Le rinnovate piaghe d'Egitto nel terzo millennio

L'analisi | 20 luglio 2022
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Sono
talmente tante e schiaccianti le calamità che ci stanno piombando
addosso da un biennio a questa parte – pandemiche, geopolitiche,
belliche, economiche, politiche, sociali, naturali, ambientali –
che diventa sempre più ricorrente un misto di sfogo, parallelo,
interrogativo: “Non è che siamo alle prese con una riedizione
terzo millennio delle “piaghe d’Egitto” bibliche”?


Con
questa espressione, molto nota nella cultura giudaico-cristiana, si
riassume l’insieme delle calamità che secondo il racconto biblico
si abbatterono per volontà divina sul faraone e sugli egiziani. A
causa del loro rifiuto alla partenza degli ebrei, sottomessi e
schiavi nel paese delle piramidi. L’ultima, la più terribile,
vinse definitivamente la resistenza degli egiziani e gli israeliti
poterono partire per la Palestina. In pratica si tratta di punizioni
che Dio (Jahve-Colui che è) inflisse agli egiziani per non aver
liberato gli ebrei dalla schiavitù e affinchè Mosè potesse
condurli fuori dal paese.





Le
“piaghe d’Egitto” nel racconto biblico





Nel libro
dell'Esodo
 della
Bibbia si racconta l'uscita degli 
ebrei dall'impero
d'
Egitto sotto
la guida di Mosè. Uno degli episodi più importanti di questo libro
è l'invio delle dieci piaghe, o punizioni divine, contro il popolo
egizio. La redazione finale del decalogo le riporta in questo ordine:
1) Tramutazione dell'acqua in sangue; 2) Invasione
di rane dai corsi d'acqua; 3) Invasione di zanzare; 4)
Invasione di mosconi; 5) Morte del bestiame; 6) Ulcere su
animali e umani; 7) Pioggia di fuoco e ghiaccio (grandine); 8)
Invasione di cavallette/locuste; 9) Tenebre; 10)
Morte dei primogeniti maschi.


Gli
scopi delle dieci piaghe sono due: convincere il 
faraone a
lasciar andare gli ebrei e dimostrare la presenza di Dio agli ebrei e
ai 
non-ebrei.
Secondo
la Bibbia è quindi lo stesso Dio a "indurire il cuore" del
faraone perché, nonostante tutti i prodigi compiuti da Mosè,
non lasci partire gli Ebrei dall'Egitto e Jahve possa così colpire
l'Egitto stesso con le piaghe. L’espressione «Ma io indurirò il
cuore del faraone» non prende neppure in considerazione gli attori
umani per evidenziare il controllo di Dio ma - nonostante i problemi
che il concetto può far sorgere per il lettore moderno - il punto di
vista degli scrittori va interpretato: i nemici d'Israele non avevano
alcuna importanza. Erano, per così dire, semplici marionette nelle
mani di Jahve che perseguiva i suoi scopi per Israele.


Prima
piaga. Tramutazione dell’acqua in sangue. L'acqua imputridì dal
mar Rosso sino ai palazzi e ai canali, persino nelle giare. Tranne
che per gli ebrei a cui infatti gli egizi giungevano per ottenere
acqua non tramutata in sangue, ma ciò non bastò. I pesci di quelle
acque morirono.


Leggiamo
nella Bibbia: “Mosè e Aronne eseguirono quanto aveva ordinato il
Signore: Aronne alzò il bastone e percosse le acque che erano nel
Nilo sotto gli occhi del faraone e dei suoi servi. Tutte le acque che
erano nel Nilo si mutarono in sangue. I pesci che erano nel Nilo
morirono e il Nilo divenne fetido, così che gli egiziani non
poterono più berne le acque. Vi fu sangue in tutto il paese
d’Egitto. Ma i maghi dell’Egitto, con le loro magie, operarono la
stessa cosa. Il cuore del faraone si ostinò e non diede loro
ascolto. (…)”.


Seconda
piaga: le rane. Secondo la tradizione rabbinica le rane sorsero
seguendo una rana-madre, più grossa delle altre, per dirigersi verso
il palazzo in cui stava il faraone. Le rane entrarono persino nei
corpi degli egizi colpevoli, restando in vita anche così;
il 
Pentateuco spiega
infatti che esse erano in ogni parte; persino nei forni per il pane
degli stessi egizi colpevoli. Una delle cause della piaga che colpì
questi ultimi e che più li turbava fu soprattutto il continuo
gracidare delle rane anche all'interno dei loro corpi.


