Lettere e disegni dalla Real Casa dei Matti di Palermo

Cultura | 28 maggio 2015
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Lettere e disegni dalla Real Casa dei Matti di Palermo

 

 

L’associazione Flavio Beninati espone manoscritti autentici (diari, lettere, progetti) e disegni di pazienti che negli anni Sessanta vivevano nell’Ospedale Psichiatrico di Palermo. I testi e le immagini dei residenti della “Real Casa dei Matti” Pietro Pisani si potranno consultare nei locali di via Quintino Sella 35 a Palermo da fine maggio a luglio, l’ingresso è gratuito. La mostra si inaugura il 28 maggio, alle 18.30, per la rassegna “Di maggio in maggio”. In tale occasione verrà presentato anche il libro che dà il nome alla mostra: “Mentre il leopardo sbrana l’Okapi: lettere dall’ospedale psichiatrico di Palermo” (maggio 2015, collana Eccegrammi) che trae il titolo da una lettera del pittore Antonio Ligabue. Come scrive Manfredi Beninati nella prefazione al volume: «“Mentre il Leopardo sbrana l’antilope Okapi, il ragno morde la zampa …” come Antonio Ligabue spiega in una lettera indirizzata al possibile acquirente d’un dipinto che ritrae una scena simile. E se lo dice lui, che è stato dei ”pittori matti” il più matto, c’è da crederci. Il genio dei matti vede oltre l’orizzonte di cui gode chi tra i non-matti è dotato della vista più acuta. E in mezzo, il matto, vede anche tante altre cose che quelli non vedono. E siccome il Laccabue era, oltre che matto, anche un osservatore raffinatissimo e geniale, ecco rafforzata la mia certezza che, se mai mi capiterà di vedere un leopardo intento a sbranare un’antilope Okapi, da qualche parte, lì attorno, potrò osservare un “ragno che morde la zampa”!». Il libro presenta una selezione dei testi esposti. Saranno proiettati anche il filmato inedito “Ricordi in super 8” (girato nel medesimo periodo all’interno della struttura) e stralci dei lavori della tavola rotonda “La casa dei matti: psichiatria ieri, oggi e domani”. L’esposizione presenta, inoltre, la documentazione fotografica di Desideria Burgio sui TSO della struttura psichiatrica dell’Azienda Ospedaliera Cervello.

Su una pagina strappata da un registro medico si riportano sull’intestazione, nel linguaggio burocratico e crudele che definisce “detenuti” i residenti della struttura, i passaggi della routine di controllo dei medici o dei vigilanti dell’ospedale. Sotto le caselle del rigido formulario che richiede “I. Data dello accertamento; II. Ora dello Accertamento; III. Indicazioni […] delle celle di osservazione, punizione, ecc.; IV. Numero dei detenuti trovati in ogni sezione dormitorio; V. Firma del graduato che ha controllato l’accertamento; VI. Osservazioni” un paziente scrive: “Attenzione. Ho spiriti in bocca che v’insultano con la mia voce. Quindi chi si sente offeso da me, non creda a quello che sente: Può essere colpito dagli spiriti con gli insulti, allo stesso modo per come io mi sento insultare da tutti voi, essendoci spiriti che imitano la vostra voce o di altri; donde le “allucinazioni” per come la scienza le definisce. Gli spiriti fanno il doppiaggio e non posso spiegare a voce le cose suddette” (nota del 1963, p. 9 del catalogo della mostra). Un’altra persona scrive al medico con bella grafia: “Essendo privato di denaro fui maltrattato dai miei familiari, quasi tutti siamo così, mai portando soldi a casa. Sono stato ricoverato e riconosciuto pazzo da lei e paranoide. Vivo con 2-cento lire al giorno, che sono pochi. Mi sono rivolto al dottor Cxxxxxa che voleva laurearmi medico e invece mi laureò pazzo. Mi sono rivolto al dottor Bxxxxxxxi, e lo persuasi che tutto il mondo è pazzo.” (ibidem, p. 13).

Gli interlocutori degli scritti spaziano dai familiari lontani ai medici, dai vecchi amici alle presentatrici televisive della Rai. Richieste disperate d’aiuto s’intrecciano a invenzioni e progetti, a proposte per realizzazioni cinematografiche e poesie. Un ospite dell’ospedale scrive alla Pirelli: “Miei Cari e devoti Amici, della Società per Azioni Pirelli, con la più brillante delle – “idee”-, e delle, soluzioni, tecniche, fin’ora, in possesso, dell’ingegneria, Superiore, (e), con, tutto, il mio slancio, ed, il mio grande Rispetto Industriale, per la Vostra, meravigliosa, Azienda, Vi, mando, il: « grandioso »» (e); « cunejforme» [disegnino] del Supercinturato – Pirelli – (Superbamentebattezzato) più melodico, nome, industriale, che, mai, si possa, davvero, immaginare, a memoria, di popolo. Il progetto-che-è-stato-realizzato-con-tutte-le-precauzioni-ed-i-calcoli-rigonometrici- è, davvero: favoloso-(degno)-di-una-regina–il-suo-nome-d’arte-è-quello-inconfondibile–di-supercinturato pirelli 7bello. il-cinturato-pirelli-7bello,-è,-davvero un giojello”. Cartoline futuriste e lunghe lettere. Lucide folli lettere al Presidente della Repubblica Saragat chiedono giustizia e di “nominare una Corte nazionale straordinaria, per processare questi esaltati della violenza” (p. 73). Semplici scritti a sacerdoti con l’invio di saluti per chi è fuori. Resoconti dettagliati delle terapie, delle ripetute sedute di elettrochoc o delle diagnosi (o almeno della percezione di queste da parte degli internati) spesso legate a definizioni razziste e lombrosiane: «Dicono che per noi con la fronte piccola e col volto imberbe e angelico, non c’è Dio. A prescindere dal fatto che la legge della giustizia non solo dell’amore vuole che xxx xxxxx xxxxxxx xxxxx xxx la legge sia uguale per tutti i cittadini di “qualsiasi razza o colore”» (p. 19).

