La mafia “sommersa”, un modello che intreccia tradizione e innovazione
Cosa nostra cerca un capo in Sicilia, ma non fugge dal principale requisito: deve essere provata l'appartenenza dinastica, la stirpe, mafiosa, stampata nel Dna. È questa la sintesi che si può trarre dall'ultima relazione semestrale della Dia. La Direzione Investigativa Antimafia l'ha depositata in Parlamento, il periodo oggetto dell'analisi è quello del primo semestre 2023. Quello che coincide con la cattura del super latitante trapanese Matteo Messina Denaro, arrestato dai carabinieri il 16 gennaio 2023 mentre entrava nella clinica palermitana "La Maddalena", dove da tempo era sottoposto a trattamenti chemioterapici, per curare quel tumore al colon che pochi mesi dopo il suo arresto lo ha portato a morire durante la detenzione al 41 bis nel carcere de L'Aquila.
Cosa nostra e Stidda in Sicilia continuano a gestire territori e affari, in maniera distinta, ma senza le guerre intestine di una volta. Arresti, sequestri e confische (rispettivamente pari a 2 milioni di euro e 99 milioni di euro) hanno ridimensionato i predomini criminali, ma i criminali non alzano bandiera bianca. Resta evidente il fenomeno dei mafiosi che escono dal carcere, dopo avere scontato le pene detentive inflitte per il reato associativo, e che puntualmente tornano all'interno delle organizzazioni, riprendendo il posto tenuto prima degli arresti nelle "famiglie", in qualche caso facendo anche carriera, come è emerso in alcune indagini sulla mafia trapanese.
Le gestioni interdipartimentali
Non esiste più la "cupola regionale“ di Cosa nostra. Il potere è suddiviso tra i diversi mandamenti provinciali, una particolare commistione si registra tra le province della Sicilia occidentale, Palermo, Agrigento e Trapani, tra i mandamenti mafiosi di Catania e Siracusa. Gestioni interdipartimentali li definisce la Dia. Ma resta costante il tentativo di conferire un nuovo assetto a mandamenti e famiglie con l’individuazione di nuovi soggetti da porre al vertice, per lo più giovani che vantano un’origine familiare mafiosa, successione dinastica, e che mostrano una certa inclinazione, tanto da influenzare altri loro coetanei, trasmettendo il fascino mafioso. E con i giovani la presenza di anziani uomini d’onore. È in questo modo che Cosa nostra cerca di restituire consistenza sul piano organizzativo alle proprie strutture territoriali, senza abbandonare le tradizionali usanze e regole mafiose.
Nella Sicilia occidentale, Cosa nostra, priva di una struttura di vertice, ha scelto la via delle interazioni tra le varie articolazioni provinciali. Trapani pare vivere della rendita lasciata dal boss Matteo Messina Denaro, e dal suo clan che trova esponenti tra il capoluogo, Castelvetrano, Campobello di Mazara e le zone della Valle del Belice. Nelle province della Sicilia orientale, oltre alle articolazioni di Cosa nostra, vi sono numerose organizzazioni criminali autonome di tipo mafioso che non sono strutturate all’interno di quest’ultima ma sono altrettanto pericolose e dai contorni più fluidi e flessibili.
La Stidda poi resta caratterizzata da una struttura orizzontale, costituita da gruppi autonomi tra loro, storicamente nata in contrapposizione a Cosa nostra, ma ne segue certe linee strategiche, con la condivisione e la spartizione degli affari illeciti. Appalti, controllo di iniziative economiche pubbliche e private, estorsioni attraverso l'imposizione di forniture e beni per i cantieri, traffico e spaccio di droga, estorsioni e gioco on line. Un panorama che delinea la presenza in Sicilia, e in particolare nella zona di Catania, di consorterie criminali fuori dalla tipica congrega mafiosa, ma che nella organizzazione fanno riferimento al modello "mafia".
