Le strane accuse di Badalamenti al sindaco di Cinisi
IL “Corriere” di venerdì 15 gennaio racconta un paradosso che nella prosa di Pirandello o Sciascia avrebbe potuto essere divertente, mentre Felice Cavallaro - da buon cronista - ne fa un resoconto da brividi. La storia è quella di un caseggiato di don Tano Badalamenti , condannato all’ergastolo per l’omicidio di Peppino Impastato, “colpevole” di aver osato dileggiarlo chiamandolo “Tano seduto” e accusandolo pubblicamente di essere un pericoloso criminale mafioso.
Il caseggiato viene confiscato in forza della normativa antimafia e l’Agenzia dei beni confiscati lo affida al sindaco di Cinisi, non più feudo dei Badalamenti. Il sindaco ( avvocato di parte civile in processi di mafia) ottiene un finanziamento europeo di 400.000 euro impiegati per ristrutturare l’immobile da affidare in parte a “Casa memoria”, che con iniziative destinate soprattutto ai giovani si propone di tener vivo il ricordo di Peppino Impastato. Quando i lavori sono in pratica ultimati, ecco che il figlio del boss, Leonardo ( inquisito dalla magistratura brasiliana per traffico di stupefacenti: buon sangue non mente...) pretende dal sindaco le chiavi dell’immobile. Il rampollo sessantenne di don Tano sostiene di aver dalla sua una sentenza eseguibile, secondo il sindaco invece mai notificata al Comune. Leonardo involontariamente rivela che le cose non sono le stesse dei tempi del padre: questi avrebbe risolto il problema con i soliti metodi “spicci”; a differenza del figlio mai sarebbe ricorso agli odiati “sbirri”. Che fa la procura di Palermo? Apre un fascicolo contro il sindaco e lo fa interrogare dai CC di Cinisi. Tutti sanno che la mafia vive anche di segnali.
E per i cittadini di Cinisi “nostalgici” del passato, di certo è un forte segnale lo spettacolo di un sindaco che entra ed esce da una caserma per difendersi da una denunzia del figlio di don Tano, dopo aver ristrutturato con fondi europei un immobile consegnatogli dall’agenzia nazionale dei beni confiscati alla mafia. In Procura, nota Cavallaro, ”sussurrano atti dovuti”. Ma - dovuti o non dovuti – sono atti che in ogni caso pongono alcuni interrogativi.
Primo: si è verificata preliminarmente l’effettiva eseguibilità della sentenza sbandierata dal figlio del boss, investendo – magari per il tramite del Procuratore generale – la magistratura competente? Non conosco la sentenza ( il tempo di farlo è per ora mancato), ma voglio sperare che in ballo non vi sia l’antica e arci superata questione della validità della confisca post mortem del mafioso “proposto”. Sarebbe ben strano, posto che dall’entrata in vigore del Codice antimafia (2011), la legge lo consente espressamente, come del resto la giurisprudenza (Sezioni Unite della Cassazione) aveva già affermato dal 1996 e ribadito più volte in seguito, in ciò confortata dalla Corte Costituzionale (2012).
Secondo : sempre preliminarmente, si è chiesto a Leonardo Badalamenti se abbia depositato, o intenda farlo, una somma pari ai fondi europei usati per ristrutturare l’immobile, come indennizzo per l’ingiusto arricchimento che vi sarebbe nella denegata e malaugurata ipotesi di accoglimento della sua pretesa? Non può non essere di tutta evidenza , infatti, che registrare la sua denunzia senza nulla eccepire, sviluppandola anzi immediatamente, equivale ad innescare un meccanismo perverso: com’è anche solo l’eventualità del ritorno alla famiglia Badalamenti di un bene confiscato per mafia , ristrutturato con soldi europei e destinato a fini socialmente utili, senza alcun indennizzo.
Un corto circuito che va assolutamente evitato, anche coinvolgendo tutte le Autorità pubbliche – nazionali e regionali - interessate, in quanto incompatibile con una giustizia giusta che rifugga da atteggiamenti astrattamente burocratici e si faccia carico del risultato migliore per il bene comune . Altrimenti, oltre al danno le beffe. Per i Badalamenti un trionfo! Uno smacco per l’antimafia dei fatti e gran letizia di coloro che predicano come nulla in realtà cambi... Cui prodest?
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