Leggiamo
direttamente il testo biblico: “Il Signore disse a Mosè: “Comanda
ad Aronne: stendi la mano con il tuo bastone sui fiumi, sui canali e
sugli stagni e fai uscire le rane sul paese d’Egitto!”. Aronne
stese la mano sulle acque d’Egitto e le rane uscirono e coprirono
il paese d’Egitto. (…) Il Signore operò secondo la parola di
Mosè e le rane morirono nelle case, nei cortili e nei campi. Le
raccolsero in tanti mucchi e il paese ne fu ammorbato. Ma il faraone
vide che era intervenuto il sollievo, si ostinò e non diede loro
ascolto, secondo quanto aveva predetto il Signore”.


Terza
piaga: le zanzare. Ancora dal libro dell’Esodo: “Così fecero:
Aronne stese la mano con il suo bastone, colpirono la polvere della
terra e infierirono le zanzare sugli uomini e sulle bestie; tutta la
polvere del paese si era mutata in zanzare in tutto l’Egitto. I
maghi fecero la stessa cosa con le loro magie, per produrre zanzare,
ma non riuscirono e le zanzare infierivano sugli uomini e sulle
bestie. Allora i maghi dissero al faraone: “E’ il dito di Dio!”.
Ma il cuore del faraone si ostinò e non diede ascolto (…)”.


Quarta
piaga: i mosconi. Queste le parole del testo biblico: “Poi il
Signore disse a Mosè: “Alzati di buon mattino e presentati al
faraone quando andrà alle acque; gli riferirai: Dice il Signore:
Lascia partire il mio popolo perché mi possa servire! Se tu non
lasci partire il mio popolo, ecco manderò su di te e sui tuoi
ministri, sul tuo popolo e sulle tue case i mosconi: le case degli
egiziani saranno piene di mosconi e anche il suolo sul quale essi si
trovano. (…) Così fece il Signore: una massa imponente di mosconi
entrò nella casa del faraone, nella casa dei suoi ministri e in
tutto il paese d’Egitto; la regione era devastata a causa dei
mosconi (…)”.


Quinta
piaga: mortalità del bestiame. Il racconto della Bibbia: “Allora
il Signore si rivolse a Mosè: “Va’ a riferire al faraone: Dice
il Signore, il Dio degli ebrei: Lascia partire il mio popolo perché
mi possa servire! Se tu rifiuti di lasciarlo partire e lo trattieni
ancora, ecco la mano del Signore viene sopra il tuo bestiame che è
nella campagna, sopra i cavalli, gli asini, i cammelli, sopra gli
armenti e le greggi, con una peste assai grave! Ma il Signore farà
distinzione tra il bestiame di Israele e quello degli egiziani, così
che niente muoia di quanto appartiene agli israeliti. (…) Morì
tutto il bestiame degli egiziani ma del bestiame degli israeliti non
morì neppure un capo. Il faraone mandò a vedere ed ecco neppure un
capo era morto del bestiame d’Israele. Ma il cuore del faraone
rimase ostinato e non lasciò partire il popolo”.


Sesta
piaga: le ulcere. Ancora dal testo biblico: “Il Signore disse a
Mosè e ad Aronne: “Procuratevi una manciata di fuliggine di
fornace: Mosè la getterà in aria sotto gli occhi del faraone. Essa
diventerà un pulviscolo diffuso su tutto il paese d’Egitto e
produrrà sugli uomini e sulle bestie un’ulcera con pustole, in
tutto il paese d’Egitto”. Presero dunque fuliggine di fornace, si
posero alla presenza del faraone, Mosè la gettò in aria ed essa
produsse ulcere pustolose con eruzioni su uomini e bestie”.


Settima
piaga: g
randine e
fuoco su tutto l'Egitto. Per questa piaga morirono anche molti
animali di proprietà degli egizi ma non quelli degli ebrei: quando
alcuni egizi osservarono che anche per questa piaga Dio punì loro ma
non punì gli ebrei, quelli iniziarono a comprendere la
differenza/distinzione che Dio fece a favore del 
popolo
eletto
 degli
ebrei. Come descrive la Bibbia, “ci furono grandine e folgori in
mezzo alla grandine: grandinata così violenta non vi era mai stata
in tutto il paese d’Egitto, dal tempo in cui era divenuto nazione!
La grandine colpì, in tutto il paese d’Egitto, quanto era nella
campagna: uomini e bestie; la grandine colpì anche tutta l’erba
della campagna e schiantò tutti gli alberi della campagna”.


