Lotta ai criminali che appiccano incendi

28 luglio 2021
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Fare terra bruciata nei confronti di chi brucia la terra. Equiparare nella trattazione giudiziaria il reato di incendio doloso ai reati di mafia e terrorismo. E dunque introdurre la stessa attenzione “rafforzata” nei confronti di chi brucia centinaia o migliaia di terreni sia boschivi che coltivati. Applicare per questo delitto la legge 13 settembre 1982, n. 646 (la legge Rognoni – La Torre) con il sequestro sia preventivo che conservativo dei beni per coloro che lo commettono, fosse anche la modesta abitazione di residenza della famiglia dell’incendiario o un suo piccolo podere o la sua utilitaria. Potenziare il ruolo dell’intelligence infiltrando un numero massiccio di agenti di polizia e dell’AISI, l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna, i nostri servizi segreti, in tutti i settori – dallo spegnimento con mezzi aerei alle squadre locali di operai forestali – che vivono delle attività antincendio. Così come tra chi su un’area incenerita può prefigurarsi future mire affaristiche e speculative “diverse”. Vagliare sempre con metodo e in una visione sistemica i motivi di litigio tra confinanti di terreni agricoli, le dispute di proprietari, coltivatori, allevatori, pastori, talvolta all’origine di atti estremi ritorsivi di danneggiamento, siano dimostrativi o punitivi. Ricorrere ben più che nel passato ad ogni supporto tecnologico – sempre più moderno, sempre più sofisticato – che possa essere d’aiuto nella prevenzione e nell’individuazione di chi appicca incendi: dai satelliti ai droni, dalla videosorveglianza alla cybersecurity nelle intercettazioni informatiche e telefoniche.


In tanti sospettano che tra gli operai forestali si annidino (poche) mele marce che infangano il lavoro onesto di migliaia di colleghi alla cui abnegazione dobbiamo al contrario riconoscimento e ringraziamento. Specie quando, alle prese con violenti roghi di vaste proporzioni, rischiano la vita nelle fasi di spegnimento delle fiamme. Non si intende criminalizzare intere categorie lavorative impegnate nelle attività antincendio ma, se questi sospetti fossero fondati ed accertati, bisogna intervenire con la massima decisione - anche dall’interno - per isolare i piromani stroncando la loro azione criminale. In tutti i settori ed a tutti i livelli.

Sono intollerabili la passività, l’arrendevolezza, la sottovalutazione con la quale nel nostro paese si contrastano incendiari e incendi. Nella quasi totalità dei casi dolosi. Chi uccide la natura, distrugge col fuoco aziende agricole, industriali, commerciali, vanifica una intera vita di lavoro e sacrificio di centinaia di imprenditori agricoli e degli altri settori, incenerisce animali e biodiversità, costringe ad evacuare interi paesi, procura danni economici per complessivi miliardi di euro non si può considerare che un assassino, un criminale, un terrorista. E come tale va combattuto e trattato.

Gli incendi estivi quest’anno, in particolare in Sardegna (danni per un miliardo di euro!) ed in Sicilia, hanno assunto proporzioni bibliche, da piaghe d’Egitto, con rovine economiche di migliaia di famiglie e costi insopportabili a carico della collettività per lo spegnimento. In epoca di mutazione climatica galoppante così come di avvisaglie di contrazione della produzione agricola giusto a causa del cambiamento climatico meno di prima possiamo permetterci la perdita conseguenziale di migliaia di tonnellate di mancate derrate alimentari prodotte, di migliaia di capi di bestiame periti nei roghi. Non possiamo permetterci tali devastanti aggressioni alla natura. Chi le procura va considerato un nemico pubblico numero uno.


Analizziamo la legislazione vigente. La materia in sede giudiziaria è normata dagli articoli 423, 423-bis e 424 del Codice Penale che così recitano:

“Articolo 423. Chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni.

La disposizione precedente si applica anche nel caso di incendio della cosa propria, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità”.

“Articolo 423-bis (Incendio boschivo). Chiunque cagioni un incendio su boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.

Se l’incendio di cui al primo comma è cagionato per colpa, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.

Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate se dall’incendio deriva pericolo per edifici o danno su aree protette.

Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate della metà, se dall’incendio deriva danno grave, esteso e persistente all’ambiente”.

Articolo 424. (Danneggiamento seguito da incendio). Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell'art. 423-bis, al solo scopo di danneggiare la cosa altrui, appicca il fuoco a una cosa propria o altrui è punito, se dal fatto sorge il pericolo di un incendio, con la reclusione da sei mesi a due anni. Se segue l'incendio, si applicano le disposizioni dell'art. 423, ma la pena è ridotta da un terzo alla metà.

Se al fuoco appiccato a boschi, selve e foreste, ovvero vivai forestali destinati al rimboschimento, segue l'incendio, si applicano le pene previste dall'art. 423-bis".


Appare di tutta evidenza che l’effetto deterrente dei dispositivi appena letti non può che definirsi minimo. Inadeguato. Chi viene pizzicato – sempre troppo pochi finora, per la verità – resterà in galera solo pochi giorni e poi tutto si annacquerà in interminabili processi, appelli, sconti di pena, prescrizioni varie. Una pacchia nazionale.

Così non finirebbe se il reato fosse equiparato nel trattamento giudiziario ai reati di mafia e terrorismo. Così non finirebbe se chi dissemina inneschi incendiari in più punti per rendere i roghi incircoscrivibili fosse certo che una volta chiuso in cella - per decine di anni! - la sua casa e tutti i suoi averi saranno sequestrati ed assegnati ad altre persone più meritevoli di lui. E se fosse certo che i suoi familiari dovranno pertanto trovarsi un'altra residenza, un’altra sistemazione e altri luoghi dove abitare, senza che il loro sostentamento sia una preoccupazione della collettività.

Bisogna distinguere, certo, tra il piromane patologico – una persona malata con non tutte le rotelle del cervello a posto – e chi appicca incendi ai boschi, alla macchia mediterranea, ai campi, a riserve naturali nel quadro di un preciso disegno a tavolino non di una persona isolata ma di interessi di gruppi di persone. Nel primo caso si finisce ugualmente ed a lungo in galera, sia chiaro, ma nel secondo si trascorre il resto della vita in galera. Non è una differenza da poco.

Dal pentitismo ad un ricorso pianificato all’infiltrazione ed all’intelligence tutto deve essere proiettato ad una lotta senza quartiere – sia preventiva che repressiva – al fenomeno ormai fuori controllo degli incendi dolosi. Senza sconti e senza pietà.

Dei delitti e delle pene. Un bosco incenerito impiega almeno quindici anni per tornare ad una prima, embrionale parvenza di vita. Chi lo ha distrutto dovrà essere consapevole che assieme al bosco ha distrutto anche la sua vita e la sua famiglia.

 di Pino Scorciapino

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