Mascherine di un’estate fa, la libertà ritrovata

Cultura | 19 febbraio 2021
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 "Quell’estate in mascherina, viaggio nell’Italia del 2020". E’ questo il filo conduttore di una serie di fotografie scattate dal giornalista Giovanni Franco durante i mesi durante i quali le restrizioni contro i contagi da Covid 19 sono state minori dopo il lockdown. Le immagini saranno esposte prossimamente a Messina in una mostra curata da Milena Romeo. Ha scritto Gesualdo Bufalino che l’obiettivo fotografico agisce come «una terza più crudele e infallibile pupilla » che ha il compito di « censire, tesaurizzare e ripetere all’infinito l’effimero universo delle apparenze». La pupilla di Giovanni Franco si è qui esercitata a far memoria della prima estate dell’era del Covid- 19, restituendoci immagini, colori, serenità e allegrie di una stagione che non sospettavamo fosse soltanto un intervallo tra l’una e l’altra inquietudine, l’una e l’altra angoscia.

Ci sono molte mascherine in questa galleria d’immagini: indossate correttamente, scivolate sul mento o sul collo, messe in mostra in un negozio d’abbigliamento, beffardamente imposte alla statua di padre Pio. Mascherine bianche, azzurre, a bolle, colorate, con sovrimpresse labbra a canotto, come per un malriuscito ritocco estetico. E c’è un documento di incantevole ironia: accanto a un cartello scritto a mano, appeso all’ingresso di un bar o di una bottega per ammonire che senza mascherina non si entra, appare una sarabanda di Pulcinella scatenati, ognuno con mascherina sì, ma sugli occhi e sul naso, com’è d’obbligo per quell’icona della più spavalda napoletanità. Sberleffo scanzonato per rischiarare d’allegria l’obbligo di mascheramento collettivo.

Una foto mi piace particolarmente, per la sua carica simbolica: l’immagine del verduraio che, con gli occhiali inforcati sulla mascherina e i guanti, rifila con un coltello un cespo di lattuga. Nella calda luce di una giornata estiva, il bianco immacolato della mascherina ( con valvola di sicurezza), l’azzurro dei guanti e il verde della lattuga sembrano scintillare e la nitidezza dei contorni suggerisce la prudenza, forse perfino la diffidenza che ispira ormai anche il più quotidiano dei gesti. Quel verduraio che affronta l’insalata travestito da chirurgo evoca il senso più profondo della pandemia: l’ansia di doverci difendere dalla natura, madre del virus, dopo averla a lungo sfidata. E viene da pensare al «dolore del mondo offeso» che angustiava l’arrotino filosofo della Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini.

Anche il verduraio prudente è un campione di quell’Italia che resiste che Giovanni Franco è andato rintracciando sulle spiagge affollate dell’estate, ai bordi delle fontane, sui prati dei parchi, sugli scogli che i gabbiani condividono con i pescatori, sui gradini delle chiese dove gli innamorati si scambiano baci e promesse, ai tavolini dei bar. È un catalogo di momenti sereni, la cronaca del ritorno al semplice piacere di vivere dopo i mesi bui e spaventati del lockdown. «… basterà frugare fra questi cimeli», cito ancora Bufalino, «perché questa o quella giornata risorga, d’un tempo antico e perduto, sotto il duplice ma compatibile segno della prossimità più vivace e della lontananza più gelida » . Così adesso, inoltrandoci nell’autunno del nostro scontento, guardiamo la radiosa ragazza che accenna un sorriso tra un’onda e l’altra, in un trionfo di spuma, per ritrovare la speranza in una nuova estate di libertà.(Repubblica Palermo)

 di Bianca Stancanelli

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