Manca un piano contro tratta e sfruttamento dei migranti

Società | 19 marzo 2015
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Sono circa 100 le donne nigeriane vittime di tratta a Palermo assistite dall'associazione “Il pellegrino della terra”. Il dato è stato diffuso all'interno di un seminario su "La tratta di esseri umani in Europa e in Italia" organizzato dall'associazione Ciss - cooperazione internazionale Sud Sud di Palermo - all'istituto penale per i minorenni di Palermo. Far conoscere l'impatto del crimine organizzato sulla tratta è una delle finalità del progetto “Root” portato avanti dal Ciss e cofinanziato dalla commissione europea, in partenariato con il Centro studi e iniziative europeo e in collaborazione con l'associazione “Il pellegrino della Terra”. Tra le difficoltà riscontrate dagli operatori c'è “La mancanza di un piano nazionale anti tratta – spiega Letizia Palumbo, ricercatrice Dems – e di linee guida che consentano una rapida identificazione delle vittime”.

 Come ha più volte segnalato il Consiglio d'Europa, sono pochissime le condanne inflitte in Italia ai mercanti di schiavi per una serie di lacune normative: “Molti trafficanti non possiedono beni in Italia e questo non consente il risarcimento delle vittime che devono aspettare la fine del processo per avere accesso a tali fondi – aggiunge Palumbo - Spesso poi le vittime non hanno la fermezza di portare a compimento il percorso processuale e sopportare le lungaggini burocratiche, trovandosi cosi in una nuova posizione di vulnerabilità”. La mancanza di un database comune e di un meccanismo di raccolta sistematica dei dati in grado di fare uscire allo scoperto gli innumerevoli casi di sfruttamento, impedisce di dare contezza esatta di un fenomeno contrassegnato da grande omertà e di dimensioni globali. L'Organizzazione internazionale del Lavoro ha stimato in 20,9 milioni le vittime di tratta e lavoro forzato, di cui circa 3 milioni nell'area Ocse e 880mila nella sola Unione europea.

Le donne costituiscono il 55% (11,4 milioni), contro i 9,5 milioni di uomini. I minori sono circa un quarto del totale delle vittime. Secondo il report stilato dal Greta (Gruppo di Esperti del Consiglio d’Europa per l’azione contro il traffico degli esseri umani) il numero di vittime assistite in Italia nel 2011 ammontava a 1955 (di cui 1417 donne, 446 uomini e 63 minori), nel 2012 era di 1650 (di cui 1094 donne, 420 uomini e 114 minori) e nel 2013 di 925 (di cui 650 donne, 230 uomini e 45 minori). Nel 2014 le vittime di tratta assistite in Italia sono state 1451, di cui 88 minori. “Il calo delle vittime assistite non indica una diminuzione dello sfruttamento – avvertono gli operatori del Ciss – basti pensare che secondo il dossier 'Piccoli schiavi invisibili' nel nostro Paese nel 2010 le vittime di tratta identificate o presunte sono state 2.381, il numero più alto tra i paesi dell’Unione Europea”.Antonella Lombardi

Le storie di ribellione dalle serre: “Temiamo un aumento degli aborti clandestini nel Ragusano”



La molla che ha fatto scattare la ribellione di Luana contro il suo datore di lavoro è stato il divieto di accompagnare i suoi due figli a scuola. Luana ha 40 anni, viene dalla Romania e lavora nelle campagne del Ragusano per 100 euro a settimana, quando va bene. I suoi figli l'hanno raggiunta in Italia dopo il suicidio del marito in Romania, con la speranza di un futuro migliore. Ma quando lei ha detto no a uno dei tanti abusi sessuali da parte del suo padroncino, si è vista negare l'acqua da bere per sé e i suoi bambini. La sua storia è stata raccolta dalla cooperativa Proxima di Ragusa e raccontata dalla ricercatrice Letizia Palumbo oggi all'istituto penale per i minorenni di Palermo durante un seminario su "La tratta di esseri umani in Europa e in Italia" organizzato dall'associazione Ciss - cooperazione internazionale Sud Sud di Palermo.

