Cancemi, prima della strage Falcone Riina incontrò "persone importanti”

L'analisi | 25 giugno 2024
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“Perché il giudice Falcone è morto? Potrei usare una frase che forse rende bene il mio pensiero: sono stati presi due piccioni con una fava. Da un lato Salvatore Riina ha eliminato un suo nemico personale, dall’altro questo suo interesse è coinciso con l’interesse di altri”. Parola di Salvatore Cancemi.
Trent’anni fa, esattamente il 18 febbraio 1994, il boss palermitano del mandamento di Porta Nuova era seduto davanti al pubblico ministero Ilda Boccassini, quando pronunciò quelle parole. Il magistrato che in quel periodo era applicato alla Procura di Caltanissetta gli chiede di specificare l’incontro avuto con un altro boss, Raffaele Ganci, e le confidenze che quest’ultimo gli fece in merito a un incontro che Salvatore Riina ebbe prima della strage di Capaci. “Lei ha riferito di un incontro di Riina con persone importanti, e di alcune frasi che Ganci le riferì. Secondo lei – chiede Ilda Boccassini – da quelle poche parole Ganci ha lasciato intendere che l’obiettivo Falcone era stato concordato?”.
“Ganci – risponde Cancemi – mi disse che Salvatore Riina aveva avuto un incontro con persone importanti prima che venisse ucciso il giudice Falcone, personaggi che avrebbero garantito a Riina la revisione dei processi. Ganci mi disse questo mentre tornavamo a Palermo da Capaci dove avevamo partecipato ad una riunione preparatoria dell’attentato in danno del giudice Falcone. Ganci non mi fece il nome delle persone importanti con cui Riina si incontrò, ma una cosa deve essere chiara che queste ‘persone importanti’ non erano certo uomini di Cosa nostra, perché più importanti di Riina e Provenzano non ce ne sono all’interno dell’organizzazione e quindi i personaggi con cui Riina si è incontrato li dovete cercare fuori dall’organizzazione”.
A un’altra domande di Ilda Boccassini con la quale il magistrato chiede se con le parole dette da Raffaele Ganci quest’ultimo avesse lasciato intendere che l’obiettivo Falcone era stato concordato Cancemi aggiunge: “Voglio precisare ancora una volta e faccio questo proprio per far meglio comprendere il mio pensiero che il discorso di Ganci non mi fu riferito da quest’ultimo nel corso di un occasionale incontro tra di noi bensì dopo che c’eravamo recati ad una riunione operativa per la preparazione dell’attentato in danno del giudice Falcone. Questo significa che Ganci pur secondo il suo stile e cioè con poche parole mi aveva lanciato un messaggio ben preciso, dietro la morte di quel magistrato c’era dell’altro. Non bisogna farsi fuorviare dal fatto che il giudice Giovanni Falcone era un acerrimo nemico di Salvatore Riina e considerato da tutta l’organizzazione come un pericolo per la sopravvivenza della stessa. Tutti sanno e noi ne eravamo perfettamente consapevoli che quel magistrato era stato l’artefice dei processi che si erano instaurati contro Cosa nostra. Da anni Falcone era stato condannato e doveva morire. Ma queste considerazioni non sono sufficienti per capire perché il progetto è andato in esecuzione proprio nel maggio 1992”.
Cancemi non si ferma e, sempre sollecitato da Ilda Boccassini, continua: “Agli occhi dell’organizzazione appariva del tutto normale, anzi più che giustificata, l’eliminazione di Falcone, ma per Riina era fondamentale la delegittimazione dei pentiti, occorreva che fosse annullata la normativa premiale sui pentiti. Riina più volte ripeté che ‘pure i dinti mi iuoco’ intendendo riferirsi all’annullamento della legislazione premiale sui collaboratori giustizia. Per questo motivo io sono certo che le bombe di Firenze, di Milano e Roma (quelle contro la basilica di San Giovanni e la chiesa di San Giorgio al Velabro) siano da mettere in relazione a questo progetto e che quindi gli obiettivi da colpire siano stati ‘suggeriti’ a Riina e Provenzano. In questi casi non si voleva fare danno e le morti che pure ci sono state sono da considerarsi del tutto casuali. Considerate che l’espressione ‘mi gioco pure i denti’ è molto forte perché sono una cosa preziosa senza i quali non si può mangiare e quindi vivere. Con questa metafora Riina voleva dire che si stava giocando tutto, non si poteva uccidere quindi il giudice Falcone solo perché era stato un nemico di Cosa nostra o perché costituiva un concreto pericolo se fosse stato eletto superprocuratore antimafia, ma quella morte e le altre che purtroppo ci sono state sarebbero servite per ottenere qualcosa di molto più prezioso per Salvatore Riina. Ecco perché io dico che gli interessi di Riina sono coincisi con gli interessi di quelle persone importanti cui ha fatto riferimento Raffaele Ganci”.
