Lo sciopero di Amazon e le conseguenze del libro di Marta Fana

Cultura | 24 novembre 2017
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I quasi quattromila lavoratori del centro distribuzione Amazon di Castel San Giovanni in provincia di Piacenza (poco meno di duemila a tempo determinato ed altrettanti “somministrati” cioè formalmente assunti da un ‘agenzia di lavoro interinale) hanno deciso di scioperare in occasione del Black Friday, l’invenzione consumistica americana che solo in Italia muove secondo una recente inchiesta 800 milioni di euro per gli acquisti on line. I sindacati di categoria di Cgil-Cisl-Uil rivendicano l’aumento delle retribuzioni e la contrattazione del premio aziendale, ma anche la ridiscussione degli incalzanti rimi di lavoro contro l’azienda che ostinatamente nega qualsiasi miglioramento.

 L’esperienza di sfruttamento subita dai lavoratori di Castel San Giovanni costituisce una delle narrazioni centrali del libro di Marta Fana che descrive i settori del mondo del lavoro italiano nei quali precarietà, super lavoro, assenza di diritti sono ormai diventati la condizione corrente di vita di moltissimi lavoratori e lavoratrici (Marta Fana, Non è lavoro, è sfruttamento, Laterza 2017 pagine 173, 14 euro). Si torna finalmente a parlare delle trasformazioni del lavoro intervenute negli anni della grande recessione: un’utile inversione di tendenza rispetto alla fase in cui il valore del lavoro e i suoi problemi sembravano spariti dalla riflessione pubblica italiana. Nel libro l’analisi delle trasformazioni economiche e sociali che hanno attraversato i diversi settori si intreccia con le storie di chi in quei luoghi lavora. Particolare attenzione viene dedicata alla logistica, alla grande distribuzione, ai servizi pubblici ed ai lavoratori delle piattaforme informatiche (Amazon Uber, Deliveroo) in quella che viene definita gig economy l’economia dei lavoretti. Infine si accende un riflettore sulle forme di lavoro gratuito, sul lavoro a chiamata e sui vouchers. 

Ne emerge una fotografia dolorosa fino a diventare devastante. Le consegne a domicilio, per esempio, non sono più effettuate dai tradizionali fattorini legati all’esercizio commerciale ma da riders collegati con un’app informatica che fa capo alla società di food delivery spesso di proprietà di colossi multinazionali. “A decidere chi sarà incaricato della commessa” scrive l’autrice è un “algoritmo” che “registra tutto: tempi, percorsi e modi della consegna…basandosi esclusivamente sugli indicatori di produttività che registra”. Spesso si spaccia per modernità l’intermediazione di manodopera “come nel caso di Vicker un’applicazione privata a scopo di lucro che si occupa di mettere in contatto persone che chiedono ed offrono lavoretti”. La logistica è un settore intermedio tra produzione e distribuzione che ha assunto importanza crescente ed è nelle mani di grandi aziende come Amazon, Dhl, Tnt, Bartolini; esso vale circa il 10% del PIL dei paesi dell’Unione Europea e pesa per circa l’8% su quello italiano. 

I lavoratori della logistica sono circa 400.000, in prevalenza immigrati con storie di sfruttamento ai limiti dell’umana tollerabilità come quegli egiziani a cui la cooperativa che li aveva assunti a tempo determinato affittava anche la casa. “Alla scadenza del contratto la cooperativa impone un taglio della paga mensile e un allungarsi dei tempi di lavoro” così che essi sono stati costretti ad accettare il contratto peggiorativo, ma hanno denunciato l’azienda per caporalato. Le cose non si presentano meglio nel campo dei servizi pubblici; a testimoniare la situazione viene citato il caso estremo dei giovani che da più di cinque anni lavorano presso la Biblioteca nazionale di Roma senza esser neppure lavoratori dipendenti e venendo retribuiti con gli scontrini del bar: ufficialmente infatti si tratta di volontari di un’associazione denominata AVACA. Oppure, ancora, lo scontro sull’individuazione del contratto di lavoro di riferimento delle lavoratrici e dei lavoratori che garantiscono la fruizione turistica della reggia di Venaria vicino Torino, con la decisone della CoopCulture vincitrice del nuovo bando di applicare il contratto Multiservizi invece di quello Federcultura più vantaggioso per i dipendenti. Frontale è l’opposizione di principio dell’autrice all’alternanza scuola-lavoro che viene considerata un semplice alibi per fornire lavoro gratuito alle aziende. Giudizio eccessivamente tranchant, in realtà, aldilà degli indubbi errori compiuti nell’applicazione della misura con l’approvazione di progetti del tutto privi di contenuto formativo. 

È auspicabile la diffusione di studi sulla realtà del lavoro nell’Italia odierna che è stata investita dalla crescita del lavoro povero e dalla messa in discussione di conquiste fondamentali del mondo del lavoro e vede almeno due generazioni colpite da una precarietà divenuta ormai esistenziale. Tuttavia il libro, nella sua oscillazione tra il saggio economico ed il pamphlet politico, finisce per chiudersi in un rigido schema ideologico che non aiuta ad individuare le soluzioni. Infatti l’impianto politico del testo, nonostante le citazioni di Bruno Trentin, appare vicino al recinto del sindacalismo autonomo di cui mutua alcune proposte: dal lavorare meno per lavorare tutti, alla rinazionalizzazione dell’industria ferroviaria e degli autobus, al salario minimo imposto per legge. Per finire mi permetto di segnalare un piccolo errore: Antonio Lettieri di cui è citata una bella frase a pag.153, non è mai stato in Cisl, anche se oggi dirige insieme a Pierre Carniti la rivista on line Eguaglianza e libertà: fu segretario confederale della Cgil per la quale seguì a lungo la politica internazionale e—soprattutto- fu per diversi anni il capo della sinistra interna. 

 di Franco Garufi

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