La cooperativa Proxima ospita le vittime di tratta e fornisce loro assistenza secondo quanto previsto dall'articolo 13 della legge 228/2003 e dall'articolo 18 del testo unico sull'immigrazione. A bordo di un “Solidal Transfert” cioè un piccolo furgone che attraversa le campagne, i volontari della cooperativa cercano di spezzare le condizioni di isolamento dei lavoratori nei campi, per lo più rumeni, arrivati nelle campagne in maniera massiccia a partire dal 2007. Una presenza che ha quasi soppiantato quella tunisina “è difficile che la donna araba lavori nei campi – spiegano gli operatori del Ciss – inoltre la comunità tunisina non intendeva sottostare all'abbassamento della paga imposto dai datori di lavoro.

L'avvento delle donne rumene ha creato una nuova forma di sfruttamento”. Lo provano i dati informali raccolti al reparto di ostetricia e ginecologia dell'ospedale di Vittoria “il giorno in cui si praticano le interruzioni di gravidanza è il martedi – continua la ricercatrice - arrivano una media di sei donne per volta, di cui 4 o 5 rumene. Hanno tra i 18 e i 28 anni e sono accompagnate da connazionali, altre volte da italiani molto più vecchi di loro. Nonostante in quell'ospedale i medici siano tutti obiettori di coscienza, fino al primo aprile 2014 questo tipo di attività è stata portata avanti grazie a ginecologi esterni alla struttura all'interno di un progetto dell'Asp terminato il 31 marzo 2014. Non è difficile immaginare che l'interruzione di questo progetto comporterà un esponenziale aumento degli aborti clandestini sul territorio”.

Non è andata meglio ad Alina, arrivata in Italia da Botoshan, zona poverissima della Romania. Alina ha lavorato fino al settimo mese di gravidanza, poi ha avuto un'emorragia e ha dovuto partorire d'urgenza. Il marito dice che era una buona azienda, perché anche se il datore le ha fatto delle avances, quando lui lo ha minacciato alla fine ha smesso. “Del resto nella serra c'era un'altra rumena col marito che faceva contento il padrone”. Quando però è nata la loro bimba si sono spostati a vivere a Gela, dove il nuovo datore di lavoro ha permesso loro di tenere la bambina. Qui però le condizioni sono di semi schiavitù: 9-10 ore di lavoro al giorno, con un compenso bassissimo, spesso senza neanche essere pagati, vivono in un magazzino interno che è una stanza spoglia. Il “padrone” qui ha lasciato in pace Alina, ma ha dei cani da guardia molto aggressivi.

Uno di questi, un dobermann, ha azzannato Alina e la bimba, ferendo gravemente alla coscia la piccola. “Ci sono voluti quasi 100 punti – ha detto Alina agli operatori – è stato impossibile fermare il cane”. Quando sono arrivati i carabinieri il datore ha detto che il cane non era suo, e intanto il dobermann era stato fatto scomparire. La rumena che aveva una relazione col proprietario delle serre ha avallato la sua testimonianza. Da qui Alina e il suo compagno hanno deciso di denunciarlo: deve loro più di 5000 euro e quando hanno intentato causa hanno scoperto che il contratto di lavoro era fasullo. Al momento la coppia soggiorna da Proxima, il processo è in corso e non si sa se ci saranno testimonianze in loro difesa dalle serre. Inoltre, la bambina dovrà essere sottoposta a interventi chirurgici per consentire al muscolo di svilupparsi correttamente.

Ma come sottolineato più volte nel corso del seminario, le vittime non hanno accesso al risarcimento se non a processo concluso. La cooperativa Proxima di Ragusa ha avviato una collaborazione con Emergency e Medici senza frontiere scoprendo le condizioni di degrado a cui sono soggetti i lavoratori nei campi: “Respirano fitofarmaci nelle serre – continua la ricercatrice Palumbo - hanno bambini che spesso non sono vaccinati e molti di loro non vanno a scuola perché le campagne dove lavorano i genitori non sono raggiunte da uno scuolabus. Ciò ha comportato il ritorno di malattie come meningite, tubercolosi e scabbia tra i bambini. Purtroppo, spesso, la mancanza di alternative concrete allo sfruttamento spinge le vittime a tornare nelle campagne dai propri padroni”. Proprio come è successo a Luana, tornata nelle serre di Vittoria dopo un mese di permanenza nel centro di accoglienza di Proxima. 

 di Antonella Lombardi

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