Ottava
piaga: le cavallette. “Mosè stese il bastone sul paese d’Egitto
e il Signore diresse un vento d’oriente per tutto quel giorno e per
tutta la notte. Quando fu mattina il vento di oriente aveva portato
le cavallette. Le cavallette assalirono tutto il paese d’Egitto e
vennero a posarsi in tutto il territorio d’Egitto. Fu una cosa
molto grave: tante non ve n’erano mai state prima, né vi furono in
seguito. Esse coprirono tutto il paese, così che il paese ne fu
oscurato; divorarono ogni erba della terra e ogni frutto d’albero
che la grandine aveva risparmiato: nulla di verde rimase sugli alberi
e delle erbe dei campi in tutto il paese di Egitto. (…) Ma il
Signore rese ostinato il cuore del faraone, il quale non lasciò
partire gli israeliti”.


Si
trovarono cavallette/locuste ovunque; al termine di questa piaga gli
Egizi pensarono di potersi rallegrare per avere come cibo le
cavallette/locuste morte dopo la preghiera di Mosè perché essa
terminasse alla richiesta del faraone che, benché sembrasse aver
accettato Dio e il popolo ebraico, poi riprese a essere "arrogante,
ostinato, superbo e prepotente" (
Dio
"indurì" il cuore del faraone
).
Ma Dio fece "sciogliere" [persino] tutti i corpi di questi
insetti.


Nona
piaga: le tenebre. Anche questa piaga colpì soltanto gli egiziani.
Infatti presso gli ebrei v'era luce e non quelle tenebre tanto fitte.
Nelle parole della Bibbia: “Poi il Signore disse a Mosè: “Stendi
la mano verso il cielo: verranno tenebre sul paese di Egitto, tali
che si potranno palpare!”. Mosè stese la mano verso il cielo:
vennero dense tenebre su tutto il paese d’Egitto, per tre giorni.
Non si vedevano più l’un l’altro e per tre giorni nessuno si
poté muovere dal suo posto. Ma per tutti gli israeliti vi era luce
là dove abitavano”.


Decima
piaga: morte dei primogeniti. Ultimo brano del libro dell’Esodo che
riportiamo sulla piaga per eccellenza, non definita come le nove
precedenti né “prodigio” né “segno”: “A mezzanotte il
Signore percosse ogni primogenito nel paese d’Egitto, dal
primogenito del faraone che siede sul trono fino al primogenito del
prigioniero nel carcere sotterraneo, e tutti i primogeniti del
bestiame. Si alzò il faraone nella notte e con lui i suoi ministri e
tutti gli egiziani, un grande grido scoppiò in Egitto, perché non
c’era casa dove non ci fosse un morto! Il faraone convocò Mosè e
Aronne nella notte e disse: “Alzatevi e abbandonate il mio popolo
voi e gli israeliti! Andate a servire il Signore come avete detto.
Prendete anche il vostro bestiame e le vostre greggi, come avete
detto, e partite! Benedite anche me!” Gli egiziani fecero pressione
sul popolo, affrettandosi a mandarli via dal paese, perché dicevano:
“Stiamo per morire tutti!”.”


(Per
la documentazione e per i brani sopra riportati abbiamo fatto ricorso
ad Enciclopedia Treccani, Wikipedia e alla “Bibbia di Gerusalemme”,
Edizione EDB, 1973).





Inquadramento
storico ed esegesi





La
collocazione storica dell’esodo dall’Egitto viene così riassunta
dai biblisti nell’introduzione alla edizione dalla quale abbiamo
attinto: “Per la data dell’esodo non possiamo fidarci delle
indicazioni cronologiche di 1 Re 6,1 e Gdc 11,26, che sono secondarie
e provengono da computi artificiosi. Ma la Bibbia contiene una
indicazione precisa: secondo il testo antico di Es 1,11, gli ebrei
hanno lavorato alla costruzione delle città-deposito di Pitom e di
Ramses. L’esodo è dunque posteriore al regno di Ramses II, che
fondò la città di Ramses. I grandi lavori vi cominciarono
dall’inizio del suo regno ed è verosimile che l’uscita del
gruppo di Mosè ebbe luogo nella prima metà o verso la metà di
questo lungo regno (1290-1224), diciamo verso il 1250 a.C., o poco
prima. Se si tiene conto della tradizione biblica su un soggiorno nel
deserto durante una generazione, l’installazione in Transgiordania
si potrebbe collocare verso il 1225 a.C.”.


