Lo spazio aereo sarà sempre più il nuovo teatro dei conflitti

Società | 2 luglio 2019
Condividi su WhatsApp Twitter

Il 2019 è l’anno in cui l’India entra nel ristrettissimo club delle superpotenze spaziali. Dal canto loro gli Stati Uniti premono sull’acceleratore degli armamenti spaziali e si attrezzano per prepararsi alla guerra elettromagnetica, la nuova arma di distruzione di massa. Non conosce sosta la corsa agli armamenti più distruttivi e sofisticati. E queste tre mosse sanno tanto di salto di qualità.

Andiamo con ordine. In India l’annuncio è stato dato il 27 marzo dal premier Narendra Modi in un messaggio alla nazione a reti unificate anticipate con un tweet. “Da adesso siamo la quarta superpotenza al mondo dotata di un sistema di difesa spaziale dopo Stati Uniti, Russia e Cina. Nella storia di ogni paese ci sono momenti che riempiono di orgoglio e che hanno impatto storico sulle generazioni future – ha enfatizzato Modi - Stiamo vivendo uno di quei rari momenti. Poche ore fa abbiamo portato a termine con successo il primo test del nostro sistema antimissilistico, abbattendo in tre minuti un satellite che orbitava nello spazio. Le mie congratulazioni a quanti fanno parte del programma spaziale Mission Shaktiha”. “Questo nuovo passo, impensabile fino a pochi anni fa, ci rende più sicuri, fiduciosi del futuro, e ci mette al livello dei grandi della terra” ha aggiunto. Il premier indiano ha concluso spiegando che il sistema testato è interamente “made in India” e che l’azione non era diretta contro nessun paese. Il satellite disintegrato era un obiettivo predefinito che orbitava ad una altezza di 300 chilometri. “Il nostro obiettivo è stabilire la pace e non creare una atmosfera di guerra”. I successi tecnologici “non sono diretti contro nessuno e contro nessun paese e non violano nessuna legge internazionale” ha concluso Modi. Chissà se sono d’accordo con le sue parole i pakistani, nemici “storici” degli indiani, ed i cinesi, in formidabile espansione in Asia e non precisamente amati dagli indiani. Anche perché Pechino intrattiene buoni rapporti con il Pakistan e meno buoni con l’India.

Il completamento del programma spaziale indiano Mission Shaktiha non è una novità: l’ex responsabile dell’”Organizzazione indiana per la ricerca e lo sviluppo della difesa” (Drdo) ha rivelato che l’India aveva già pronto il missile antisatellite A-Sat dal 2012 ma che il governo non aveva dato luce verde per il test. Fino allo scorso marzo, quando l’India può appuntarsi al petto una fiammante medaglia di nuova superpotenza spaziale.

Di fatto questa nuova frontiera non fa che consolidare la posizione del colosso indiano quale quarta potenza militare del mondo dopo Usa, Russia e Cina. Dispone di 130-140 testate atomiche. Il primo test nucleare risale al 1974. Secondo i dati del “Military Strenght Ranking 2017” compilato da Global Firepower ha un indice di forza militare di 0,1417. Si calcola ponendo la base 0,0000 come indice di potere superiore realisticamente raggiungibile per qualsiasi apparato militare. Più ci si avvicina a 0,0000 più l’apparato militare è forte. Per esempio, l’indice dell’Italia – in undicesima posizione in questa classifica teorica della potenza militare nel mondo – è di 0,2565 mentre quello del paese più potente, gli Usa, è di 0,0818, della Russia di 0,0841, della Cina di 0,0852. L’India - che, non dimentichiamolo, ha una popolazione di 1 miliardo e 300 milioni di abitanti – ha destinato alla spesa in armamenti lo scorso anno 66,5 miliardi di dollari, dispone di un personale militare complessivo di 4,2 milioni di effettivi, di una forza aerea di 2.185 velivoli, di cui 590 da combattimento, di 4.426 carri armati, di 295 unità navali di cui 3 portaerei. Con il governo nazionalista di Modi la corsa agli armamenti ha fatto registrare una accelerazione: l’India nel 2017 lancia un primo missile di crociera Nirbhay capace di trasportare testate atomiche e il 22 gennaio 2018 lancia il nuovo missile intercontinentale Agni-V armato di testate nucleari e con una gittata di 5.000 chilometri.


