Pena di morte e diritti umani, Amnesty: mai tante esecuzioni nel mondo

L'analisi | 4 giugno 2024
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Nel 2023 sono state eseguite nel mondo 1153 condanne a morte. Il totale si riferisce alle condanne rese note perché, come vedremo, stati che ricorrono massicciamente alla pena capitale non ne diffondono i numeri. I paesi che hanno eseguito condanne sono 16, il numero più basso di sempre. Tuttavia preoccupano il forte aumento percentuale rispetto al 2022 e un secondo dato: solo nel 2015, quando le esecuzioni capitali erano state 1634, era stato registrato un maggiore numero rispetto al 2023. Insomma, da ben otto anni non si raggiungeva l’ammontare di 1153 condanne eseguite l’anno scorso.
Nel 2023 si è assistito nel mondo a un incremento non solo delle condanne a morte eseguite ma anche di quelle emesse, ovvero delle nuove condanne comminate dai tribunali: 2428.
L’annuale rapporto di Amnesty International sulla pena di morte nel mondo è stato reso noto la settimana scorsa, esattamente il 29 maggio. Vediamo di coglierne i principali contenuti, pubblicati sul sito di Amnesty International Italia (“Il rapporto sulla pena di morte nel mondo: mai così tante esecuzioni in quasi un decennio” in “www.amnesty.it”, 29 maggio 2024): “Nel 2023 c’è stato il più alto numero di esecuzioni da quasi un decennio, con un netto aumento registrato nel Medio Oriente.
Senza tener conto delle migliaia presumibilmente portate a termine in Cina, lo scorso anno le esecuzioni sono state 1153, con un aumento di oltre il 30 per cento rispetto al 2022. Si tratta del più alto numero di esecuzioni registrato da Amnesty International dal 2015, quando erano state 1634.
Nonostante questo aumento, il numero degli stati che hanno eseguito condanne a morte ha raggiunto un minimo storico: solo 16.
Nonostante questi passi indietro, soprattutto nel Medio Oriente, gli stati che ancora eseguono condanne a morte sono sempre più isolati”.
Nella poco edificante “Top Five” dei cinque stati che hanno eseguito il maggior numero di condanne a morte si collocano nell’ordine Cina, Iran, Arabia Saudita, Somalia e Stati Uniti d’America. L’Iran, da solo, ha fatto registrare il 74 per cento di tutte le esecuzioni note, l’Arabia Saudita il 15 per cento. In Somalia e negli Stati Uniti d’America le esecuzioni sono aumentate”. 


La “geografia della pena di morte” accomuna i nemici storici Iran e Usa 


Entriamo adesso nella macabra “geografia della pena di morte”. Cominciando dall’Iran. Osserva Amnesty International: “Nel 2023 le autorità iraniane hanno intensificato l’uso della pena di morte per seminare paura nella popolazione e tenersi aggrappate al potere. Sono state messe a morte almeno 853 persone, con un aumento del 48 per cento rispetto alle 576 esecuzioni del 2022.
Le esecuzioni hanno avuto un impatto sproporzionato (il 20 per cento del totale) sui beluci, la minoranza etnica che costituisce solo il cinque per cento della popolazione. Ci sono state anche almeno 24 esecuzioni di donne e almeno cinque di minorenni al momento del reato.
Almeno 545 delle 853 esecuzioni sono state illegali, ossia hanno riguardato reati che secondo il diritto internazionale non dovrebbero essere puniti con la pena capitale, come i reati di droga, le rapine e lo spionaggio. Le esecuzioni per reati di droga hanno costituito il 56 per cento del totale, con un aumento dell’89 per cento rispetto alle 255 del 2022”.
Ha dichiarato Agnès Callamard, la cinquantanovenne attivista, funzionaria e diplomatica francese, tra le maggiori esperte internazionali di diritti umani, segretaria generale di Amnesty International: “Il profondo incremento delle esecuzioni è stato dovuto soprattutto all’Iran, le cui autorità hanno mostrato un totale disprezzo per la vita umana con un aumento delle esecuzioni per reati di droga che, ancora una volta, ha messo in luce l’impatto discriminatorio della pena di morte sulle comunità più povere e marginalizzate dell’Iran”.
Se Cina, Iran, Arabia Saudita, Somalia non brillano per democrazia, libertà, rispetto dei diritti umani e dei diritti civili, gli Stati Uniti da molti decenni si riempiono la bocca nel mondo con tutto un diffuso ricorso al concetto del “rispetto dei diritti civili”. Al punto da farlo assurgere spesso a pretesto di interferenza nella vita politica di altre nazioni. Però gli Usa – sedicenti paladini della democrazia, della libertà, dei diritti civili ma succubi della loro potentissima lobby delle armi, dai missili alle pistole – restano sordi a ogni richiamo ad abolire gli omicidi di stato.
“Negli Stati Uniti d’America – si legge nel rapporto - i progressi degli ultimi anni hanno segnato il passo: nel 2023 le esecuzioni sono state 24 rispetto alle 18 del 2022. Nell’Idaho e nel Tennessee sono state presentate proposte di legge per introdurre il metodo del plotone d’esecuzione, mentre nel Montana è stato proposto di aumentare i medicinali da usare nell’iniezione letale. Nella Carolina del Sud è entrata in vigore una legge che vieta di rivelare l’identità delle persone o degli enti coinvolti nel preparare le esecuzioni e nel portarle a termine”.
“Un piccolo gruppo di stati degli Usa ha mostrato un tremendo attaccamento alla pena di morte e una cinica intenzione di investire risorse nell’uccidere esseri umani. Il nuovo metodo di esecuzione tramite asfissia da azoto è stato vergognosamente applicato, senza essere testato, nei confronti di Kenneth Smith, solo 14 mesi dopo che era sopravvissuto a un tentativo particolarmente cruento di metterlo a morte. Il presidente Biden deve smetterla di rimandare la sua promessa di abolire la pena di morte a livello federale”, ha commentato la Callamard. 


