Liberi di scegliere, la nuova vita dei figli dei boss

Società | 26 luglio 2022
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Un’opportunità per una vita all’insegna della legalità. Il progetto “Liberi di scegliere”
la offre ai figli o ai familiari che provengono da famiglie
caratterizzate da percorsi criminali di tipo ‘ndranghetistico, ma
che non hanno commesso reati.
Dal 2017 sono diverse le storie di ragazzi ormai maggiorenni che, provenendo da famiglie con un padre
latitante o con entrambi i genitori arrestati e condannati per
delitti di mafia, sono stati in grado, con il sostegno di Libera e
degli enti territoriali dell’esecuzione penale minorile, di trovare
forme di impiego fuori dal loro territorio di origine. Così hanno
potuto sviluppare anche una professionalità autonoma in vari
settori, come la manifattura, l’enograstronomia o attività
artistiche.


Come nasce “Liberi di scegliere”.
Il progetto nasce a Reggio Calabria per iniziativa della magistratura
reggina in maniera spontanea. Nel 2017 la prima formulazione. Diverse
le integrazioni e i rinnovi. Nel febbraio 2018, l’allargamento
degli attori che lo promuovono: il Dipartimento per le pari
opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, il
Tribunale per i minorenni e la Procura della Repubblica di Reggio
Calabria, la procura minorile e la Direzione nazionale antimafia e
antiterrorismo con Libera. Nel luglio 2020, l’adesione del
ministero della Giustizia, del ministero dell’Interno, della
Presidenza del Consiglio oltre alla Conferenza episcopale italiana.

“L’obiettivo – spiega il procuratore Gaetano Paci - è
quello di offrire sostegno ai minori che provengono da famiglie con
percorsi criminali di tipo ‘ndranghetistico e dall’esigenza di
sottrarli a un percorso di vita ineluttabile e inevitabile, secondo
le logiche criminali familiari. Il più delle volte il progetto
interviene sulla base di una espressa richesta di aiuto e di tutela
proveniente dal genitore non coinvolto in fatti di ‘ndrangheta, che
manifesta la volontà di sganciarsi da quel contesto familiare
criminale, non avendo sue precise responsabilità o suoi precisi
coinvolgimenti di tipo criminale”.


Un metodo di contrasto della criminalità “alternativo”. “Liberi di scegliere” offre
la possibilità di un intervento contro la ‘ndrangheta che si
caratterizza non più per il suo tradizionale circuito di contrasto,
miliare ed economico patrimoniale. Quello messo a punto è un aiuto
che mira a offrire, ai giovani e anche a quelle persone che fanno
parte di questo contesto familiare ma che non hanno un diretto
coinvolgimento in vicende criminali, la possibilità di cominciare un
percorso di vita altrove rispetto ai territori di origine. E,
soprattutto, godendo di un sostegno che il più delle volte ha come
obiettivo quello di superare il gap derivante da questo tipo di
parentele, di provenienze e di nome, che “costituisce un ostacolo
nell’inserimento nella società”, spiega Paci. “A volte persone
provenienti da questo contesto, ma senza alcun coinvolgimento, –
abbiamo notato – non trovavano lavoro e possibilità di inserimento
in contesti leciti e civili proprio a causa di questa provenienza. Il
progetto, grazie alla rete di rapporti che Libera ha creato, è stato
in grado di assicurarli”.


La lotta allo “stigma” mafioso.
Chi si è reso davvero libero di scegliere può contare su una
nuova realtà in cui viene accompagnato a inserirsi. Tutto ciò senza
subire le limitazioni e le penalizzazioni a causa dello stigma
mafioso della famiglia di origine. “Le imprese, a volte vedendo
avvicinare a loro persone con certi cognomi, ne rifiutano
l’assunzione perché temono che possano diventare esse stesse
oggetto di controlli e di attività di indagine”, riferisce Paci.
Il progetto, attraverso Libera e le prefetture, consente per esempio
di trovare lavoro nell’ambito della vasta rete di soggetti
economici che fanno capo a Libera, nel mondo della cooperazione, del
volontariato e del terzo settore. L’impegno di Libera è quello di
offrire delle referenze per queste persone alle imprese, in modo da
facilitarne l’inserimento. Ovviamente tutto questo deve avvenire
fuori dai territori di origine. “Condizione che non è indolore –
spiega Pace -, perché questo distacco di minori e persone che li
accompagnano può portare a reazioni dalla famiglia di origine di
vario genere. Vi è l’esigenza non solo di trovare una collocazione
lavorativa ma anche di sottrarsi a questo tipo di pressioni, con una
rete di sicurezza che le prefetture, con i comandi di polizia locale,
sono in grado di attivare”.





Come aderire al progetto. In alcuni casi l’adesione è richiesta da quei
membri delle stesse famiglie, che non hanno rapporti con la
criminalità. “Tutto ciò ha evidenziato un elemento di
vulnerabilità delle famiglie criminali. In questo modo è stato
possibile spezzare quella catena criminale basata su un sistema di
valori che gli stessi figli o parenti non coinvolti negli illeciti
hanno voluto ripudiare e rinnegare – sottolinea il procuratore -.
Ci sono, però, stati dei casi in cui il progetto a un certo punto si
è interrotto perché il soggetto coinvolto ha preferito rientrare
nel proprio territorio di origine. Le indagini giudiziarie svolte
hanno poi ripreso queste persone in attività criminali – racconta
Paci -. In alcuni casi avevano assunto un ruolo di vertice e sono
stati tratti in arresto e condannati. Il percorso del singolo può
fallire perché si basa sull’adesione spontanea a un percorso di
vita alternativo. Se questa volontarietà viene meno, il progetto può
non raggiungere i suoi scopi”.


La proposta di legge. All’esame
della relativa commissione della Camera vi è una proposta di legge
che si pone l’obiettivo di istituzionalizzare sia il percorso
lavorativo sia quello scolastico per chi si trova in queste
condizioni. Una parte importante di “Liberi di scegliere” è
finalizzata all’interlocuzione con le scuole, a livello
territoriale. A volte, infatti, gli istituti si trovano nella
difficoltà di non poter occultare la reale identità di queste
persone. Con l’intervento dei ministeri dell’Istruzione e
dell’Interno si è fatto sì che queste persone possano godere di
generalità di copertura per non subire forme di riconoscimento e di
stigma. “Per ora ciò si basa sulla volontà anche dei dirigenti
scolastici – spiega Paci -. Se diventasse legge, sarebbero coperti
nelle responsabilità”.
Tra le possibilità che verrebbero
introdotte con l’approvazione del ddl, la creazione di un raccordo
operativo tra gli uffici inquirenti e il tribunale per i minorenni
per segnalare a quest’ultimo tutte quelle situazioni in cui il
minore, non responsabile di reato, subisce una condizione di
maltrattamento o indottrinamento mafioso. Altra possibilità, la
creazione di una rete di protezione sociale e assistenziale, anche
attraverso azioni di supporto sia materiale sia psicologico ai minori
o ai familiari che intendono intraprendere questo percorso. “In
sostanza, il progetto di legge prefigura una corsia preferenziale per
chi vuole sganciarsi dalle condizioni familiari originarie, offrendo
un meccanismo di supporto all’azione antimafia tradizionale di tipo
repressivo e preventivo, finalizzato a incidere sul sistema dei
valori familiari, all’interno dei quali si formano le personalità
criminali – conclude Paci -. Il progetto ha un’ambizione molto
forte che però si misura sulla volontà di chi aderisce, non può
essere coattivamente imposto. Altrimenti sarebbe votato al
fallimento”.

 di Filippo Passantino

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