Legge Rognoni-La Torre, eredità da aggiornare

L'analisi | 31 luglio 2024
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La legge Rognoni-La Torre del 1982 è stata innovativa per due aspetti specifici: il reato di associazione mafiosa e le misure patrimoniali di sequestro e confisca. Da quell’anno, queste misure hanno fornito agli operatori di polizia e giustizia strumenti efficaci per combattere le mafie. Tuttavia, oggi questa eredità necessita di un aggiornamento urgente. Ecco perché.
Nel 1982 non si parlava di mafie internazionali o transnazionali. La Convenzione delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata transnazionale del 2000 era ancora lontana. La lotta alla mafia era principalmente una questione nazionale, con limitata cooperazione internazionale, prevalentemente con gli Stati Uniti per la protezione dei testimoni e dei pentiti e con l’America Latina per i traffici di droga. L’Europa era ancora assente dal discorso. Il reato di associazione mafiosa ha permesso l’incriminazione e la disgregazione, anche se parziale, di molte organizzazioni mafiose. Il maxiprocesso alla Cosa Nostra siciliana del 1986 ne è un esempio, così come i numerosi sequestri e confische di patrimoni illeciti, sebbene inferiori a quelli effettivamente posseduti dalle organizzazioni criminali.
Da allora, il mondo è cambiato. Le organizzazioni criminali si sono evolute in risposta alle loro attività illecite e ai contesti socio-economici in cui operano. Queste strutture, siano esse gerarchiche o flessibili, mirano alla massimizzazione dei profitti e alla minimizzazione delle perdite, compresi i proventi illeciti che, in contesti come quello europeo, vengono spesso reinvestiti nell’economia legale, moltiplicando così potere e ricchezza.
Uno dei processi chiave che ha caratterizzato le organizzazioni criminali, in Italia come altrove, è la loro progressiva internazionalizzazione. L’ultimo rapporto Europol (Decoding The Eu’s Most Threatening Criminal Network del 2024) afferma che la maggior parte di questi gruppi “ha una portata che va oltre l'Ue, in particolare nei vicini all’Ue ma anche in giurisdizioni più lontane. Questa portata globale si riflette anche nella composizione delle reti criminali, con 112 nazionalità rappresentate tra i membri delle 821 reti criminali più minacciose. Il 68% delle reti è composto da membri di molteplici nazionalità, mentre il 32% ha membri provenienti da un solo paese”. Questo è una chiara conferma della crescente internazionalizzazione di questi gruppi, dovuta a vari fattori. Tra questi, la necessità di operare in più giurisdizioni per la natura stessa dei mercati illegali, come il traffico di droga e di esseri umani, ma anche per ridurre il rischio di essere individuati, arrestati, condannati e di vedere sequestrati e confiscati i proventi delle loro attività. Questo rischio è generalmente basso, e ancora più basso per i sequestri e le confische, il vero tallone d'Achille delle organizzazioni criminali. Perché?
La Convenzione delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata transnazionale ha certamente promosso la cooperazione internazionale giudiziaria e di polizia, ma permangono asimmetrie normative tra i diversi paesi, difficoltà organizzative delle forze di polizia e carenze tecnologiche per indagini in giurisdizioni multiple. Nonostante alcuni progressi, questi non sono sufficienti, soprattutto nel campo dei sequestri e delle confische. Grazie al progetto europeo Recover, di cui il Centro Transcrime è partner (https://www.transcrime.it/progetti/recover/), abbiamo raccolto con difficoltà i dati sui sequestri e le confische all’estero richiesti da un paese membro dell’UE ed eseguiti da un altro, utilizzando il regolamento UE 1805/2018. Con nostra sorpresa, abbiamo scoperto che tali richieste e esecuzioni si contano a decine, solo sulle dita di una o due mani a seconda dei paesi coinvolti. Stiamo indagando con operatori giudiziari e di polizia le cause di questo che non esiterei a definire un fallimento. Ricorrono spesso asimmetrie normative tra stato richiedente e stato esecutore, complessità delle procedure, difficoltà organizzative, sovrapposizioni tra cooperazione giudiziaria e di polizia e, infine, una scarsa cultura internazionale degli addetti, che vedono le richieste degli altri stati come un surplus rispetto alle attività di sequestro e confisca interne. I dati sono eloquenti: il confronto tra sequestri e confische all’estero e quelli interni è macroscopico. Decine contro migliaia!
L’ultima direttiva europea su sequestri e confische dell’aprile di quest’anno sollecita i vari paesi a fare di più a livello internazionale, ma nessuno fornisce dati concreti. La nostra raccolta ha incontrato mille difficoltà perché nessun ente li raccoglieva in modo ordinato e comprensibile, segno di un fallimento annunciato di cui nessuno vuole parlare.
Se aggiungiamo che i sequestri e le confische sono in diminuzione in alcuni paesi, tra cui l’Italia, dopo un picco nel 2016, arriviamo all’amara conclusione che la valida intuizione di Pio La Torre, nella sua declinazione internazionale, ha fallito, contribuendo così alla progressiva internazionalizzazione delle organizzazioni criminali e dei loro investimenti all’estero. Insomma, quasi un incentivo! Ecco un’eredità da aggiornare velocemente, raccogliendo i dati, comprendendo le ragioni e infine indicando le soluzioni da adottare. È quello che stiamo facendo noi di Transcrime con un rapporto che sarà pubblicato il prossimo autunno. Speriamo che la prossima legislatura europea affronti seriamente il problema, si impegni a rimuovere gli ostacoli e a trovare soluzioni migliorative. Ecco un modo per raccogliere e aggiornare l’eredità di Pio La Torre.
 di Ernesto Ugo Savona (direttore di Transcrime,Università Cattolica, Milano)

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