“O la va o la spacca”, le riforme che preparano lo scempio legislativo della giustizia
L'analisi | 3 giugno 2024
Sono giorni di fuoco per la politica italiana. E lo sono a tutto tondo perché non c’è parte di essa che, in un modo o nell’altro, non venga colpita.
La maggioranza parlamentare e il governo stesso, con la strenua collaborazione di tutti gli uomini e donne dello staff-Meloni, sono abbondantemente impegnati a definire lo scempio della Giustizia, prima che si concludano le elezioni europee. I lavori fervono nelle commissioni perché bisogna far presto e, soprattutto, bisogna essere veloci in modo che gli italiani – presi da una profonda assuefazione – non si accorgano di nulla.
In questi ultimi giorni, abbiamo assistito alla più rovinosa operazione di riforma della “giustizia”; una riforma fortemente proiettata verso una nuova Italia che prosegue sulla scia dell’eredità berlusconiana., così come la vuole Meloni.
Abbiamo assistito all’abolizione del reato dell’abuso d’ufficio, alle limitazioni imposte sulle intercettazioni fino alla recente approvazione del Governo inerente alla separazione delle carriere dei magistrati.
Venti minuti. Solo venti minuti ha impiegato il Consiglio dei ministri per varare quel pacchetto di provvedimenti che, in soli otto articoli, distrugge l’indipendenza del potere giudiziario cominciando dalla separazione delle carriere. Un provvedimento del governo che accende ancor più gli animi con il serio rischio di dover registrare un conflitto di poteri dello Stato. Giorgia Meloni ha definito la riforma “epocale” e “storica” non considerando in alcun modo le perplessità del capo dello Stato che si è guardato bene dal formulare pareri preventivi quando il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, insieme al sottosegretario Mantovano, si è recato al Quirinale per presentare a Mattarella il testo della legge.
Adesso il provvedimento, contenente le nuove norme costituzionali, approvato dal Consiglio dei ministri, sarà discusso in Parlamento in doppia lettura per l’approvazione parlamentare.
Sostanzialmente, le nuove norme dispongono che la magistratura ordinaria si distingua in magistratura giudicante e magistratura requirente che dipenderanno non più da un unico Csm (Consiglio superiore della magistratura) ma da due: uno per i magistrati con funzioni giudicanti e l’altro per i magistrati con funzioni requirenti, cioè per i pubblici ministeri. I due Csm saranno composti, da giudici scelti per “sorteggio temperato”. Secondo quanto dichiarato dal Guardasigilli, il sistema del sorteggio dovrebbe risolvere l’annoso problema delle correnti interne alla magistratura. Le nuove norme prevedono altresì la costituzione della “Alta Corte disciplinare”, con il compito di esaminare e sanzionare i magistrati che incorrono in errori e leggerezze, e quant’altro possa avere procurato danni a terzi.
Ovviamente, come c’era da immaginarsi, e come è giusto che sia, le toghe, per mezzo dell’Anm, hanno annunciato uno sciopero della categoria.
Alla separazione delle carriere dei magistrati consegue inevitabilmente la cancellazione del principio di autonomia dei poteri dello Stato: giudiziario, legislativo ed esecutivo. Sono certo che, proseguendo con questa politica – che tutelerà i colletti bianchi, la ricca borghesia e le classi più abbienti – le Procure dovranno dare la priorità alle indagini sui ladri di biciclette. Esattamente quello che voleva Berlusconi.
Roberto Scarpinato si pronuncia in proposito: “C’è un disegno ampio e organico per dare vita a un diritto penale di casta separando la gente comune dai ‘signori’ vicini al potere” […] “l’abolizione del reato di abuso d’ufficio è parte di un processo di recessione dello Stato, che esiste proprio per garantire il cittadino di fronte al potere.”.
Ebbene, lo scempio legislativo è in corso d’opera; prima è toccato all’abuso d’ufficio ad andare in pensione, ma, molto presto, ricordando le parole della senatrice Giulia Bongiorno, vedremo scomparire o, quanto meno, ridimensionato il ricorso all’intercettazione, con divieto di uso del trojan; assisteremo a una radicale modifica della prescrizione che vedrà, fin da subito, molti imputati liberi dalle accuse delle Procure e molti detenuti ritornare alle proprie case con tante scuse. Abbiamo assistito alla cosiddetta “legge bavaglio” che costituisce un vero attentato alla libertà di stampa; adesso dobbiamo assistere alla riforma della magistratura con le nuove norme sulla separazione delle carriere dei magistrati.
