Mafia e appalti, la pista che viene da lontano
Società | 9 luglio 2024
La notizia è diffusa da pochi giorni: l’ex magistrato Gioacchino Natoli è indagato per favoreggiamento alla mafia e calunnia. I pubblici ministeri di Caltanissetta lo indagano per aver “aiutato” i boss di Cosa nostra Antonino Buscemi e Francesco Bonura, l’imprenditore e politico Ernesto Di Fresco (ex deputato della Dc negli anni ’80, morto nel 2002), Raul Gardini, Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini, dirigenti di vertice del gruppo Ferruzzi. Nell’invito a comparire si legge che Natoli “disponeva che non venissero trascritte conversazioni particolarmente rilevanti, da considerarsi vere e proprie autonome notizie di reato. Interrogato dai pm di Caltanissetta, Natoli si è avvalso della facoltà di non rispondere. I suoi difensori hanno fatto sapere che l’ex pm “si riserva di chiedere alla Procura della Repubblica di Caltanissetta un successivo interrogatorio in cui fornire ogni utile chiarimento”.
I fatti per i quali Natoli è indagato risalgono al 1991 e precisamente nel periodo che va dalla strage di Capaci a quella di via D’Amelio. Una indagine quella attuale dei magistrati nisseni che si ricollega a quella già espletata e in parte archiviata dall’allora procuratore capo Francesco Messineo, dagli aggiunti Renato Di Natale e Francesco Paolo Giordano, e risalente al giugno di 21 anni fa.
Al centro della questione una indagine che Gioacchino Natoli avrebbe “insabbiato” (è l’ipotesi di accusa) nel giugno del 1992, o meglio non avrebbe tenuto nella dovuta considerazione il fascicolo aperto dai pm di Massa Carrara e poi confluito nell’indagine madre di Palermo sui rapporti fra i clan e il mondo della politica per l’aggiudicazione degli appalti pubblici.
Secondo certe ricostruzioni, proprio questo filone porta all’omicidio del giudice Paolo Borsellino. Ecco cosa dicevano, ma soprattutto scrissero, i magistrati di Caltanissetta: “La gestione illecita del sistema di aggiudicazione degli appalti in Sicilia aveva costituito uno dei molteplici moventi che avevano indotto Cosa nostra a deliberare ed eseguire le terribili stragi siciliane del 1992; che tale movente era rappresentato dall’interesse che alcuni ambienti politico-imprenditoriali e mafiosi avevano di evitare lo sviluppo e l’approfondimento di indagini, il cui esito positivo avrebbe interrotto l’illecito “approvvigionamento finanziario”, per l’ammontare di svariati miliardi, di cui imprenditori, politici e mafiosi beneficiavano mediante l’illecito sistema di controllo e di aggiudicazione degli appalti pubblici; che il movente suddetto aveva influito fortemente nella deliberazione adottata da Cosa nostra di attualizzare il progetto, già esistente da tempo, di uccidere Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, atteso che era intenzione dell’organizzazione criminale neutralizzare l’intuizione investigativa di Falcone in relazione alla gestione illecita degli appalti, le indagini sulla quale avrebbero aperto già nel 1991 scenari inquietanti e, se svolte con completezza e tempestività fra il 1991 e il 1992, inquadrandole in un preciso contesto temporale, ambientale e politico, avrebbero avuto un impatto dirompente sul sistema economico e politico italiano ancora prima, o al più contestualmente, dell’infuriare nel Paese della cosiddetta tangentopoli”.
Tutto questo determinò un approfondimento da parte della procura di Caltanissetta delle indagini, non soltanto nei confronti degli appartenenti a Cosa nostra, cui il progetto stragista venne genericamente attribuito, ma più specificatamente e più direttamente verso coloro i quali si occupavano in concreto, per conto dell’organizzazione criminale di tipo politico-mafioso-imprenditoriale, dell’illecita gestione degli appalti per deciderne preventivamente l’aggiudicazione, per regolare la distribuzione di subappalti e l’acquisizione di tangenti e forniture. Soggetti che per tale ragione avevano un preciso interesse a neutralizzare le indagini relative eliminando fisicamente i magistrati ai quali venivano notoriamente riconosciute la capacità professionale e la volontà per svolgerle.