Nelle lettere dall’ospedale psichiatrico si raccontano molti di quei casi che Goffman (Asylum.
Le istituzioni totali: i meccanismi dell'esclusione e della violenza
. Edizioni di Comunità, Torino, 2001) chiamerebbe “contingenze di carriera”, inizi casuali (e incomprensibili per il soggetto che vi incorre) di un percorso di etichettamento come “malato mentale/pazzo” ad opera di un “accusatore” in un luogo pubblico che avvia la carriera deviante della persona internata. La storia della maggior parte dei pazienti mentali, infatti, presenta casi di “trasgressione alle norme del vivere sociale” sia nell’ambiente familiare, sia in altri luoghi del proprio quotidiano (dal posto di lavoro, a una organizzazione semipubblica come una chiesa o un grande magazzino, a zone pubbliche come strade o parchi). L’avvio al ciclo che porterà alla ospedalizzazione in una delle lettere presentate nella mostra dall’Associazione Beninati, ad esempio, si verifica alla stazione ferroviari: nel momento in cui un dolore intollerabile a un dito che viene manifestato in modo “anormale” alla vista degli astanti, per l’internato che racconta, diviene il pretesto per la reclusione in manicomio mettendo fine ai suoi sogni e progetti di vita, comincia così “socialmente” la carriera del paziente indipendentemente dall’inizio psicologico della sua malattia mentale.

È il 13 maggio 1978 quando il progetto di legge sull’assistenza psichiatrica di Franco Basaglia diventa legge dello stato e sancisce la chiusura dei “manicomi” rivoluzionando l’idea della malattia mentale,  abolendo il principio della segregazione e riducendo ai soli casi di emergenza psichiatrica l’uso del trattamento sanitario obbligatorio (TSO) senza il consenso del paziente. Sembra una realtà molto lontana, ma 37 anni dopo l’entrata in vigore della Legge 180 la questione non può ancora considerarsi chiusa. Basti pensare all’ineguale applicazione, demandata alle Regioni, sul territorio nazionale (con differenze sostanziali in termini di investimenti e servizi) o alle disparità nell’ottenere il diritto alla cura. Se l’ultimo manicomio viene chiuso nel 2002, in realtà chi resta dietro le mura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) attende ancora, spesso con pene senza termine anche per piccoli reati (“ergastoli bianchi”), che tra continui rinvii e notevoli difficoltà di applicazione le Regioni siano pronte a sostituire gli eredi dei vecchi “manicomi criminali”, con strutture differenti, solo in alcuni casi disponibili (per “i soggetti pericolosi non dimissibili” dovrebbero aprirsi i Rems, Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza con massimo 20 posti letto e solo personale sanitario; per gli altri sono previste le dimissioni). Il 17 gennaio 2012 la Commissione giustizia del Senato ha approvato all’unanimità la chiusura definitiva degli Opg entro il 31 marzo 2013; ma il decreto legge 25 marzo 2013 n. 24 ha poi prorogato tale chiusura al 1º aprile 2014 e infine in quella data il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha promulgato ancora una volta la chiusura con un decreto legge che ne fissava al 30 aprile 2015 la data “definitiva”. Ma al 31 marzo di quest’anno 741 pazienti erano ancora internati negli Opg.

Nella postfazione ad Asylum (Einaudi, ed.1968) Franco e Franca Basaglia scrivono a proposito delle istituzioni totali come luoghi di reclusione mascherati dalla neutralità della scienza medica: «Ciò che risulta subito evidente - oltre la violenza di questa gestione - è un fatto costantemente ricorrente: nella società capitalistico-produttivistica la norma è la salute, la giovinezza, la produzione. La malattia, la vecchiaia, l’infortunio sono accidenti all’interno di una realtà che non vuole e non può premunirsi e preoccuparsi delle proprie contraddizioni. In ogni società si vive, ci si ammala, si diventa vecchi, si è soli. Ma una società produttivistica che si fonda sull’ideologia del benessere e dell’abbondanza per coprire la fame, non può programmare sufficienti misure preventive o assistenziali. Si salva ciò che può essere facilmente recuperato;

il resto viene negato attraverso l'ideologia dell’“incurabilità”, dell’“incomprensibilità”, della “natura umana”, su cui si costruisce il castello del pregiudizio.» Non basta chiudere gli ospedali psichiatrici occorre ancora vigilare sulle modalità d’attuazione della riforma. Il tema è antico e si ripropone a distanza di anni. In un vecchio articolo– illustrato da Bruno Caruso - pubblicato su I Siciliani nel 1983 dal titolo “Cercansi pazzi a 30.000 lire al giorno!”, Enrico Escher nel sommario si pone domande ancora oggi attuali (nonostante sia necessario aggiungere più di trent’anni): “Cinque anni fa la legge che aboliva i manicomi. Cosa è cambiato da allora? Come vivono oggi i malati di mente? Perché nel Sud sono stati lasciati allo sbaraglio? Chi specula sulla loro infelicità?” (p. 52). La mostra permette di tornare a riflettere sulla pazzia e su tutte le forme di costruzione sociale della devianza mettendoci nella prospettiva migliore per farlo, quella dei “pazzi”.

 di Marilena Macaluso

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