Matteo va alla guerra, la mafia e le stragi del ’92 secondo Di Girolamo
“Matteo va alla guerra - La mafia e le stragi del ’92 - come tutto ha inizio”, Giacomo Di Girolamo, Zolfo editore.
L’approccio alla lettura di un libro che parla di mafia, anche nel lettore più interessato e desideroso di approfondimenti su un tema tanto battuto e mai esaurito, è sempre complesso. Molti addetti ai lavori, giornalisti, scrittori, giallisti, saggisti, magistrati, negli ultimi anni hanno fatto dell’argomento motivo di ricerca e di lavoro e la grande produzione di testi pubblicati che trovano il favore delle case editrici potrebbe spingere verso una certa assuefazione oltre che provocare un velato disinteresse verso un “fenomeno” che invece andrebbe studiato nelle scuole, senza sottovalutazione e che, per questo richiede conoscenza e coscienza.
Nell’ultimo libro del giornalista marsalese Giacomo Di Girolamo, pubblicato da Zolfo editore, dal titolo "Matteo va alla guerra - La mafia e le stragi del ’92, come tutto ha inizio", gli spunti di interesse che rendono il lavoro originale sono molteplici. Senz’altro, prima di tutto, i luoghi e il periodo di riferimento della narrazione nello stile ibrido di un saggio “parlato” e in seconda battuta ma funzionale al primo spunto, il diverso punto di osservazione che l’autore sceglie per informare e raccontare nello stesso tempo.
Di Girolamo si concentra sui fatti precedenti le stragi di mafia del 1992 per spiegarci “come tutto ha inizio”, e come si è arrivati alle stragi che segnarono irrimediabilmente la storia del Paese, di cui quest’anno ricorrono i trent’anni. L’autore, che si occupa di mafia nella sua attività di giornalista e di direttore del sito on line Tp24, ha deciso di raccontare cosa è accaduto in quel momento storico, agli inizi degli anni Novanta partendo da questo angolo della Sicilia occidentale, così defilato geograficamente ma così contiguo ai grandi centri criminali della Sicilia; un luogo che si rivelerà strategico dove la mafia aveva avuto un “illustre” passato e dove oggi mantiene un preciso potere nelle dinamiche e nelle strategie criminali. Nata come mafia dei pascoli negli anni Cinquanta, passata al traffico di droga, poi alle stragi più efferate e alle contaminazioni con la politica, ha lasciato una scia lunghissima episodi criminali molti dei quali sfociati in inchieste delle forze dell’ordine e della magistratura che hanno inferto un duro colpo alla strategia mafiosa.
Di Girolamo spiega quindi come e perchè vennero decise le strategie criminali di Cosa Nostra nella provincia di Trapani e analizza il ruolo che nel tempo ha avuto il latitante castelvetranese Matteo Messina Denaro, figlio del capomafia Francesco, che dentro Cosa Nostra fece “carriera” e segnò – scrive l’autore - un cambio di persone dentro l’organizzazione.
«Dopo aver scritto tanto, tantissimo, di mafia – dice Giacomo Di Girolamo – mi è parso evidente che ci fossero alcune tessere mancanti nella ricostruzione del mosaico di quegli anni. Molto si è parlato delle stragi, a volte troppo, e paradossalmente più andiamo avanti, più sembra che qualcosa sfugga. Ho deciso di tornare all'origine di tutto, al territorio: perché il territorio racconta, sempre. E questo un giornalista lo sa. Mi sono accorto così che è rimasta ad oggi nell’ombra l’influenza dell’ala trapanese di Cosa Nostra nella realizzazione delle stragi».
L’autore si prefigge di colmare una lacuna. «Questo racconto, ancora, mancava – dice - Questo libro completa di fatto un mio lavoro di ricerca, avanti e indietro nel tempo, che mi ha portato a scrivere saggi come L’invisibile, la prima biografia di Matteo Messina Denaro, e Cosa Grigia, sulle nuove forme criminali che attraversano il Paese».
Il libro avanza passo dopo passo nella ricostruzione della strategia stragista con la semplicità di punto di vista, per così dire, “interno” che mette in luce una visione chiara e spiazzante dei perché e dei per come vengono decisi e messi in atto gli atti efferati da compiere, le valutazioni dei luoghi e dei tempi.
“Noi mica diciamo “Capaci” “Via d’Amelio” che è il gioco del Monopoli? Noi non diciamo nemmeno “La strage di Falcone”, “la strage di Borsellino”… Noi non parliamo dell’attentatuni che piaceva a Totò Riina come nome… Noi siamo precisi. E se proprio dobbiamo, ci piace ricordare tutto come fosse un dispaccio. Non ci vuole molto”. Così, nel libro, parlano i mafiosi per spiegarsi.
In questa sorta di prequel delle stragi di mafia del ‘92 dove si intrecciano i fatti, i mafiosi, i fratelli di mafia del boss latitante parlano in prima persona plurale.
“Voi non ci credete ma i più sinceri e precisi biografi del dottore Falcone eravamo noi”. Così sono proprio loro che diventano i protagonisti di un racconto amaro, asciutto e crudo. L’attenzione su Matteo Messina Denaro è sempre presente, è lui la “primula rossa” custode dei segreti che portarono agli attentati in cui persero la vita i giudici Falcone e Borsellino e gli uomini delle loro scorte. Scrive Di Girolamo: “La strategia stragista di Cosa Nostra servì al giovane boss per attuare un ricambio generazionale e prendere il comando dell’organizzazione, facendo compiere un salto di qualità alla mafia e trasformandola in maniera profonda, con conseguenze che riusciamo a capire solo oggi”. L’arresto di Bernardo Provenzano aveva lasciato un posto vuoto nell’organigramma mafioso e al giovane Messina Denaro era stato affidato il compito di organizzare gli attentati, sottolinea l’autore. Partendo dalla provincia di Trapani che a lungo forse gli ha dato rifugio sicuro, un luogo che il giudice Paolo Borsellino aveva definito un “santuario” delle organizzazioni mafiose palermitane, terra di latitanti forse per anni poco “battuta” dalle forze dell’ordine.
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