Ancor più tale interesse si era rafforzato allorquando Paolo Borsellino, dopo la strage di Capaci, si era fortemente determinato a sviluppare le indagini in questione riprendendole nel solco originariamente tracciato da Giovanni Falcone.
A tal proposito è stato non solo sottolineato ma anche sentenziato nei vari processi sulla strage di via D’Amelio che l’eccidio ebbe una “accelerazione”.
“Il dossier mafia e appalti era un dossier molto importante – ha sostenuto l’avvocato della famiglia Borsellino, Fabio Trizzino, durante l’audizione davanti la commissione antimafia –, certo era un atto imperfetto, non possiamo considerarlo un rapporto perfetto. Bisognava starci sopra, d’altra parte Giovanni Falcone che ne sollecitò la consegna nel febbraio del 1991 disse che bisognava affinare le metodologie di indagine”. L’avvocato Trizzino ha aggiunto: “L’accelerazione della strage non ha senso guardando agli interessi puri e semplici dell’organizzazione mafiosa di Totò Riina”.
Con la notizia dell’indagine che coinvolge l’ex pm Gioacchino Natoli le connessioni tra mafia e appalti sono ritornate di attualità, ma si tratta, usando un eufemismo, di un ricorso storico. Nella richiesta di archiviazione sui alcuni dei fatti, oggi in primo piano, la procura di Caltanissetta approfondì il tema. Il tema delle connessioni fra mafia e appalti aveva ricevuto un notevole impulso dalla collaborazione di Angelo Siino prima e di Giovanni Brusca dopo. Secondo i magistrati nisseni, le persone alle quali era affidata la gestione illecita degli appalti erano individuabili in Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Giovanni Brusca, Antonio e Salvatore Buscemi, Giuseppe Lipari, Giovanni Bini (che curava gli interessi della Calcestruzzi spa del gruppo Ferruzzi-Gardini), Antonino Reale, Benedetto D’Agostino e Agostino Catalano amministratore della Reale costruzione srl e consuocero di Vito Ciancimino.
Ecco che entra l’inchiesta della procura di Massa Carrara, giugno 1992. Scrivono i magistrati nisseni: “Che i Buscemi fossero oggetto di investigazioni abbastanza penetranti all’epoca, risulta dalla dichiarazioni del dottor Augusto Lama, già sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale di Massa Carrara, il quale ha precisato di avere trasmesso nell’agosto del 1991 a Palermo alcuni atti relativi ad indagini espletate nei confronti della Imeg, riconducibile ai fratelli Buscemi e di avere successivamente nel 1994, avuto un contatto con un magistrato della procura di Palermo. In quest’incontro venne evidenziato che gli elementi a suo tempo acquisiti a Palermo circa i rapporti fra il gruppo Ferruzzi e Cosa nostra avevano avuto riscontri cospicui ed erano stati compendiati in una nota informativa redatta dallo Sco della polizia di Stato”.
La società Calcestruzzi era stata citata anche dal collaboratore di giustizia Leonardo Messina, nelle dichiarazioni rese appena diciotto giorni prima della strage di via D’Amelio, proprio al procuratore Paolo Borsellino, come impresa afferente agli interessi di Salvatore Riina.
Dopo la morte di Borsellino la procura di Palermo riprende il vecchio spezzone di indagini pervenuto dalla procura di Massa Carrara sulla Imeg e dà una delega di indagini al Servizio Centrale Operativo della polizia, il quale risponde nel 1994 con una relazione inviata alla procura di Palermo, ufficio giudiziario che a sua volta, senza ulteriore attività, la trasmetteva alla procura di Caltanissetta nel 2000.
In quel rapporto veniva affermato che “sui soggetti considerati dal rapporto aveva indagato Giovanni Falcone e che la prima dichiarazione di Leonardo Messina circa l’interessamento di Riina nella Calcestruzzi fu raccolta da Paolo Borsellino. Quindi, pur non essendovi la prova piena e certa che l’interesse investigativo su mafia e appalti avesse potuto assumere il significato di matrice della strategia stragista, si affermava ugualmente un sottile filo conduttore come legame di lavoro tra Falcone e Borsellino”.
