Lo strano caso del maestro armerino e del suo doppio ai tempi del fascio

Cultura | 26 novembre 2019
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«Io nell’anno ‘928-29 avevo vent’anni, ero stata a Monrupino-Repen a insegnare lingua italiana alle classi sesta, settima e ottava». Muove da questo ricordo sepolto di una maestra di vent’anni il nuovo libro di Adriano Sofri, “Il martire fascista” (Sellerio editore, pag. 237, euro 15,00). Narra la tragica vicenda di un maestro siciliano di solida fede fascista. Francesco Sottosanti, era nato a Piazza Armerina, in provincia di Enna. Dopo la carneficina della Grande guerra, va ad insegnare in un paesino sloveno non lontano da Gorizia. Ha una giovane moglie e cinque figli. Una sera di ottobre, l’anno scolastico 1929-1930 è iniziato da diciannove giorni, il maestro siciliano rientra a casa inforcando la sua bicicletta. Il tenue lumino della sua Stucchi rischiara il buio mentre guadagna a fatica la salita. Sente il suo nome invocato dalla moglie e dalla figlia che lo attendono con ansia alla finestra. Lui risponde con un tintinnìo del campanello. Sale i quattro gradini che lo separano dal portone della scuola dove ha trovato alloggio. Tre colpi di arma da fuoco squarciano il silenzio. Il maestro siciliano, cade riverso a terra, privo di vita.

Con Adriano Sofri si può non essere d’accordo. Ma non si può non condividere il rigore delle sue riflessioni. Anche in questo libro, come accade spesso nei suoi scritti, muove da un dettaglio apparentemente insignificante e approda a conclusioni inappuntabili. Narra una storia sciascianamente semplice che presto si risolve in un groviglio inestricabile. Un episodio sepolto nella memoria di una nazione che non hai mai fatto i conti con i fantasmi del suo passato. Il libro si apre con una cartina geografica da sussidiario. Mostra due estremità opposte della Penisola. Uno sperduto paesino dell’entroterra siciliano e un borgo sloveno del confine italiano sul Carso. Episodio di cronaca che si rivela presto un giacimento di coincidenze.

Tra le pagine, affiora una sorta di paranoia del raddoppio. Il doppio movimento operato dal regime fascista. Provvedimento che consentiva di rimuovere i maestri “allogeni” con i nuovi “regnicoli”, la “Leva magistrale”, l’eterna bonifica fascista. Due sono i fratelli maestri siciliani autori di un misterioso scambio. Due luoghi eccentrici della nazione. Due vescovi rimossi. Due verità contrapposte. Di qua e di là, da una parte all’altra del confine italiano. In appendice una storia nella storia, il continuo raddoppio che intreccia questa vicenda con la storia politica di Sofri. Il raddoppio finale è quello del 12 dicembre 1969: Milano e la teoria delle due bombe di piazza Fontana. I due taxi. Le due valigie. Pietro Valpreda e il suo presunto doppio: Nino Sottosanti, figlio del maestro siciliano protagonista del libro. Questa storia narra di giovani fanatici, vittime di tragiche illusioni. Di scolari violati dai loro educatori. Di un clero rurale e reazionario che inibisce vescovi-filosofi. Una storia permeata da un’atmosfera tesissima intessuta di odio, fucilazioni, vessazioni, misfatti, attentati.