L’attuazione delle nuove norme, pone invero un problema non di poco conto: si tratta della distanza, anche culturale, che si verrà a creare fra giudicante e requirente, per effetto dei diversi percorsi professionali che dovranno affrontare le due figure.
Uno dei motivi che hanno dato luogo alla separazione delle carriere dei magistrati, si fonda sul fatto che è opinione diffusa che il magistrato giudicante si sarebbe appiattito eccessivamente sul pm. In effetti questa opinione viene largamente smentita dai numeri. È stato accertato infatti che circa la metà dei processi in dibattimento con rito ordinario si conclude con l’assoluzione. Quindi la favola del giudice appiattito sul pm è una strumentale discolpa assolutamente infondata.
Ma poiché il Guardasigilli non conosce ostacoli e persegue come un bulldozer i suoi programmi riformisti, disdegnando i pareri e le proposte da parte delle opposizioni e magari l’ascolto delle voci più autorevoli per competenza ed esperienza, la riforma va avanti.
Con la separazione delle carriere si avrà inesorabilmente l’indebolimento del magistrato giudicante a fronte di un pm molto forte sostenuto dal Ministero dell’Interno, quindi dal governo.
Così, in men che non si dica, abbiamo creato il pm alle dipendenze dell’esecutivo con immediata conseguenza che i processi, sia pure indirettamente, saranno (o potranno essere) controllati dal potere esecutivo.
In questo modo nasce il conflitto di poteri dello Stato.
Credo che chiunque abbia un minimo di capacità di analisi politica, potrà rilevare come il Paese Italia – già atteggiato all’autoritarismo più integrale – stia andando incontro all’oligarchia più dura.
Proseguendo con questi ritmi, credo che arriveremo molto presto, anche prima di quanto ci si possa immaginare, alla riforma del “premierato” della quale pare che la Meloni non sappia più fare a meno.
“O la va o la spacca”, dice Giorgia Meloni (utilizzando un linguaggio smodato) con il suo piglio di arroganza che invero mal si addice a un presidente del Consiglio che rappresenta la più alta istituzione esecutiva del Paese.
Un presidente del Consiglio non ricopre quella carica per fare scommesse sugli esiti dei programmi presentati ai propri elettori; dovrà piuttosto mostrare sicurezza e dare garanzie ai cittadini.
Sono peraltro convinto che, in tutto questo fervore riformista, assisteremo molto presto anche all’esecuzione dell’azione penale sulla base di liste di priorità approntate dal Guardasigilli; di tal che vedremo, ancora una volta, il potere giudiziario dipendere dal potere esecutivo. In effetti la questione sta tutta qui. Forse non ci sarebbe nulla di strano nella riforma che vede la separazione delle carriere, se non fosse per il fatto che tale riforma è il preludio all’introduzione della dipendenza del pm dall’esecutivo e all’introduzione della discrezionalità dell’azione penale.
Questo aspetto, invero desta molta preoccupazione visto che l’attuale maggioranza politica e l’attuale governo stesso (autoritario), coltiva l’idea di potere condizionare l’intera magistratura.
Peraltro il pm non avrebbe quelle garanzie costituzionali di cui invece gode la magistratura giudicante costituite da indipendenza, autonomia e inamovibilità.
Ma purtroppo bisogna fare sempre i conti con questo governo che sembra assumere posizioni ben solide peraltro dimostrando una seria avversione nei confronti della nostra Costituzione e quindi nei suoi valori fondanti (uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, bilanciamento dei poteri, centralità del Parlamento, indipendenza della magistratura. Ancora una volta interviene sull’argomento Roberto Scarpinato che sostiene: “Il ministro Nordio, nonostante dichiarazioni di facciata, condivide questa mancanza di affezione alla Costituzione e si è fatto promotore e interprete fedele di una politica classista caratterizzata da un doppio binario: pugno di ferro per i reati della gente comune e guanti di velluto per i colletti bianchi”.
Dice bene Scarpinato. In fondo è stato lo stesso ministro Nordio che non ha mai nascosto che secondo lui il potere d’indagine dovrebbe essere sottratto ai pm, per essere affidato esclusivamente agli organi di polizia che si trovano in posizione di subordinazione gerarchica verso il governo.
Ma a questo punto non possiamo sottacere una grande preoccupazione nascente dal fatto che andremo incontro ad uno Stato di polizia.
Al lettore dunque ogni valutazione sull’attuale stato della nostra politica. Attenzione, però. Sta per arrivare un’altra riforma importante e preoccupante, per volere del vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini: è il ripristino della leva militare.