Successive
avvertenze nello stesso testo si rendono necessarie per una corretta
interpretazione della narrazione biblica: “Le “piaghe d’Egitto”,
espressione consacrata dall’uso, ma che il testo applica veramente
solo alla decima piaga: le prime nove sono dette “prodigi” o
“segni” di Es. 4, passim, 7,9. Come quei prodigi erano destinati
ad accreditare Mosè davanti agli israeliti e al faraone, così ora
le piaghe sono destinate ad accreditare Jahve, cioè a far
riconoscere il suo potere da parte del faraone. Le prime nove pieghe
si distinguono dalla decima per lo schema come per il vocabolario. Il
racconto si conclude con il rifiuto definitivo del faraone che Mosè
non rivedrà più; non resta che fuggire. La storia continua con
l’inseguimento dei fuggiaschi e con il miracolo del mare (il Mar
Rosso che si apre per far passare gli ebrei e si richiude
inghiottendo l’esercito del faraone egiziano, n.d.r.). Questa
tradizione dell’esodo come fuga all’origine era indipendente
dalla tradizione della decima piaga, quando gli israeliti sono
cacciati dall’Egitto (…). Come queste altre redazioni, il
racconto stesso è una composizione letteraria. Le piaghe III e VI
sono proprie della tradizione sacerdotale; la distribuzione delle
altre fra le tradizioni jahvista ed elohista è difficile. Non
bisogna cercare di giustificare questi prodigi con l’astronomia o
le scienze naturali; ma il racconto che ne è fatto utilizza fenomeni
naturali che sono conosciuti in Egitto e ignoti in Palestina (il Nilo
rosso, le rane, lo scirocco nero), o ancora conosciuti in Palestina
ma eccezionali in Egitto (la grandine). Si deve ritenere soltanto
l’intenzione del racconto, che è di far splendere agli occhi degli
israeliti, e del faraone stesso, l’onnipotenza di Jahve”.


Dalle
pagine della Bibbia dedicate alle “piaghe” ed all’esodo
dall’Egitto emerge un Dio d’Israele così sanguinario e crudele
da essere collocabile agli antipodi del Dio della misericordia su cui
tanto insiste l’attuale pontefice Francesco. Non è una esclusiva
della narrazione biblica, riguardante la religione monoteista per
antonomasia. Ad esempio nella religione dei Greci, politeista, con
l’aspetto degli dei antropomorfo, l’“empietà” è la mancanza
di rispetto verso gli dei e i loro riti; la “hybris”, la
tracotanza degli uomini, è una colpa che viola le leggi divine e che
genera la “nemesi” ossia la vendetta da parte degli dei.


In
definitiva anche le “piaghe d’Egitto” sono in qualche modo una
“nemesi” insistita, su larga scala, contro gli egiziani da parte
dell’unico Dio, Jahve.





Una
interessante interpretazione





Fin
qui il racconto biblico che qualche stupore, anzi più d’uno, lo
genera. Naturalmente non mancano letture ed interpretazioni per
alleviare le tante perplessità sull’azione di un Dio così di
parte ed efferato. Come quella - interessante, intessuta di lotta per
la libertà contro la tirannide ma anche di ecologia globale ed
economia - di Rosanna Virgili su “RomaSette.it”, settimanale
diocesano della Chiesa di Roma, in un contributo pubblicato il 20
gennaio 2020 dal titolo “Le piaghe d’Egitto, orizzonte di
libertà”. Scrive l’autrice: “
Le
dieci piaghe
 d’Egitto
sono divenute proverbiali come pochi altri luoghi biblici. Oltre ai
segni che ha dato a Mosè – la mano lebbrosa e il bastone che si
trasforma in serpente – il Dio del roveto mostra la sua presenza al
cospetto dell’Egitto con quella serie di segni, prodigi e flagelli
con cui vuole colpire e convertire il faraone. Nella lunga narrazione
– più di quattro capitoli – le piaghe sono trama della gelosia
di Dio nei confronti degli ebrei e della gara che Egli ingaggia con
il re d’Egitto volendo reclamare la sua signoria su questi ultimi.
Dinanzi alle tante vessazioni subìte, la reazione di Israele era
stata, infatti, quella di gridare a Dio; ora quel Dio doveva agire
concretamente per liberarlo dalla schiavitù. E mentre Mosè e Aronne
usano la diplomazia, Dio in persona è costretto a mettersi in gioco
contro il cuore coriaceo del faraone.


