Mauro Rostagno, tipico esempio di giornalista rompiscatole

Società | 26 settembre 2018
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«Mauro Rostagno è stato barbaramente

ucciso dalla mafia trent'anni or sono, mentre tornava nella sede

della comunità terapeutica che aveva contribuito a fondare a

Lenzi, nella provincia di Trapani. In quella esperienza

riversava il suo impegno, le sue convinzioni, la sua passione

civile». Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella

ricorda il giornalista Mauro Rostagno ucciso dalla mafia.

«In questo giorno di ricordo - si legge in una nota -

desidero anzitutto partecipare al dolore dei suoi familiari,

degli amici e di quanti hanno condiviso con lui un tratto della

vita. E’ stato un tempo spesso difficile, in cui la strada verso

la verità giudiziaria ha anche subito gravi deviazioni. La

memoria di una vittima di mafia oltrepassa lo strazio per la

vita umana vigliaccamente spezzata. Essa costituisce un monito

per la società e per le stesse istituzioni della Repubblica.

L'agguato criminale contro Mauro Rostagno venne concepito per

far zittire la sua voce libera nel denunciare le trame mafiose e

i loschi affari».

«Il suo assassinio - si legge ancora - avvenne pochi giorni

dopo quello del magistrato in pensione Alberto Giacomelli e

addirittura poche ore dopo l’uccisione del giudice Antonino

Saetta, nel pieno di una strategia terroristica decisa e attuata

dai vertici dell’organizzazione criminale. Rostagno, in quella

stagione, svolgeva con riconosciute qualità anche il lavoro di

giornalista, suscitando apprezzamento e attenzione nei lettori.

Il suo impegno giornalistico non fu estraneo all’origine della

spietata reazione mafiosa, e oggi resta a noi come testimonianza

e come esempio».

Dietro l’uccisione di Mauro Rostagno c'era il suo «esemplare lavoro giornalistico» che aveva

sollevato il velo sulla ragnatela di interessi di Cosa nostra a

Trapani. Il sigillo sulla matrice del delitto è arrivato con le

sentenze di condanna degli esecutori materiali. E viene ora

ripreso come tema conduttore nelle iniziative organizzate fra

Trapani e Palermo a 30 anni dall’agguato al

sociologo-giornalista.

A Trapani e Valderice un cartello di associazioni - tra cui

Articolo 21, Libera e Anpi - ha organizzato vari momenti: un

incontro sul luogo del delitto, l’inaugurazione di murales, la

proiezione del documentario 'La rivoluzione in ondà, realizzato

dal regista Alberto Castiglione con il materiale video

recuperato negli archivi di Rtc, la tv di Rostagno. A Palermo

altro ricordo organizzato al teatro Biondo da Ordine dei

giornalisti e Unci, unione nazionale cronisti.

Come i processi hanno stabilito, Rostagno era impegnato in

una attività giornalistica che aveva acceso i riflettori sui

traffici di Cosa nostra, sui suoi intrecci con i poteri occulti

e sulla sua penetrazione nella pubblica amministrazione. Con i

suoi interventi dagli schermi di Rtc, il giornalista era

diventato una «camurria», un rompiscatole. Questo era stato il

giudizio indispettito di Francesco Messina Denaro, il padre del

superlatitante Matteo che a quel tempo governava il vertice di

Cosa nostra a Trapani.

Con i suoi servizi Rostagno aveva svelato il volto nuovo

della mafia in una città avvolta nelle trame di un’

organizzazione diventata moderna e dinamica, collegata con la

massoneria deviata e in grado di controllare le grandi scelte

amministrative e il giro degli appalti.

Mafia, dunque, ma non solo mafia. Eppure per molto tempo le

indagini sul delitto Rostagno sono state frenate da omissioni,

sottovalutazioni e depistaggi. Al punto che, messa da parte la

pista mafiosa, si è cercata un’altra improbabile verità con

l'amplificazione di presunti contrasti e rivalità all’interno

della comunità Saman, di cui Rostagno era stato uno dei

fondatori. 



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