in ondà, realizzato
dal regista Alberto Castiglione con il materiale video
recuperato negli archivi di Rtc, la tv di Rostagno. A Palermo
altro ricordo organizzato al teatro Biondo da Ordine dei
giornalisti e Unci, unione nazionale cronisti.
Come i processi hanno stabilito, Rostagno era impegnato in
una attività giornalistica che aveva acceso i riflettori sui
traffici di Cosa nostra, sui suoi intrecci con i poteri occulti
e sulla sua penetrazione nella pubblica amministrazione. Con i
suoi interventi dagli schermi di Rtc, il giornalista era
diventato una «camurria», un rompiscatole. Questo era stato il
giudizio indispettito di Francesco Messina Denaro, il padre del
superlatitante Matteo che a quel tempo governava il vertice di
Cosa nostra a Trapani.
Con i suoi servizi Rostagno aveva svelato il volto nuovo
della mafia in una città avvolta nelle trame di un’
organizzazione diventata moderna e dinamica, collegata con la
massoneria deviata e in grado di controllare le grandi scelte
amministrative e il giro degli appalti.
Mafia, dunque, ma non solo mafia. Eppure per molto tempo le
indagini sul delitto Rostagno sono state frenate da omissioni,
sottovalutazioni e depistaggi. Al punto che, messa da parte la
pista mafiosa, si è cercata un’altra improbabile verità con
l'amplificazione di presunti contrasti e rivalità all’interno
della comunità Saman, di cui Rostagno era stato uno dei
fondatori.
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