Ciò
che possiamo
 recepire
ancor oggi è l’importanza di credere nella libertà, oltre ogni
ostacolo, oltre ogni tenace condizione d’impotenza. Le piaghe con
cui Dio colpisce l’Egitto hanno, innanzitutto, un valore simbolico
per affermare che dev’esserci una via per «rovesciare i potenti
dai troni» e per ridare respiro a chi è oppresso. E ciò anche
quando non ci sarebbe alcuna ragionevole possibilità di pensarlo e
neppure di sognarlo! Dev’esserci da qualche parte uno spiraglio di
speranza per tutti i figli di Dio. Ed ecco l’audacia dell’Esodo:
nei fenomeni in cui la natura scatena tutte le sue potenzialità
distruttive, il credente cerca un’occasione positiva. Una
pedagogia divina per sottrarre al faraone il potere di vita e di
morte sui suoi sottoposti. Le piaghe d’Egitto possono sembrare il
segno di un Dio violento e ingiusto, Lui che dovrebbe essere buono e
imparziale verso Israele come verso ogni altra nazione della terra.
Dobbiamo capirne il messaggio ed evitare d’intendere il racconto
alla lettera. Esso serve ad aprire la mente a un orizzonte di
libertà, a scuotere chi si senta destinato a chinare per sempre la
testa. Qualsiasi tirannia può essere sfidata, ieri e oggi. La Bibbia
consente la libertà a tutti gli umani.


Le
prime nove piaghe
 che
si abbattono sul paese d’Egitto coinvolgono prepotentemente quella
che oggi chiameremmo l’ecologia globale. Alcune sono descrizione di
fenomeni frequenti nelle regioni egiziane, come le acque che
diventano color del sangue, rosse a causa dei detriti argillosi, o
l’invasione delle zanzare e delle rane che affligge il Paese in
autunno, quando le onde del Nilo si ritirano. Dio colpisce l’Egitto
proprio attraverso la fonte della sua florida economia che è il suo
grande fiume. In un crescendo pedagogico vengono, poi, colpiti la
terra e gli animali con la peste e le ulcere finché non «morì
tutto il bestiame degli Egiziani (…) Ma il cuore del faraone rimase
ostinato e non lasciò partire il popolo» (9,6-7). C’è un danno
intrinseco al successo del “sistema” economico dell’Egitto che,
però, il faraone si rifiuta assolutamente di capire. E di
correggere. Molto simile a tanta miopia degli attuali governanti del
mondo”.


Dalla
lettura attualizzata al parallelo con le “piaghe d’Egitto” dei
nostri giorni





La
lettura “ecologica” oltre che religiosa della Virgili che
attualizza le “piaghe d’Egitto” ci consente di tornare
all’attacco con cui iniziavamo le nostre riflessioni. Al nostro
essere bersaglio di una spaventosa concatenazione di calamità ed
eventi negativi che dal 2020 si stanno rovesciando sull’umanità e
sulle nostre esistenze. Per i quali naturalmente né Dio né dei
c’entrano qualcosa ma dalle quali ci sentiamo investiti e
tramortiti. Con drammatica preoccupazione. Come gli egiziani di quasi
33 secoli fa.


La
pandemia del Covid-19 ha fatto da detonatore. Con le sue chiusure,
con il colpo micidiale inferto alla libertà dei movimenti ed alla
globalizzazione di contatti e commerci. Fine dell’onnipotenza,
dell’onnipresenza, della diffusa convinzione di essere cittadini
del mondo. Da febbraio scorso la guerra in Ucraina ha poi premuto il
grilletto per il colpo di grazia. Il mondo torna a rinchiudersi in
recinti ideologico-militari schierati l’uno contro l’altro. Fine
del dialogo e della cooperazione. Ora si spara, si contano i morti a
decine o forse a centinaia di migliaia nella “civile” Europa. Con
la diffusa preoccupazione che se ne conteranno sempre di più e che
il conflitto per ora limitato al territorio della sventurata Ucraina
si possa allargare e ben più ampi contesti territoriali nel
continente europeo.