Salvatore Cancemi, reggente del mandamento mafioso di Porta Nuova a Palermo è stato l’unico boss ad essersi “consegnato” ai carabinieri. Lo fece sette mesi prima dell’incontro con Ilda Boccassini.
La famiglia di Cancemi non aveva tradizioni all'interno della mafia; lui, però, venne affiliato nella cosca mafiosa di Porta Nuova da un mafioso che in seguito diverrà “celebre”: Vittorio Mangano, dopo aver compiuto un omicidio su richiesta di quest’ultimo come “prova”, alla presenza del boss Giuseppe Calò nel 1976 all'età di 34 anni. Dopo l'arresto di Calò nel 1985, Cancemi verrà nominato reggente del mandamento di Porta Nuova da Salvatore Riina. Nel marzo 1985 Calò fu arrestato e questo fatto diede indirettamente una spinta a Cancemi lanciandolo alla guida di diverse famiglie tra cui quella di Palermo centro e Borgo Vecchio. Due anni dopo verrà inserito nella commissione provinciale di Palermo, il governo di Cosa nostra come reggente del mandamento di Porta Nuova del quale, Calò, seppur detenuto, resterà il capo; Cancemi prenderà il suo posto nella Commissione grazie alla sponsorizzazione di Raffaele Ganci, capo della famiglia della Noce e al quale lo legava la stessa professione di macellaio.
Cancemi fu coinvolto nei preparativi e nelle esecuzioni delle stragi di Capaci e via D’Amelio, fece da vedetta alla squadra che piazzò e fece esplodere il tritolo a Capaci. Cancemi inizialmente negherà di aver partecipato all'omicidio di Borsellino, ma dovrà ammettere il suo coinvolgimento quando altri due pentiti, Calogero Ganci e Giovanbattista Ferrante lo chiamarono in causa nel 1996.
Nell'ottobre del 1992 fu costretto a darsi alla latitanza poiché accusato dell'omicidio dell'eurodeputato democristiano Salvo Lima, assassinato a Palermo sette mesi prima.
Dopo l'arresto di Riina e il cambio della guardia con Bernardo Provenzano, Cancemi prese coraggio e manifestò le sue forti perplessità circa la gestione complessiva di Cosa nostra inimicandosi Zu Binnu. Quando questi lo convocò con urgenza tramite un pizzino, Cancemi, temendo che si trattasse di una trappola, alle 5.30 del 23 luglio 1993 si consegnò spontaneamente ai carabinieri di piazza Verdi a Palermo, dichiarando che alle 7 avrebbe dovuto incontrarsi con il latitante Pietro Aglieri, capomandamento di Santa Maria di Gesù, per poi raggiungere Provenzano in una località segreta, offrendosi di aiutarli ad organizzare una trappola; l'informazione però venne considerata non veritiera dai carabinieri, i quali erano convinti che Provenzano, introvabile da quasi 30 anni, fosse morto poiché dopo un decennio la moglie e i figli erano tornati a vivere e a lavorare a Corleone, decidendo quindi di non sfruttare l'occasione. Trasferito per ragioni di sicurezza in una caserma di Verona, solo il 5 agosto, e dopo un confronto con l’allora tenente colonnello Mario Mori cominciò faticosamente ad aprirsi e il procuratore capo di Palermo Giancarlo Caselli, il suo aggiunto Guido Lo Forte e il sostituto Roberto Scarpinato raccolsero le sue prime dichiarazioni; tuttavia agli occhi dei magistrati non sempre apparve come un mafioso fermamente intenzionato a rivelare davvero tutto ciò di cui era a conoscenza soprattutto sulle stragi di Capaci e di via D’Amelio negando persino di aver fatto parte della Commissione e di aver eseguito omicidi, estorsioni e traffici di droga. I magistrati sospettavano che dietro l'inaspettata offerta di collaborazione si potesse nascondere un doppio gioco finalizzato a confondere le acque. Il primo novembre il muro di reticenza cominciò a sgretolarsi: confessò di aver avuto un ruolo importante nella pianificazione della strage di Capaci, sia sul piano decisionale che sotto il profilo organizzativo con diversi sopralluoghi a Capaci, e di aver proposto di festeggiare con lo champagne sputando sul televisore alla notizia della morte di Falcone, fatto raccontato poi anche da Giovanni Brusca. Alla metà di gennaio del 1994 attraverso precise indicazioni consentì di recuperare in Svizzera due milioni di dollari che erano rinchiusi in una cassa a tenuta stagna sepolta nel Canton Ticino e che erano frutto di una partita di eroina con l'America. Solo nel 1996, dopo che a fare il suo nome erano stati Brusca e Ferrante, Cancemi ammetterà di aver preso parte anche alla strage di via D’Amelio, creando con la sua reticenza non poche difficoltà ai magistrati di Caltanissetta che su quella strage avevano già avviato due processi.
 di Giuseppe Martorana

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