Sul “Corriere della Sera” dell’epoca il caso del maestro fascista siciliano assassinato guadagnò la spalla della prima pagina. Seguiranno funerali di Stato, parate commemorative e un convoglio ferroviario che attraverserà l’intera Penisola. Con solennità il corpo del martire fascista verrà infine tumulato in Sicilia. Sotterrando con esso anche un grande mistero. Dilemma che troverà risposta dopo quasi un secolo a Sesana, un comune sloveno che sorge subito dopo il confine italiano sul Carso. A Sesana ha sede un’associazione di partigiani erede del Tigr, Trst-Istra-Gorica-Rjeka (Trieste, Istria, Gorizia, Fiume), una sorta di Anpi. Sofri vi giunge per incontrare Miha Pogačar, segretario del Drustvo Tigr Primorske, l’Associazione del Tigr del Litorale. Alla fine di una lunga discussione, Miha brontolando distrattamente, fornirà l’indicazione risolutiva: «Da noi si dice che avessero ammazzato il maestro per sbaglio. Pensiamo che dovevano colpire il fratello. Aveva un fratello, no?». Si, Francesco Sottosanti, aveva un fratello. Le dichiarazioni del partigiano consentono dunque a Sofri di dissotterrare una verità che era rimasta nascosta. È ancora una volta il trionfo della paranoia del raddoppio. La scoperta è che i maestri siciliani di Verpogliano erano due. Quella che sembrava declassata come un’azione irredentista si trasformerà presto in un racconto surreale. Il colpo di scena risolutivo è la scoperta di un sosia del maestro Sottosanti. La conferma in un bollettino del 1929, “Nomine del Ministero della Guerra”. Con questo documento scovato in Rete, Adriano Sofri si imbatte in una seconda verità. A cadere sotto i colpi dell’agguato doveva essere il fratello di Francesco, Ugo Sottosanti, nato nel 1906, ex segretario politico di Vipacco. Misterioso equivoco confermato da un articolo de “Il Piccolo”, pubblicato due settimane dopo l’attentato. Nella corrispondenza si racconta di infamanti accuse. A muovere la mano omicida era stato un desiderio di vendetta. Rancore mosso dalle insinuazioni che volevano l’insegnate assassinato colpevole di maltrattamenti ai danni degli alunni. Con un particolare raccapricciante: sputava in bocca ai bambini affinché non parlassero in sloveno. Ma a sovvertire l’ordine del racconto è una precisazione che non sarà mai più ripresa in tutti questi anni, si era trattato di uno scambio di vittime. La vittima dell’agguato doveva essere il fratello Ugo e non il caduto Francesco. Ancora una doppiezza e il dubbio che si insinua.

In questo continuo affollarsi di carte e fogliacci di guarnigione, fa il suo ingresso in scena un altro doppio, altro da sé, il fascismo e l’antifascismo. Un altro maestro elementare, Salvatore Principato, anche lui di Piazza Armerina, maestro socialista, partigiano, amico di Filippo Turati e Anna Kuliscioff. Sarà fucilato a piazzale Loreto dai militi fascisti della “Muti” il 10 ottobre del 1944. Due maestri elementari della stessa città, due destini antitetici, due finali di partita simili. Dualità di destini che si intrecciano anche per due alti prelati, il vescovo di Piazza Armerina, Mario Sturzo, fratello del Luigi fondatore del Partito popolare e Francesco Borgia Sedej, arcivescovo di Gorizia. Due prelati invisi alle gerarchie fasciste, messi a tacere e condannati all’abiura. Il vescovo di Piazza Armerina Mario Sturzo, evoca un’altra storia di fratelli. Accusato di indulgenza crociana e avversione al fascismo, costò nel 1927, la nomina di Castrogiovanni a capoluogo di provincia. Per castigo mussoliniano, Piazza Armerina non divenne provincia. Chiude questa lunga sequela di inganni doppi un’immagine dei mosaici della Villa romana del Casale di Piazza Armerina. Una scena del corridoio della grande caccia. Un mosaico che ritrae una tigre nell’atto di specchiarsi in una grande sfera di cristallo. Un artificio, un trucco, un inganno, un’illusione che la renderà prigioniera e vittima di sé stessa. La tigre e il rimando alla brigata Tigr. Una tigre vittima del suo doppio come accade a tutti i protagonisti del libro, tutti vittime di spietate e tragiche illusioni.

«Forse queste cose non avrei dovute raccontarle. Non le ho mai raccontate a nessuno. Sono rimaste sepolte in me». Sembra questo il degno finale di partita. Così si legge nel biglietto di ricordi della gospodična maestra. La naša učitelijica, la signora maestra, la giovane donna dal volto gentile che campeggia nella foto di copertina, la madre di Adriano Sofri.

 di Concetto Prestifilippo

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