Mauro Rostagno, la voce della verità stroncata dai mafiosi
Era l'uomo vestito di bianco, tante
vite vissute nella sua seppur breve vita, ucciso all’età di 46
anni dai killer a Valderice il 26 settembre di 32 anni fa per mettere
fine alle sue denunce contro la mafia. Parlo di Mauro Rostagno,
leader studentesco del ’68 a Trento, sociologo, fondatore a Milano
di Macondo, una sorta di centro sociale ante litteram, fondatore di
Lotta Continua, poi dopo il suo scioglimento, l’approdo spirituale
in India, in una comunità di Arancioni. Quindi il ritorno in Italia,
in Sicilia, l’apertura a Trapani di Saman, una comunità
terapeutica per tossicodipendenti e poi, quasi per caso, l’avventura
del giornalismo, la nuova militanza civile della televisione, sempre
coerente con gli ideali e l’impegno civile che lo avevano guidato
negli anni della contestazione studentesca a Trento, promuovendo i
valori della solidarietà e del bene comune.
Da giornalista si
guardava intorno e, con l’onestà intellettuale e la passione
civile che lo contraddistingueva raccontava ciò che vedeva, facendo
nomi e cognomi. Parlava di mafia in quella provincia abituata ai
silenzi omertosi. Diceva quello che molti volevano che rimanesse
nelle segrete stanze, piaceva ai trapanesi per la sua schiettezza,
per il suo coraggio di dire le cose che altri, per quieto vivere,
tacevano. Lui, Mauro Rostagno, parlava dalla piccola Rtc, diceva cose
semplici ma straordinariamente efficaci, ci metteva la faccia e tutta
la sua passione civile. E questa piccola televisione, nell’ultima
delle tante vite di Rostagno, gli ultimi due anni della sua
esistenza, era diventata, grazie a lui, il punto di riferimento di
chi voleva sapere come andavano davvero le cose nel Trapanese. E la
gente non si perdeva i suoi tg, in cui, con la schiettezza, la
serietà, il rigore, ma anche con l’acuta ironia che lo
contraddistingueva, raccontava cos’era la mafia e la mala politica,
la corruzione, gli intrecci mafia-politica- massoneria.
Dava
fastidio. E prima di fermarlo hanno provato a sporcare la sua
immagine. Non sono mancati i depistaggi nella vicenda giudiziaria, la
pista interna a Saman che portò ad alcuni arresti, compreso quello
della compagna Chicca Roveri, o quello di un regolamento di conti
interno a Lotta Continua, per impedirgli di rivelare verità scomode
sui suoi ex compagni, tra cui Adriano Sofri, accusato dell’omicidio
del commissario Calabresi. Anche Rostagno ricevette una comunicazione
giudiziaria. Ne parlò in tv, spiegava di attendere di capire da chi
e perché veniva tirato in ballo in questa storia. Pronto a
combattere e a spiegare che se qualcuno si illudeva di potergli
mettere il bavaglio, si sbagliava di grosso.
Nell’ultima
intervista, concessa a Claudio Fava poco prima di morire, Rostagno
spiegava che la lotta alla mafia è più semplicemente una lotta per
il diritto alla vita. La mafia è sopravvivere, l’antimafia è
vivere. Uno così dava fastidio, uno così andava fermato. E la mafia
non ci ha pensato due volte.
Nella requisitoria del processo di
primo grado il pm Gaetano Paci dirà di lui: dopo che è stato
scandagliato ogni aspetto dell’esistenza poliedrica di Mauro
Rostagno, resta lo splendore della sua figura umana e intellettuale.
E l’altro pm, Francesco Del Bene: “Io aspetto ancora una
televisione che venga qui a parlare di mafia come ne parlava
Rostagno”.
Solo il piombo dei killer ha potuto chiudere la sua
bocca. Adesso attendiamo di conoscere la piena verità sulla morte di
Mauro. Si attende la sentenza della Cassazione che doveva essere
pronunciata a marzo ma che a causa dell’emergenza Covid è slittata
a novembre. Il processo d'appello ci ha consegnato una mezza verità,
confermando l’ergastolo per il mandante dell’omicidio, il boss
Vincenzo Virga, ma non per il presunto killer, Vito Mazzara. L’unica
certezza che abbiamo e che nessuno può mettere in discussione è che
è stata la mafia ad ucciderlo per il suo impegno di giornalista.
Cosa nostra si è presa la sua vita ma ha fallito, perchè Mauro
Rostagno, dopo tanti anni di colpevole silenzio, oggi è più che mai
vivo, rappresenta per tutti noi un modello di buon giornalismo di
cui, in questi tempi così difficili per il mondo della stampa,
sentiamo una grande necessità. Un giornalismo che deve tornare tra
la gente. Un giornalismo che torna a guardarsi intorno e a raccontare
ciò che vede, come faceva Rostagno. Mettendoci la faccia, coraggio,
creatività, passione civile. E' la lezione che Mauro e altri 7
giornalisti uccisi in Sicilia ci hanno lasciato, credendoci fino in
fondo. E' la strada per ritrovare, come categoria, credibilità e il
rispetto di noi stessi.
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