Le verità di Ciancimino sugli omicidi politici che sconvolsero l'Italia

Società | 6 marzo 2022
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“Qui si parla di omicidi politici, di omicidi cioè, in cui si è realizzata una singolare convergenza di interessi mafiosi ed oscuri interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica; fatti che non possono non presupporre tutto un retroterra di segreti e di inquietanti collegamenti che vanno ben al di là della mera contiguità e che debbono essere individuati e colpiti se si vuole veramente voltare pagina”.

Così scrissero Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nell’ordinanza- di rinvio a giudizio del Maxiprocesso, riferendosi ai delitti di Piersanti Mattarella, di Michele Reina e Pio La Torre.

Ma sull’uccisione dell’esponente del Partito comunista ci sono state anche delle dichiarazioni, controcorrente, da parte di Vito Ciancimino. L’ex sindaco mafioso di Palermo, nelle sue lunghe chiacchierate, prima con i carabinieri del Ros e poi con i magistrati ha detto la sua sul quel delitto. Dichiarazioni che non hanno, nel corso degli anni e delle indagini, trovato riscontri ma che hanno lasciato più che un’ombra su quel delitto.

Nel 1990 le indagini sui “delitti politici” siciliani fino ad allora separate vennero unificate in un’unica istruzione, con la motivazione che i tre omicidi erano da inquadrare in un’unica strategia mafiosa della “Cupola”. Nel 1995 si concluse il processo di primo grado per quegli omicidi. La vedova di La Torre, Giuseppina Zacco, rifiutò la costituzione di parte civile nel processo in segno di protesta nei confronti di un’inchiesta che definì “povera, meschina e riduttiva”.

Un delitto, quello di La Torre che, nonostante le molte indagini avviate quel 30 aprile del 1982 giorno della sua uccisione assieme a Rosario Di Salvo, e le dichiarazioni di molti pentiti, da Tommaso Buscetta a Leonardo Messina. Quest’ultimo, nel 1992, disse che Pio La Torre fu ucciso su ordine di Totò Riina a causa della proposta di legge riguardante i patrimoni dei mafiosi. Anche Buscetta, insieme ad altri collaboratori di giustizia, indicò l’omicidio La Torre esclusivamente come delitto di mafia la cui motivazione stava nella proposta del dirigente comunista di un disegno di legge che prevedeva per la prima volta il reato di “associazione mafiosa” e la confisca dei patrimoni di provenienza illecita.

E’ stato nel marzo del 1993 che Vito Ciancimino, mentre è interrogato nel carcere di Rebibbia a Roma, dall’allora procuratore di Palermo Giancarlo Caselli, dall’allora sostituto Antonio Ingroia e dall’allora capitano dei Ros Giuseppe De Donno, decide quasi al termine del suo interrogatorio, che si era incentrato sulla sua volontà di collaborare in merito alla stagione stragista di Cosa nostra del 1992, di “esaminare” anche l’uccisione di Pio La Torre.

Inizialmente Ciancimino dice che aveva avuto varie sollecitazioni dal capitano De Donno per iniziative comuni, ma che le aveva tutte respinte, ma aggiunse che, “dopo i tre delitti (quello di Lima, che mi aveva sconvolto; quello di Falcone che mi aveva inorridito; quello di Borsellino che mi aveva lasciato sgomento) cambiai idea e ricevetti nella mia casa di Roma il capitano”.

Ma è sul delitto di Pio La Torre che si sofferma quasi al termine di quell’incontro con i magistrati palermitani.

“Dell’uccisione di Pio La Torre – ha raccontato l’ex sindaco – se ne discusse negli ambienti politici della Dc in occasione del congresso nazionale svoltosi al palasport di Roma. Si diceva che era un delitto di mafia, ma con le illazioni contenute nell’istruttoria. C’erano mormorii. Voce comune era che non fosse un delitto di mafia. A me personalmente i motivi per cui la mafia l’avrebbe ucciso sembravano banali. Riuscii a formulare una diversa ipotesi di matrice basandomi sul sentito dire e sulla considerazione che aveva molti più nemici dentro che fuori il partito”.

E’ a questo punto che Ciancimino lancia l’affondo: “Era stato mandato in Sicilia in una maniera abnorme. Per bonificare il partito o si manda uno del posto gradito ai locali oppure uno di fuori: La Torre era del posto e qui aveva forti opposizioni interne. In sostanza mi sono convinto che la decisione di ucciderlo sia stata presa dal Partito Comunista, cui non mancavano i mezzi per un’impresa del genere”.
Ciancimino nel suo lungo racconto con Caselli e Ingroia continua ad ampio spazio: “Prima ancora dell’omicidio La Torre sui giornali si parlava della nomina di Dalla Chiesa come prefetto di Palermo. Il generale venne a Palermo accompagnato da mille polemiche anche di stampa. Alla fine si trovò ina una situazione di assoluto isolamento. Negli occhi di tutti (politici, magistrati alti e bassi, imprenditori, bancari ecc.) leggevo il terrore che Dalla Chiesa (volendo trovare la mafia dovunque, mentre la mafia non è dovunque) trovasse le tangenti che per contro sono dovunque. C’era una vera e propria psicosi collettiva, che investiva tutte le classi sociali, alimentata anche da alcune interviste del generale. Tutto ciò mentre Roma (lo sapevano anche le pietre) non voleva dargli poteri speciali. Il generale era così isolato che tutti noi, in Sicilia, ci aspettavamo le sue dimissioni. Quando Dalla Chiesa venne ucciso subito si disse che era stata la mafia, ma i mormorii erano diversi. Dopo qualche tempo ebbi un incontro con Salvo Lima presente Nino Salvo. Si fece un accenno al generale e io dissi: ma se già era liquidato a tutti i livelli e lo sapevano anche le pietre perché ucciderlo? Lima, con gli occhi arrossati di odio, venendo meno al suo naturale riserbo, disse: per certi romani era più pericoloso da pensionato in malo modo che non da prefetto con poteri speciali. Lima proseguì dicendo: quelli che la piglieremo in culo saremo noi (intendeva noi siciliani) e chissà per quanto tempo. Nino Salvo assentiva con il capo, anche lui con il viso stravolto. Cercai di dire qualche parola ma Lima mi interruppe e proseguì dicendo: questo e quello di qualche mese fa (intendeva Pio La Torre) avranno un effetto devastante, molti di noi e la Sicilia continueranno a pagare prezzi di altri. Lima disse inoltre: molte cose sembrano fatte di no invece è si, questo è si e non solo questo. Qualche tempo dopo provai a riportare Lima sull’argomento, ma lui secco mi rispose: io non ti ho mai detto niente e faresti bene a scordartelo”.

 di Giuseppe Martorana

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