La situazione in Africa 


Anche in Africa si assiste a un regresso. “Altri passi indietro sono stati registrati nell’Africa subsahariana, dove sono aumentate sia le condanne a morte che le esecuzioni. Queste ultime sono più che triplicate nel 2023, passando dalle 11 dell’anno precedente a 38 e le condanne a morte sono nettamente aumentate del 66 per cento: da 298 nel 2022 a 494 nel 2023. Nessuno stato della regione ha abolito la pena di morte”.
Qua e là qualche spiraglio comunque dà il senso di una situazione non irrimediabilmente uniforme nel Continente Nero. “Sebbene nessuno stato dell’Africa subsahariana abbia cancellato la pena capitale, proposte abolizioniste sono in discussione in Kenya, Liberia e Zimbabwe. In Ghana il parlamento ha approvato due proposte in tal senso, ma alla fine del 2023 non erano ancora diventate legge”. 


Asia, un quadro inquietante 


 Un quadro ancora più inquietante caratterizza il continente asiatico. Sulla feroce strategia giudiziaria che produce esecuzioni capitali a centinaia in Iran ci siamo soffermati. Guardiamo adesso ai sistemi giudiziari di altri stati. A cominciare dal “buco nero” Repubblica popolare cinese. “A causa del segreto di stato che avvolge l’uso della pena capitale in alcuni stati, i dati di Amnesty International non includono le migliaia di esecuzioni che, presumibilmente, sono state portate a termine in Cina, che rimane al primo posto nel mondo per numero di esecuzioni. Allo stesso modo, non è stato possibile proporre dati su Corea del Nord e Vietnam, due stati che si ritiene continuino a ricorrere in modo massiccio alle esecuzioni.
In ogni caso, dalle scarse informazioni ufficiali trapelate da questi stati emerge un chiaro messaggio destinato alle loro popolazioni: i reati o il dissenso saranno puniti con la morte, che resta in questo modo un’arma nelle mani delle autorità per mantenere il controllo e reprimere il dissenso.
In Cina gli organi d’informazione dello stato hanno ricordato alla popolazione che reati come il traffico di droga o la corruzione saranno duramente puniti con la pena capitale. Nella Corea del Nord è stata promulgata una legge che prevede la pena di morte per coloro che non parlano la lingua nativa coreana.
In Myanmar la giunta militare ha continuato a imporre condanne a morte, al termine di processi segreti e gravemente irregolari celebrati da tribunali controllati dall’esercito”.
C’è spazio per segnali meno truci dall’immenso continente asiatico? Qualche sporadica inversione di tendenza si coglie. “Il Pakistan ha annullato la pena di morte per reati di droga, in Malesia è stato annullato l’obbligo d’infliggere la pena di morte per determinati reati e le autorità dello Sri Lanka hanno confermato, smentendo il pericolo di un ritorno della pena di morte, che il presidente non intende firmare ordini di esecuzione”.
“La discriminazione e l’arbitrarietà insite nell’uso della pena di morte non fanno altro che rafforzare le violazioni dei diritti umani del sistema di giustizia penale. La piccola minoranza di stati che ancora si ostina a usare la pena di morte deve mettersi al passo coi tempi e abolirla una volta per tutte. Di pena di morte si parlerà ancora all’Assemblea generale delle Nazioni Unite di quest’anno. Sollecitiamo tutti i governi a unirsi alla richiesta delle Nazioni Unite di porre fine all’uso della pena di morte, mostrando così un forte impegno verso i diritti umani”, conclude Callamard. 


Proposta dei Repubblicani texani: la pena di morte per chi abortisce 


 Un appello che viene accolto con molta lentezza se non vera e propria ostilità ma che comunque nei fatti si può anche cogliere. Lo confermano i seguenti dati: “Malgrado i passi indietro fatti registrare da pochi stati, i progressi non si fermano: oggi 112 stati sono completamente abolizionisti, su un totale di 144 stati che hanno abolito la pena di morte nelle leggi o nella prassi. A differenza del 2022, non ci sono state esecuzioni in Bielorussia, Giappone, Myanmar e Sud Sudan”.
Non è una condizione ottimale ma bisogna accontentarsi anche di piccoli passi in avanti e non guardare solo ai passi indietro. La battaglia per l’abolizione della pena di morte – una delle tante battaglie di civiltà a cui il mondo sempre più incattivito del nostro tempo non può e non deve rinunciare – continua e durerà a lungo. Guai a demordere o ad abbassare il livello di attenzione a causa dei conflitti in corso. Perché proprio a causa dell’inasprimento nelle nazioni delle relazioni interne ed internazionali gli omicidi di stato trovano terreno fertile per moltiplicarsi. È di questi giorni la notizia che negli Stati Uniti la piattaforma programmatica proposta dalla convention del Partito Repubblicano dello stato del Texas chiede di equiparare l’aborto all’omicidio. Che nel Texas è punito con pene fino a 99 anni di carcere ma può anche portare alla pena capitale. Siamo ormai all’impazzimento generale. Una barbarie senza limiti. Da matti.

 di Pino Scorciapino

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