Legalità in affanno con i giornali malati di Covid
Non è solo all’origine della crisi sanitaria ed economica che stiamo attraversando, visibile a tutti. Ma anche di quella democratica e dell’informazione, non passata comunque inosservata. Il Covid-19 ha, infatti, “provocato un enorme blocco degli accessi” alle fonti per i giornalisti, soprattutto in quei paesi dove già l’informazione stentava ad essere libera. Risultato? Solo poco più di un quarto dei 180 paesi monitorati da Reporters sans frontières, per l’anno 2020, presenta condizioni “buone” o “soddisfacenti” per l’informazione. La maggior parte dei territori tenuti sotto osservazione, invece, si trova in una situazione “problematica”, “difficile” o “molto seria”.
Quest’anno, solo 12 dei 180 paesi (7%) possono vantare di offrire un ambiente favorevole alla libertà di stampa, rispetto ai 13 stati (8%) dello scorso anno. Mentre nel 73% dei paesi considerati, la professione giornalistica viene svolta in condizioni difficili, se non gravissime. A perdere l’etichetta di paese con una “buona libertà di stampa” è la Germania (-2, al 13° posto), a causa delle decine di attacchi che i giornalisti tedeschi hanno subito, durante le proteste contro le restrizioni pandemiche, dai sostenitori della teoria del complotto.
L'Europa si conferma la regione più sicura, sebbene, secondo RSF, siano aumentate le aggressioni e gli arresti abusivi, soprattutto in Francia (34°) durante le manifestazioni contro il disegno di legge “sicurezza globale”. Sul podio della classifica tre paesi del vecchio continente. La Norvegia è al primo posto nella classifica per il quinto anno consecutivo, malgrado i suoi operatori dell’informazione si siano lamentati della mancanza di un accesso alle informazioni statali sulla pandemia. La Finlandia ha mantenuto il secondo, mentre la Svezia (+ 1, al 3 °) ha recuperato il suo terzo posto, che aveva ceduto alla Danimarca (-1, al 4 ° posto) lo scorso anno. L’Italia conferma il suo 41° posto.
Negli Stati Uniti (44°, +1), la situazione rimane “piuttosto buona”, “anche se l'ultimo anno di mandato di Donald Trump è stato caratterizzato da un numero record di aggressioni (quasi 400) e arresti di giornalisti (130)” si legge nel report. Al contrario, il Brasile ha raggiunto i paesi in fascia “rossa” perché “La diffamazione e l’umiliazione pubblica orchestrata dei giornalisti – si legge nel report - sono diventati marchi di fabbrica del presidente Bolsonaro, insieme alla sua famiglia e ai più stretti alleati”. In zona rossa anche India (142°), Messico (143°) e Russia (-1, al 150° posto). Quest’ultima ha cercato di “limitare la copertura mediatica delle proteste a sostegno dell'avversario del Cremlino, Alexei Navalny”. Infine, anche se rimane il continente “più violento” per i giornalisti, l’Africa ha registrato qualche miglioramento in Burundi (147°, +13), Sierra Leone (75°, +10) e Mali (99°, +9).
“Il giornalismo è il miglior vaccino contro la disinformazione”, ha detto il segretario generale di RSF Christophe Deloire. “Purtroppo la sua produzione e distribuzione sono troppo spesso bloccate da fattori politici, economici, tecnologici e, a volte, anche culturali. In risposta alla viralità della disinformazione attraverso i confini, sulle piattaforme digitali e tramite i social media, il giornalismo fornisce il mezzo più efficace per garantire che il dibattito pubblico si basi su una vasta gamma di fatti accertati”.
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