In Sicilia orientale ancora la presenza criminale mafiosa e di associazioni similari è concentrata nel Nisseno, a Gela. È qui che la Stidda riesce comunque ancora a esprimere un significativo potenziale delinquenziale. Nelle provincie di Siracusa e Ragusa, tangibili sono le influenze di Cosa nostra catanese e, in misura minore, della Stidda gelese che è risultata capace però di estendersi sin dentro la provincia di Agrigento. Per quanto riguardala criminalità organizzata a Messina, la peculiarità delle consorterie presenti è quella di avere da un lato un modus operandi assimilabile a Cosa nostra palermitana, dall’altro di risentire dell’influenza dei gruppi criminali etnei.
Cosa nostra come un camaleonte
Ma ovunque si guardi si deve parlare di "mafia sommersa". Cosa nostra camaleontica, che ha abbandonato la violenza, per infiltrarsi in ambiti economici e imprenditoriali dentro e fuori dall'isola, anche lontano dalla Sicilia. I canali del riciclaggio degli ingenti capitali illeciti di cui Cosa nostra continua a poter disporre, hanno come direzione le grandi city della finanza europea. Niente più coppole e lupare ma mafiosi che vanno in giro da veri e propri manager, bookmaker e broker del crimine. E questo anche grazie alle storiche migrazioni verso i paesi europei e negli Stati Uniti, in Canada e ancora nei paesi sudamericani, Brasile, Venezuela, Perù. Un particolare messo in luce dalla Dia è quello degli investimenti imprenditoriali della mafia catanese in Romania. Canali di riciclaggio e frodi fiscali la materia prima messa in campo. Non meno rilevanti le relazioni tra i clan siciliani e le organizzazioni criminali insediate in Spagna, che spesso hanno dato copertura a latitanti siciliani. In questi paesi i figli e i nipoti degli uomini d'onore sono diventati anche affermati professionisti. Una mafia che rispetta anche la parità di genere: in certe aree il ruolo delle donne spesso non è minore rispetto a quello esercitato dagli uomini.
Restano in certe zone della Sicilia ancora forti i tentativi, in parte anche riusciti, di assoggettamento e di controllo del territorio, con i fenomeni di infiltrazione negli apparati politico-amministrativi locali. In alcune indagini addirittura è emersa la nomina di assessori in quota Cosa nostra. Ma a concimare le infiltrazioni è predominante la corruzione. La relazione della Dia non omette di parlare dell'influenza esercitata dalla massoneria dentro le amministrazioni comunali più inclini ad essere etero dirette. E a proposito di massoneria gli occhi investigativi restano posati sulla provincia di Trapani.
La droga rimane per le mafie siciliane una delle più sicure fonti di reddito dirette per i propri affiliati, garantendo rapporti di cooperazione con altre organizzazioni criminali (quali ndrangheta, ndrine calabresi e camorra) per l’approvvigionamento di grossi quantitativi su larga scala. Cosa nostra guarda al passato quando, negli anni Ottanta, conquistò posizioni di leadership nella gestione dei canali di approvvigionamento della droga. Traffici che talvolta si intrecciano con quelli di esseri umani. In quei viaggi con destinazione la costa tra Marsala e Mazara del Vallo, sui gommoni trovano spazio anche notevoli quantitativi di stupefacenti. Se i trapanesi hanno anche mantenuto contatti con i trafficanti di cocaina colombiani, i mafiosi catanesi tengono in mano le fila del commercio di droga dal Marocco e dalla Spagna. Ma anche quello da e per Malta, in alleanza con i clan calabresi. Sodalizi agrigentini invece operano in Belgio.
Resta evidente la vocazione agroalimentare e pastorale di Cosa nostra, attraverso l’accaparramento di terreni agricoli da parte di aziende mafiose o infiltrate da soggetti vicini a personaggi della criminalità per ottenere contributi di sostegno allo sviluppo rurale concessi dall’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura.
A leggere gli ultimi rapporti, sembra di rileggere la sceneggiatura de "La Piovra" di Nicola Badalucco, ma quella era fiction. Quella descritta dalla Dia è autentica realtà. Rispetto alla quale non tutti sono pronti ad ammetterne esistenza e contorni. Siamo passati per certuni dal dire che la mafia non esiste ad affermare che la mafia è sconfitta. Ma il report della Dia evidenzia una presenza mafiosa che resta diffusa dentro e fuori dai confini regionali siciliani.
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