I magistrati di Caltanissetta così conclusero: “La magistratura di Palermo, probabilmente per il limitato bagaglio di conoscenze a disposizione, non attribuì soverchia importanza alla connessione Buscemi-Gruppo Ferruzzi, dal momento che il procedimento iniziato a Massa Carrara, a carico di Antonino Buscemi, fu archiviato a Palermo l’1giugno 1992, subito dopo la strage di Capaci”.
di Giuseppe Martorana
I fatti per i quali Natoli è indagato risalgono al 1991 e precisamente nel periodo che va dalla strage di Capaci a quella di via D’Amelio. Una indagine quella attuale dei magistrati nisseni che si ricollega a quella già espletata e in parte archiviata dall’allora procuratore capo Francesco Messineo, dagli aggiunti Renato Di Natale e Francesco Paolo Giordano, e risalente al giugno di 21 anni fa.
Al centro della questione una indagine che Gioacchino Natoli avrebbe “insabbiato” (è l’ipotesi di accusa) nel giugno del 1992, o meglio non avrebbe tenuto nella dovuta considerazione il fascicolo aperto dai pm di Massa Carrara e poi confluito nell’indagine madre di Palermo sui rapporti fra i clan e il mondo della politica per l’aggiudicazione degli appalti pubblici.
Secondo certe ricostruzioni, proprio questo filone porta all’omicidio del giudice Paolo Borsellino. Ecco cosa dicevano, ma soprattutto scrissero, i magistrati di Caltanissetta: “La gestione illecita del sistema di aggiudicazione degli appalti in Sicilia aveva costituito uno dei molteplici moventi che avevano indotto Cosa nostra a deliberare ed eseguire le terribili stragi siciliane del 1992; che tale movente era rappresentato dall’interesse che alcuni ambienti politico-imprenditoriali e mafiosi avevano di evitare lo sviluppo e l’approfondimento di indagini, il cui esito positivo avrebbe interrotto l’illecito “approvvigionamento finanziario”, per l’ammontare di svariati miliardi, di cui imprenditori, politici e mafiosi beneficiavano mediante l’illecito sistema di controllo e di aggiudicazione degli appalti pubblici; che il movente suddetto aveva influito fortemente nella deliberazione adottata da Cosa nostra di attualizzare il progetto, già esistente da tempo, di uccidere Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, atteso che era intenzione dell’organizzazione criminale neutralizzare l’intuizione investigativa di Falcone in relazione alla gestione illecita degli appalti, le indagini sulla quale avrebbero aperto già nel 1991 scenari inquietanti e, se svolte con completezza e tempestività fra il 1991 e il 1992, inquadrandole in un preciso contesto temporale, ambientale e politico, avrebbero avuto un impatto dirompente sul sistema economico e politico italiano ancora prima, o al più contestualmente, dell’infuriare nel Paese della cosiddetta tangentopoli”.
Tutto questo determinò un approfondimento da parte della procura di Caltanissetta delle indagini, non soltanto nei confronti degli appartenenti a Cosa nostra, cui il progetto stragista venne genericamente attribuito, ma più specificatamente e più direttamente verso coloro i quali si occupavano in concreto, per conto dell’organizzazione criminale di tipo politico-mafioso-imprenditoriale, dell’illecita gestione degli appalti per deciderne preventivamente l’aggiudicazione, per regolare la distribuzione di subappalti e l’acquisizione di tangenti e forniture. Soggetti che per tale ragione avevano un preciso interesse a neutralizzare le indagini relative eliminando fisicamente i magistrati ai quali venivano notoriamente riconosciute la capacità professionale e la volontà per svolgerle.
Ancor più tale interesse si era rafforzato allorquando Paolo Borsellino, dopo la strage di Capaci, si era fortemente determinato a sviluppare le indagini in questione riprendendole nel solco originariamente tracciato da Giovanni Falcone.
A tal proposito è stato non solo sottolineato ma anche sentenziato nei vari processi sulla strage di via D’Amelio che l’eccidio ebbe una “accelerazione”.
