Mafia & politica: l'Italia è il Paese più corrotto d'Europa
«Nelle carceri italiane i reclusi per reati legati alla criminalità economica sono pochissimi. Se non togliamo la prescrizione per i reati di corruzione non andremo lontano. In un Paese moderno non c'è bisogno dei codici etici, noi però ne siamo pieni». Lo ha detto Ernesto Savona, ordinario di criminologia all’università Cattolica di Milano e direttore di Transcrime, intervenendo alla conferenza «Le mafie nell’era della globalizzazione, la corruzione e il peso dell’economia criminale», organizzata dal centro studi Pio La Torre al cinema Rouge et Noir di Palermo.
All’incontro è intervenuto anche Alberto Vannucci, docente di Scienze politiche dell’università di Pisa. «L'Italia è al 63/mo posto per corruzione nel mondo, e la prima in Europa - ha detto Vannucci - è stato calcolato che se raggiungesse lo stesso livello di integrità della Germania, il Pil italiano aumenterebbe di 585 miliardi di euro, quasi un quarto del debito pubblico, pari a circa 1000 euro pro capite di ricchezza prodotta al mese, con un margine di profitto più alto rispetto a quello tedesco». Eppure, i casi di corruzione sistemica che hanno inquinato i settori del servizio pubblico sono continui, come ha ricordato Vannucci, autore, peraltro, di un atlante sulla corruzione: «Il costo dell’alta velocità in Italia è stato fino al 600% superiore a quello di Francia, Spagna, Giappone, Parse che peraltro ha un’orografia simile al nostro. Per non parlare del progetto faraonico del Mose - ha proseguito Vannucci - costato 6 miliardi e non ancora concluso rispetto all’1,8 previsto. Un progetto di paratie mobili, già deteriorate, e dalle conseguenze imprevedibili sul fragile ecosistema della laguna». Ma le risorse sottratte alla corruzione hanno riguardato anche una piccola Asl di Foggia con la cosiddetta 'truffa dei flaconi d’orò, dove «il costo dei disinfettanti - ha detto Vannucci - è passato da 60 a 1920 euro, oltre 30 volte il loro valore, con un danno erariale da 2 milioni di euro».
Un decalogo per combattere le nuove mafie
“Un decalogo di interventi necessari per implementare la normativa antimafia e renderla più adeguata per colpire il fenomeno mafioso e i suoi mutamenti in questa fase storica”. Il Centro Studi Pio La Torre ha redatto tale decalogo partendo dalle proposte avanzate durante il seminario “Evoluzione delle mafie: adeguamento della legislazione e delle politiche antimafia”, organizzato il 10 ottobre allo Steri di Palermo per i trent’anni di attività del Centro Studi Pio La Torre. Avviso Pubblico ha intervistato Vito Lo Monaco, Presidente del Centro, per approfondire alcune proposte contenute nel decalogo.
1) Partiamo dal concorso esterno in associazione mafiosa. L’attuale formulazione non è più efficace nel colpire le connivenze politiche ed economiche?
Le nuove manifestazioni del sistema mafioso sono le cosiddette mafie silenti. Nel momento in cui questi nuovi sistemi si infiltrano nel circuito legale in maniera “sommersa” per riciclare i proventi illegali, si presentano problemi dal punto di vista giuridico, che non possono essere affrontati solo dal punto di vista giurisprudenziale. Il nostro vuole essere un elemento di riflessione su cosa sono, come si presentano queste nuove mafie e come devono organizzarsi, con quali strumenti, le nuove antimafie.
2) Il 416bis va modificato?
Va ampliato e rafforzato. L’inserimento dell’aggravante corruttiva nel reato di associazione mafiosa risponde ad un’altra caratteristica delle nuove mafie. La criminalità organizzata ha sempre prosperato sulla corruzione, ha sempre utilizzato il sistema corruttivo per affermare il suo potere. Oggi, in un momento in cui la corruzione è così diffusa e palese anche agli occhi dell’opinione pubblica, l’introduzione dell’aggravante risponde ad una necessità non più rinviabile.
3) In Italia c’è un deficit sul fronte della prevenzione?
Il contrasto al sistema mafioso non può essere delegato solo alle forze dell’ordine e alla magistratura, ma è una questione fondamentale per la vita democratica del nostro Paese e come tale deve essere considerata una priorità dell’agenda politica. Le misure di prevenzione, che sono il vero strumento per sconfiggere la criminalità organizzata, sono di competenza della sfera politica. A cominciare dalla decisione di sospendere da ogni incarico politico e amministrativo chi viene rinviato a giudizio per reati inerenti a mafie e corruzione.
4) Un aspetto critico del sistema è rappresentato dal riutilizzo dei beni confiscati. Dove è possibile agire in tempi brevi?
Il tema rappresenta una ferita aperta e i ritardi sulle decisioni da prendere ci stanno facendo pagare un conto enorme. In primo luogo l’Agenzia Nazionale deve essere messa in grado, con uomini e strumenti, di gestire un patrimonio enorme. Deve essere attrezzata per garantire l’immediato riutilizzo sociale dei beni, soprattutto laddove c’è un’attività produttiva. Altrimenti ne va consentita la vendita, in modo tale da non sprecare risorse. In secondo luogo l’Agenzia deve avere un suo Consiglio d’amministrazione, composto da persone competenti e non solo di rappresentanza. Vi deve essere poi un organo di governance che coinvolga le associazioni che gestiscono i beni. Una divisione di ruoli e delle funzioni che cancelli ogni possibile sospetto di conflitti di interesse. La risposta che deve dare lo Stato alla società è che la mafia non paga, l’antimafia sì. Il lavoratore impiegato in un’azienda confiscata non deve mai pensare come accade spesso oggi “con la mafia lavoravo e con l’antimafia sono disoccupato”.
5) E’ passato un anno dall’approvazione della riforma del Codice Antimafia alla Camera, a cui non ha ancora fatto seguito il via libera del Senato. Qual è il giudizio del Centro Pio La Torre sulla riforma?
La riforma non è esaustiva, ma è un passo avanti. Non è un codice unico e occorrerà avviare una procedura per elaborarlo: la sua creazione era e resta un’esigenza ineludibile. Le norme penali, le norme amministrative collegate alla legislazione antimafia vanno ricondotte in un testo coordinato per consentirne un’attuazione semplificata.
6) Il Centro sostiene l’idea di creare una Procura Europea Antimafia. Con quali funzioni?
La Procura Europea Antimafia dovrebbe rappresentare il passo verso una politica di contrasto omogenea a livello comunitario, una risposta all’internazionalizzazione delle mafie. La criminalità organizzata si è globalizzata ben prima delle imprese e l’Europa, tra le sue tante difficoltà, ha anche questo problema. Le legislazioni dei Paesi comunitari devono adeguarsi, traendo spunto dall’esperienza italiana. Non sarà facile perché è uno dei temi scomparsi dall’agenda politica europea, ma rimane una delle questioni più urgenti da affrontare.
Ultimi articoli
- Bagheria, consiglio
aperto sulla “marcia” - La nuova Cortina
di ferro grande campo
di battaglia - La riforma agraria che mancò gli obiettivi / 2
- Mattarella, leggi
di svolta dall'incontro
con il Pci - Mattarella fermato
per le aperture al Pci - La legalità vero antidoto per la cultura mafiosa
- Natale, un po' di rabbia
e tanta speranza
nella cesta degli auguri - Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1 - La legge bavaglio imbriglia l'informazione
- Perché l’Occidente si autorinnega