Adesso chi glielo racconta alle nuove generazioni?
di Elio Collovà
La maggioranza parlamentare e il governo stesso, con la strenua collaborazione di tutti gli uomini e donne dello staff-Meloni, sono abbondantemente impegnati a definire lo scempio della Giustizia, prima che si concludano le elezioni europee. I lavori fervono nelle commissioni perché bisogna far presto e, soprattutto, bisogna essere veloci in modo che gli italiani – presi da una profonda assuefazione – non si accorgano di nulla.
In questi ultimi giorni, abbiamo assistito alla più rovinosa operazione di riforma della “giustizia”; una riforma fortemente proiettata verso una nuova Italia che prosegue sulla scia dell’eredità berlusconiana., così come la vuole Meloni.
Abbiamo assistito all’abolizione del reato dell’abuso d’ufficio, alle limitazioni imposte sulle intercettazioni fino alla recente approvazione del Governo inerente alla separazione delle carriere dei magistrati.
Venti minuti. Solo venti minuti ha impiegato il Consiglio dei ministri per varare quel pacchetto di provvedimenti che, in soli otto articoli, distrugge l’indipendenza del potere giudiziario cominciando dalla separazione delle carriere. Un provvedimento del governo che accende ancor più gli animi con il serio rischio di dover registrare un conflitto di poteri dello Stato. Giorgia Meloni ha definito la riforma “epocale” e “storica” non considerando in alcun modo le perplessità del capo dello Stato che si è guardato bene dal formulare pareri preventivi quando il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, insieme al sottosegretario Mantovano, si è recato al Quirinale per presentare a Mattarella il testo della legge.
Adesso il provvedimento, contenente le nuove norme costituzionali, approvato dal Consiglio dei ministri, sarà discusso in Parlamento in doppia lettura per l’approvazione parlamentare.
Sostanzialmente, le nuove norme dispongono che la magistratura ordinaria si distingua in magistratura giudicante e magistratura requirente che dipenderanno non più da un unico Csm (Consiglio superiore della magistratura) ma da due: uno per i magistrati con funzioni giudicanti e l’altro per i magistrati con funzioni requirenti, cioè per i pubblici ministeri. I due Csm saranno composti, da giudici scelti per “sorteggio temperato”. Secondo quanto dichiarato dal Guardasigilli, il sistema del sorteggio dovrebbe risolvere l’annoso problema delle correnti interne alla magistratura. Le nuove norme prevedono altresì la costituzione della “Alta Corte disciplinare”, con il compito di esaminare e sanzionare i magistrati che incorrono in errori e leggerezze, e quant’altro possa avere procurato danni a terzi.
Ovviamente, come c’era da immaginarsi, e come è giusto che sia, le toghe, per mezzo dell’Anm, hanno annunciato uno sciopero della categoria.
Alla separazione delle carriere dei magistrati consegue inevitabilmente la cancellazione del principio di autonomia dei poteri dello Stato: giudiziario, legislativo ed esecutivo. Sono certo che, proseguendo con questa politica – che tutelerà i colletti bianchi, la ricca borghesia e le classi più abbienti – le Procure dovranno dare la priorità alle indagini sui ladri di biciclette. Esattamente quello che voleva Berlusconi.
Roberto Scarpinato si pronuncia in proposito: “C’è un disegno ampio e organico per dare vita a un diritto penale di casta separando la gente comune dai ‘signori’ vicini al potere” […] “l’abolizione del reato di abuso d’ufficio è parte di un processo di recessione dello Stato, che esiste proprio per garantire il cittadino di fronte al potere.”.
Ebbene, lo scempio legislativo è in corso d’opera; prima è toccato all’abuso d’ufficio ad andare in pensione, ma, molto presto, ricordando le parole della senatrice Giulia Bongiorno, vedremo scomparire o, quanto meno, ridimensionato il ricorso all’intercettazione, con divieto di uso del trojan; assisteremo a una radicale modifica della prescrizione che vedrà, fin da subito, molti imputati liberi dalle accuse delle Procure e molti detenuti ritornare alle proprie case con tante scuse. Abbiamo assistito alla cosiddetta “legge bavaglio” che costituisce un vero attentato alla libertà di stampa; adesso dobbiamo assistere alla riforma della magistratura con le nuove norme sulla separazione delle carriere dei magistrati.
