Lo sviluppo condiviso della Sicilia a prescindere

Economia | 25 agosto 2015
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I media  siciliani d'agosto hanno parlato diffusamente delle politiche di sviluppo: nella  settimana successiva al ferragosto in occasione  dell'approvazione del POR FESR Sicilia, successivamente per la notizia tutt'altro che positiva della restituzione al governo nazionale di 162 milioni di euro di fondi PAC non impegnati in tempo utile dalla Regione. Il POR FESR, frutto di un lungo negoziato con la Commissione che ne ha profondamente modificato l'impostazione iniziale, completa la gamma degli strumenti europei di investimento disponibili in Sicilia per il ciclo di programmazione 2014-2020 che potrà finalmente avviarsi. Il ruolo di questo programma sarà fondamentale soprattutto per quanto riguarda l'innovazione e ricerca, l'agenda digitale, il sostegno alla PMI, la diffusione dell'economia a bassa diffusione di carbonio. Pur con l'incertezza derivante dalla mancata  programmazione del fondo sviluppo coesione, cioè le risorse nazionali concentrate per l'80% nelle regioni del Mezzogiorno,  sommando FSE, PSR e fondo europeo sviluppo regionale è verosimili calcolare che ci si aggiri sui sei miliardi di euro cui andranno aggiunti oltre tre miliardi di cofinanziamenti nazionali e la quota che toccherà all'isola dei programmi operativi nazionali. Se si aggiungono i fondi nazionali cui prima accennavo e la quota residua della programmazione 2007-2013 non siamo lontani dai venti miliardi  in dieci anni citati nel DPEF regionale.

Sono tanti soldi se si rispetterà l'addizionalità rispetto alla spesa ordinaria statale e regionale per investimenti e si eviterà di usarli- al contrario di come si è fatto negli ultimi anni- per ripianare partite di spesa corrente del bilancio della Regione. Qui casca l'asino: la situazione finanziaria della Regione è- ormai per senso comune- talmente grave che non è pensabile di far quadrare i bilanci dei prossimi anni senza un accordo preventivo con il governo centrale su un credibile piano di risanamento. Uno dei motivi per cui trovo tragicomica la campagna  contro lo Statuto autonomistico è che coloro che  la propugnano non si sono resi conto che la sentenza della Corte Costituzionale di qualche mese fa (relatore l'allora giudice costituzionale Sergio Mattarella, oggi presidente della Repubblica), modificando i poteri del Commissario dello Stato ha nei fatti reso impossibile qualsiasi manovra finanziaria nell'isola senza negoziarla con il governo nazionale.  Tale è il messaggio sotteso  all'impugnativa del bilancio regionale 2016 da parte del Consiglio dei ministri.

 Sono assai critico con il governo Renzi e con il progetto di centralizzazione delle risorse  emerso dalla discussione svoltasi nella direzione PD del 7 agosto e dall'annunciata presentazione a settembre di un Masterplan che già dalle cifre (i mitici 100 miliardi  della famosa riunione del 2° gabinetto Prodi nella Reggia di Caserta nel 2006)  ripercorre una strada su cui le politiche  per il Meridione si sono già in passato più volte smarrite; ma inevitabilmente la dichiarata intenzione di Roma di tenere saldamente nelle proprie mani la governance strategica e la gestione amministrativa dei fondi strutturali, dei programmi paralleli derivanti dalla riduzione del cofinanziamento nazionale, del fondo sviluppo e coesione  ridurranno al minimo i margini di azione autonoma della Giunta di governo siciliana. Probabilmente anche riflessioni di questa natura potrebbero contribuire a fornire la chiave di lettura di molti avvenimenti di questa estate travagliatissima della politica siciliana. Ci sarà tempo e modo, a settembre, per esaminare  i contenuti, le potenzialità ed i limiti dei tre programmi operativi e cercare le tracce disperse del Piano di Rafforzamento Amministrativo che la Commissione aveva posto come principale condizionalità ex ante per la nuova programmazione:  come l'Araba Fenice “che vi sia ognun lo dice, ove sia niun lo sa”.

Nel frattempo è necessario aprire un confronto vero, di merito con il sindacato, le associazioni imprenditoriali, i soggetti che rappresentano interessi diffusi nella società civile, per dare un'”anima“ ai documenti programmatici. Non basta far partire i bandi; bisogna recuperare un'idea  condivisa del futuro della Sicilia che oggi è del tutto assente; e non solo nel ceto politico. In un intelligente articolo di un giovane ricercatore della Svimez, Peppe Provenzano, si denunciava l'assenza di una visione del futuro dell'isola.  E' vero: non servono la demagogia di una  rivoluzione immaginaria, i populismi delle “regie trazzere” né  le previsioni apocalittiche alla Buttafuoco a uscire dal vicolo cieco in cui ci siamo infilati. Serve un'assunzione di responsabilità di ciascuno e un impegno  spasmodico di tutti per trovare soluzioni che abbiano insieme la capacità visionaria di immaginare un futuro diverso e il realismo della coerente azione quotidiana per il cambiamento. Altrimenti, davvero, la Sicilia non si sottrarrà alla mediocrità dei politicanti ed al declino della vita pubblica.

 di Franco Garufi

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