Più o meno nelle stesse ore dell’annuncio di Modi dagli Usa viene fatta filtrare la notizia che il presidente americano Donald Trump sarebbe al lavoro su un Ordine Esecutivo da firmare e promulgare in tempi brevi relativo alla riattivazione e al rifinanziamento dello studio sui rischi connessi ad un attacco elettromagnetico (Emp) contro gli Usa da parte di un altro stato. I documenti classificati dopo lo stop nel 2017 da parte del Dipartimento della Difesa alla Commissione congressuale ad hoc (nata in risposta agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001) erano approdati alle seguenti evidenze: gli Stati canaglia (rogue States) in grado e tentati di paralizzare la rete energetica statunitense, riportando la nazione e le sue infrastrutture ad una situazione da età della pietra, sarebbero Russia, Cina, Corea del Nord e Iran. Con nuove, potenti bombe nucleari in grado di generare onde elettromagnetiche per paralizzare e rendere inservibili terminali elettronici di vitale importanza per il paese. “In grado di disintegrare la capacità stessa dell’America di funzionare”. Ordigni la cui esplosione ad altitudini molto elevate non sarebbe in grado di produrre morti a terra (quantomeno, non in numero sostanziale) come conseguenza diretta ma le cui potentissime interferenze elettromagnetiche sarebbero sufficientemente distruttive da paralizzare e rendere non operative le intere reti elettriche degli Stati Uniti.

L’alto rischio di questo tipo di attacco, oltre alla sua efficacia, risiede nella sua relativa facilità di attuazione. Oltre a non necessitare di una particolare ed infallibile accuratezza, permette a chi attacca di fare a meno delle strutture necessarie ad un attacco standard con armi nucleari, come un veicolo di reingresso, uno scudo anticalore o di assorbimento degli shock. Può essere perpetrato con diversi veicoli, dai satelliti ai missili a medio-lungo raggio, agli aerei di linea, addirittura ai palloni aerostatici. Infine, gode anche di versioni meno devastanti e drammatiche come impatto ma ancora più semplici logisticamente (per il livello di tecnologia media ormai raggiunto) come il cosiddetto “tsunami solare”.

La Commissione ad hoc, prima di vedere tagliati i finanziamenti e di fatto bloccati i lavori di ricerca, inviò un rapporto al Congresso nel quale erano contenute sei raccomandazioni. La prima invitava il Presidente ad istituire la figura dell’”Agente esecutivo”, dotato di autorità e fondi per gestire la protezione delle infrastrutture nazionali e difenderle da minacce di Emp. La seconda raccomandava di implementare la cybersicurezza per la rete elettrica e le altre infrastrutture sensibili e strategiche, inclusa la protezione da Emp.

Nelle conclusioni, infine, la Commissione prendeva in considerazione il cosiddetto “Worste case scenario”. Ossia l’epilogo più negativo scaturibile da un attacco di questo genere che trovi gli Usa con la guardia abbassata: il 90 per cento dei cittadini americani potrebbe morire a seguito di un attacco Emp, vista la completa inservibilità dei servizi essenziali a causa del totale blackout sulla rete elettrica. Ospedali chiusi e incapaci di prestare cure, acqua potabile prima razionata e poi esaurita, milioni di persone destinate a morire di fame nel giro di pochi giorni o settimane a causa dell’assenza di cibo da potersi procurare per via ordinaria. Un incubo da film apocalittico per una ipotesi di attacco dalla quale occorre difendersi. In fretta.

Gli Usa stanno prendendo questo rischio molto sul serio anche a seguito del progressivo deterioramento dell’ordine mondiale. Non se ne staranno passivi ad attendere il disastro. Anche misure come attacchi preventivi potrebbero essere tra quelle da adottare pur di scongiurare l’attacco Emp elettromagnetico al suolo americano ed alle infrastrutture americane statunitensi nel mondo. E’ un altro strategico salto di qualità – e che salto! – nell’avvicinamento forsennato alla Terza Guerra Mondiale.