L’attuazione delle nuove norme, pone invero un problema non di poco conto: si tratta della distanza, anche culturale, che si verrà a creare fra giudicante e requirente, per effetto dei diversi percorsi professionali che dovranno affrontare le due figure.
Uno dei motivi che hanno dato luogo alla separazione delle carriere dei magistrati, si fonda sul fatto che è opinione diffusa che il magistrato giudicante si sarebbe appiattito eccessivamente sul pm. In effetti questa opinione viene largamente smentita dai numeri. È stato accertato infatti che circa la metà dei processi in dibattimento con rito ordinario si conclude con l’assoluzione. Quindi la favola del giudice appiattito sul pm è una strumentale discolpa assolutamente infondata.
Ma poiché il Guardasigilli non conosce ostacoli e persegue come un bulldozer i suoi programmi riformisti, disdegnando i pareri e le proposte da parte delle opposizioni e magari l’ascolto delle voci più autorevoli per competenza ed esperienza, la riforma va avanti.
Con la separazione delle carriere si avrà inesorabilmente l’indebolimento del magistrato giudicante a fronte di un pm molto forte sostenuto dal Ministero dell’Interno, quindi dal governo.
Così, in men che non si dica, abbiamo creato il pm alle dipendenze dell’esecutivo con immediata conseguenza che i processi, sia pure indirettamente, saranno (o potranno essere) controllati dal potere esecutivo.
In questo modo nasce il conflitto di poteri dello Stato.
Credo che chiunque abbia un minimo di capacità di analisi politica, potrà rilevare come il Paese Italia – già atteggiato all’autoritarismo più integrale – stia andando incontro all’oligarchia più dura.
Proseguendo con questi ritmi, credo che arriveremo molto presto, anche prima di quanto ci si possa immaginare, alla riforma del “premierato” della quale pare che la Meloni non sappia più fare a meno.
“O la va o la spacca”, dice Giorgia Meloni (utilizzando un linguaggio smodato) con il suo piglio di arroganza che invero mal si addice a un presidente del Consiglio che rappresenta la più alta istituzione esecutiva del Paese.
Un presidente del Consiglio non ricopre quella carica per fare scommesse sugli esiti dei programmi presentati ai propri elettori; dovrà piuttosto mostrare sicurezza e dare garanzie ai cittadini.
Sono peraltro convinto che, in tutto questo fervore riformista, assisteremo molto presto anche all’esecuzione dell’azione penale sulla base di liste di priorità approntate dal Guardasigilli; di tal che vedremo, ancora una volta, il potere giudiziario dipendere dal potere esecutivo. In effetti la questione sta tutta qui. Forse non ci sarebbe nulla di strano nella riforma che vede la separazione delle carriere, se non fosse per il fatto che tale riforma è il preludio all’introduzione della dipendenza del pm dall’esecutivo e all’introduzione della discrezionalità dell’azione penale.
Questo aspetto, invero desta molta preoccupazione visto che l’attuale maggioranza politica e l’attuale governo stesso (autoritario), coltiva l’idea di potere condizionare l’intera magistratura.
Peraltro il pm non avrebbe quelle garanzie costituzionali di cui invece gode la magistratura giudicante costituite da indipendenza, autonomia e inamovibilità.
Ma purtroppo bisogna fare sempre i conti con questo governo che sembra assumere posizioni ben solide peraltro dimostrando una seria avversione nei confronti della nostra Costituzione e quindi nei suoi valori fondanti (uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, bilanciamento dei poteri, centralità del Parlamento, indipendenza della magistratura. Ancora una volta interviene sull’argomento Roberto Scarpinato che sostiene: “Il ministro Nordio, nonostante dichiarazioni di facciata, condivide questa mancanza di affezione alla Costituzione e si è fatto promotore e interprete fedele di una politica classista caratterizzata da un doppio binario: pugno di ferro per i reati della gente comune e guanti di velluto per i colletti bianchi”.
Dice bene Scarpinato. In fondo è stato lo stesso ministro Nordio che non ha mai nascosto che secondo lui il potere d’indagine dovrebbe essere sottratto ai pm, per essere affidato esclusivamente agli organi di polizia che si trovano in posizione di subordinazione gerarchica verso il governo.
Ma a questo punto non possiamo sottacere una grande preoccupazione nascente dal fatto che andremo incontro ad uno Stato di polizia.
Al lettore dunque ogni valutazione sull’attuale stato della nostra politica. Attenzione, però. Sta per arrivare un’altra riforma importante e preoccupante, per volere del vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini: è il ripristino della leva militare.
Adesso chi glielo racconta alle nuove generazioni?
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