Le rottamazioni che Renzi non ha ancora fatto
Sempre le solite facce note. Maggiore accentramento del potere da parte dell’esecutivo. Aumento delle spese in capo alla Presidenza del Consiglio. Il bilancio dei due anni del Governo Renzi tracciato da Openpolis sembra allontanare, almeno in parte, l’idea di quella rottamazione tanto conclamata dal premier in carica. Dal minidossier “Fidati di me” dell’Osservatorio sulla trasparenza della politica italiana, che si sofferma sull’operato della ‘gestione renziana’ di Palazzo Chigi, emerge innanzitutto un dato che più di altri sorprende (anche se, a dire il vero, non tanto): molti degli attuali inquilini di Piazza Colonna a Roma hanno avuto incarichi anche nei governi passati. Degli oltre 200 tra ministri, viceministri e sottosegretari nominati dal 2008 ad oggi, infatti, il 30% ha all’appello diverse esperienze in altrettanti esecutivi. Negli ultimi quattro governi (Berlusconi IV, Monti, Letta e Renzi), Alfano, Gentile, Casero e Vicari, del Nuovo centrodestra, De Vincenti e Delrio, del Partito democratico, e Giro di Democrazia solidale hanno fatto parte delle squadre di governo. Presenze ‘costanti’ riconducibili alle larghe intese che caratterizzano questa fase storica del nostro Paese, dopo l’ultimo esecutivo politico a guida Berlusconi dal 2008 al 2011. Governi multicolor e, proprio per questa natura eterogenea – almeno apparentemente - spesso soggetti a rimpasti. Dell’attuale ne fanno parte 63 rappresentanti, tra cui 35 del PD, 13 di NCD, mentre 7 sono i tecnici. Anche la composizione anagrafica e di genere ha subito, dall’insediamento nel febbraio 2014 ad oggi, dei cambiamenti tutt’altro che in linea con i ‘propositi di rottamazione’: la presenza degli under 40 è passata dal 18% al 6%, mentre quella delle donne si è dimezzata (dal 50% al 25%).
Sotto il profilo delle spese impegnate il governo Renzi non vanta particolari meriti rispetto ai suoi predecessori, anzi. Il budget della Presidenza del consiglio, ridotto già con il governo Monti (4 miliardi di euro annui), ha raggiunto un picco minimo nel 2013 sotto la guida di Letta (3,5 miliardi). Nel 2014, invece, primo anno dell’esecutivo in carica, il denaro speso ha raggiunto i 3,6 miliardi. Ed è la voce “segretariato generale”, l’organo che si occupa dell’espletamento dei compiti della Presidenza e della gestione amministrativa, che è aumentata da 396 milioni del 2013 a oltre 750 milioni. Mentre la spesa che, come sempre, incide di più (oltre il 60%) è quella relativa alla protezione civile che nei due anni si è attestata su poco più di 2 miliardi l’anno.
Altra peculiarità del governo Renzi, che comunque conferma un trend consolidato ormai da tempo, è la centralità dell’esecutivo nella produzione normativa, a cui si accompagna il ricorso, spesso eccessivo, alla fiducia: il 31,01% delle leggi di iniziativa governativa approvate dal 2014 ad oggi ha richiesto il voto di fiducia, superando il primato di Monti (51 contro 49 questioni di fiducia). Al protagonismo di Palazzo Chigi nell’espletamento della funzione legislativa corrisponde un ruolo sempre più marginale del Parlamento. Quasi il 30% dei disegni di legge proposti dal governo sono diventati legge, a fronte dell’1% di quelli di iniziativa parlamentare. Anche nei tempi di approvazione l’esecutivo batte senatori e deputati: una media di 156 giorni contro 392. E tra i provvedimenti di iniziativa legislativa che concludono l’iter in tempi più brevi ci sono quelli in materia di impresa e giustizia (in media 46 giorni), mentre quelli approvati più lentamente riguardano esteri, Europa e trattati internazionali (rispettivamente 288,5, 298 e 316,06 giorni). Stessa sorte tocca agli emendamenti: quasi la metà delle proposte di modifica o di integrazione presentate dal governo vengono approvate sia alla Camera (48,18%) che al Senato (46,06%), mentre per i deputati la percentuale di successo è appena del 5,42%.
A questo nuovo equilibrio dell’assetto istituzionale, che vede uno spostamento di potere a vantaggio dell’organo esecutivo, si aggiunga che il governo Renzi ha risposto solo a poco più di una interrogazione parlamentare su tre (il 35,20% su oltre 21.000 depositate). E il ministro che sembra sfuggire più degli altri ai quesiti del Parlamento è il guardasigilli Orlando, mentre il ministero più pronto a dare delucidazioni è quello delle Riforme costituzionali e rapporti con il parlamento guidato dalla Boschi.
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