“Il dossier mafia e appalti era un dossier molto importante – ha sostenuto l’avvocato della famiglia Borsellino, Fabio Trizzino, durante l’audizione davanti la commissione antimafia –, certo era un atto imperfetto, non possiamo considerarlo un rapporto perfetto. Bisognava starci sopra, d’altra parte Giovanni Falcone che ne sollecitò la consegna nel febbraio del 1991 disse che bisognava affinare le metodologie di indagine”. L’avvocato Trizzino ha aggiunto: “L’accelerazione della strage non ha senso guardando agli interessi puri e semplici dell’organizzazione mafiosa di Totò Riina”.
Con la notizia dell’indagine che coinvolge l’ex pm Gioacchino Natoli le connessioni tra mafia e appalti sono ritornate di attualità, ma si tratta, usando un eufemismo, di un ricorso storico. Nella richiesta di archiviazione sui alcuni dei fatti, oggi in primo piano, la procura di Caltanissetta approfondì il tema. Il tema delle connessioni fra mafia e appalti aveva ricevuto un notevole impulso dalla collaborazione di Angelo Siino prima e di Giovanni Brusca dopo. Secondo i magistrati nisseni, le persone alle quali era affidata la gestione illecita degli appalti erano individuabili in Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Giovanni Brusca, Antonio e Salvatore Buscemi, Giuseppe Lipari, Giovanni Bini (che curava gli interessi della Calcestruzzi spa del gruppo Ferruzzi-Gardini), Antonino Reale, Benedetto D’Agostino e Agostino Catalano amministratore della Reale costruzione srl e consuocero di Vito Ciancimino.
Ecco che entra l’inchiesta della procura di Massa Carrara, giugno 1992. Scrivono i magistrati nisseni: “Che i Buscemi fossero oggetto di investigazioni abbastanza penetranti all’epoca, risulta dalla dichiarazioni del dottor Augusto Lama, già sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale di Massa Carrara, il quale ha precisato di avere trasmesso nell’agosto del 1991 a Palermo alcuni atti relativi ad indagini espletate nei confronti della Imeg, riconducibile ai fratelli Buscemi e di avere successivamente nel 1994, avuto un contatto con un magistrato della procura di Palermo. In quest’incontro venne evidenziato che gli elementi a suo tempo acquisiti a Palermo circa i rapporti fra il gruppo Ferruzzi e Cosa nostra avevano avuto riscontri cospicui ed erano stati compendiati in una nota informativa redatta dallo Sco della polizia di Stato”.
La società Calcestruzzi era stata citata anche dal collaboratore di giustizia Leonardo Messina, nelle dichiarazioni rese appena diciotto giorni prima della strage di via D’Amelio, proprio al procuratore Paolo Borsellino, come impresa afferente agli interessi di Salvatore Riina.
Dopo la morte di Borsellino la procura di Palermo riprende il vecchio spezzone di indagini pervenuto dalla procura di Massa Carrara sulla Imeg e dà una delega di indagini al Servizio Centrale Operativo della polizia, il quale risponde nel 1994 con una relazione inviata alla procura di Palermo, ufficio giudiziario che a sua volta, senza ulteriore attività, la trasmetteva alla procura di Caltanissetta nel 2000.
In quel rapporto veniva affermato che “sui soggetti considerati dal rapporto aveva indagato Giovanni Falcone e che la prima dichiarazione di Leonardo Messina circa l’interessamento di Riina nella Calcestruzzi fu raccolta da Paolo Borsellino. Quindi, pur non essendovi la prova piena e certa che l’interesse investigativo su mafia e appalti avesse potuto assumere il significato di matrice della strategia stragista, si affermava ugualmente un sottile filo conduttore come legame di lavoro tra Falcone e Borsellino”.
I magistrati di Caltanissetta così conclusero: “La magistratura di Palermo, probabilmente per il limitato bagaglio di conoscenze a disposizione, non attribuì soverchia importanza alla connessione Buscemi-Gruppo Ferruzzi, dal momento che il procedimento iniziato a Massa Carrara, a carico di Antonino Buscemi, fu archiviato a Palermo l’1giugno 1992, subito dopo la strage di Capaci”.
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