Ma l’Amministrazione Trump si sta dando da fare anche sul fronte del cosiddetto riarmo spaziale. Già il 17 gennaio i media americani riportavano che gli Stati Uniti starebbero valutando la possibilità di uno spiegamento di armi nello spazio, inclusi laser e satelliti, per intercettare missili nemici. Non veniva ufficializzata nessuna decisione concreta al riguardo ma appare certo che il governo di Washington punta a rafforzare lo scudo antimissili per proteggere gli Stati Uniti e i suoi interessi nel mondo da possibili attacchi.

La notizia vuole essere anche un messaggio molto diretto lanciato ai “nemici”, in particolare Cina e Russia. Lo scorso dicembre la Cina ha lanciato una sonda sulla Luna. Anche nello spazio la Cina sta dimostrando di saperci fare: sta esplorando la parte invisibile del nostro satellite, sta testando importanti esperimenti scientifici, si sta avviando a realizzare una sua stazione spaziale dopo che ai suoi astronauti è stato impedito di salire sulla Stazione Spaziale Internazionale. Eppure, tutte le navette spaziali cinesi erano state progettate con attracchi compatibili con la stazione, tutte le piattaforme di lancio erano collocate a latitudini compatibili per l’aggancio. La diffidenza a proposito di brevetti e tecnologie che potrebbero essere usati per scopi militari ha indotto il Congresso americano ad approvare leggi che vietano alla Nasa la cooperazione con la Cina. Risultato: la realizzazione dei programmi cinesi è stata forse resa più costosa ma la tecnologia cinese si è rafforzata.

Qualcosa di simile ai nuovi propositi di Trump in tema di guerre spaziali era successo ai tempi di Reagan. Allora destinataria del messaggio americano era l’URSS. Gli Usa avrebbero approntato un costosissimo arsenale di “missili antimissili” con cui neutralizzare nello spazio i vettori sovietici lanciati verso il territorio americano. Semplice a dirsi, complicato a realizzarsi per essere un sistema realmente impenetrabile. Sistemi d’arma con base al suolo e nello spazio per proteggersi da missili balistici con testate nucleari. La rete difensiva non fu mai realizzata perché l’improvvisa minaccia intimidì talmente l’URSS, declinante ed in disfacimento, da costringerla a poderosi arretramenti.

Oggi la situazione è molto diversa. E non solo perché la Russia di Putin è ancor più bellicosa dell’Unione Sovietica dei segretari del PCUS e tecnologicamente più avanzata e letale in fatto di armamenti nucleari distruttivi. Ma anche perché la Cina ha basi molto più solide di quelle del Cremlino degli anni settanta-ottanta e, grazie ai suoi successi finanziari e commerciali, detiene una quantità astronomica di banconote americane – 12.000 miliardi di dollari, secondo attendibili statistiche finanziarie. Più di quanto depositato nei forzieri di Fort Knox e in altre blindatissime sedi di riserve monetarie americane. “Quella di Reagan fu una mossa astuta – commentava Enrico Ferrone su “L’Indro” del 18 gennaio 2019 – in un momento storico di disgregamento in atto dell’impero di Mosca. Fu la fine della guerra fredda. E l’inizio delle guerre regionali. Oggi abbiamo idea di quale possa essere il nuovo scenario mondiale in un’economia diretta da un tycoon così estroverso?”. Non è una domanda di poco conto in questo 2019 in cui le guerre spaziali tornano prepotentemente protagoniste, come abbiamo visto, nelle pianificazioni dei comandi militari e delle industrie belliche più all’avanguardia.

Sempre più dopo i tre fronti tradizionali dei conflitti – terra, mare cielo – lo spazio diventa il quarto fronte, il più avanzato. O piuttosto il quinto se ai primi tre tradizionali sommiamo come quarto il fronte della cybersicurezza, la spietata guerra informatica e cibernetica a colpi di hackeraggi su vasta scala in corso da diversi anni.

 di Pino Scorciapino

Ultimi articoli

« Articoli precedenti