Con
la pandemia e le cannonate o i missili il clima c’entra
relativamente ma anche dalla natura sovvertita subiamo la nostra
versione moderna di “piaghe d’Egitto”: fenomeni climatici
estremi, catastrofica siccità e carenza di acqua dalle nostre parti
e contemporaneamente alluvioni nell’emisfero australe del pianeta.
E riduzione di raccolti che contribuisce ad accrescere nei paesi più
poveri del mondo la fame, la carestia provocata dal blocco delle
esportazioni di cereali dall’Ucraina a causa dell’invasione
russa. I flussi migratori dai paesi più martoriati economicamente
non potranno che moltiplicarsi. Con le conseguenti isterie di rito di
chi alimenta le sue fortune politiche ingigantendo la portata del
fenomeno migratorio, decidendo di erigere muri e filo spinato o
semplicemente suggerendo di non soccorrere i migranti quando sono in
mare. Tempesta perfetta.


Non
ci siamo fatti mancare neppure le cavallette. Nelle scorse settimane
in alcune aree della Sardegna hanno fatto del loro meglio quanto a
danni all’agricoltura. Fenomeno non nuovo. Comunque sia, pari pari
all’ottava piaga biblica.


Intendiamoci.
Le “piaghe d’Egitto” ricorrono nella storia. Solo per restare
alle aree geografiche di cultura e religione cristiana – alle quali
dunque il racconto biblico è noto essendo parte della propria
formazione religiosa – cosa hanno pensato nel IV e V secolo d.C. le
popolazioni europee sulle quali si sono abbattute feroci invasioni
barbariche? Sicuramente di essere alle prese con le “piaghe
d’Egitto” del loro tempo. Come lo avranno pensato gli europei
decimati a milioni dalla peste nella seconda metà del Milletrecento
o le popolazioni cristiane delle aree costiere per secoli preda delle
incursioni dei musulmani saraceni e poi dei turchi che
saccheggiavano, uccidevano, vendevano come schiavi i sopravvissuti e
le sopravvissute catturati. Si saranno detti di essere alle prese con
le “piaghe d’Egitto” del loro tempo le migliaia e migliaia di
aristocratici ed esponenti dell’“Ancien Régime” francesi
condotti alla ghigliottina alla fine del Millesettecento. Così come
i milioni di militari dalla vita in bilico – “si sta come
d’autunno sugli alberi le foglie”, per dirla con i versi del
poeta Giuseppe Ungaretti – disumanizzati nelle trincee, nel fango e
nella neve della Prima Guerra Mondiale. E chissà quanti milioni di
ebrei avranno ripensato al brano biblico delle “piaghe d’Egitto”,
a loro ancor più noto, man mano che dalla fine degli anni ’30 al
1945 vedevano stringersi la morsa del genocidio nazista. Stavolta
loro le vittime e non il faraone con i suoi sudditi. E comunque anche
la colpevole popolazione germanica, così idolatra del suo faraone
con la svastica, finirà per sperimentare piaghe sulla propria pelle.
Con sofferenze e lutti man mano che sconfitte e bombardamenti aerei
ridurranno ad un cumulo di rovine il territorio tedesco.


Ogni
giorno ha la sua pena. Ogni epoca storica ha le sue “piaghe
d’Egitto”. In questa nostra epoca affrontiamo una concatenazione
più massiccia. Impennata della spesa per armamenti, incubo nucleare,
forsennata corsa verso l’apocalisse nel disordine del sistema
internazionale. Non trascorre giorno senza che da qualche gerarca
della dittatura russa non giungano minacce di ricorrere alle armi
atomiche. Con le tensioni geopolitiche e la guerra vanno a braccetto
l’alta inflazione e i rischi di recessione. Ed ancora: la crisi
energetica, le pressioni al rialzo su energia e materie prime, il
rallentamento se non la frenata nella crescita profilatasi nel 2021
dopo il tombale 2020 pandemico, una bolletta energetica semplicemente
insostenibile per famiglie ed imprese, la prospettiva molto concreta
di “razionamento” delle fonti energetiche. Tradotto: nel prossimo
inverno strade cittadine e monumenti resteranno più di quanto
prevediamo al buio. Case e scuole resteranno al freddo. La catena
degli approvvigionamenti aveva già manifestato scricchiolii anche
prima dell’aggressione russa all’Ucraina. Sul versante economico
l’inflazione troppo alta, troppo persistente nel tempo, erode i
margini delle imprese e si riversa sui prezzo al consumo. E’ stato
calcolato che nel nostro paese una impresa su tre è a rischio
fallimento a causa dell’usura. Piccole imprese artigiane e
commerciali sono scivolate in area insolvenza. Difficile in queste
condizioni accedere ai prestiti del sistema bancario e più facile
cedere agli usurai. Aumenta il numero dei poveri. I prodotti di base
dell’alimentazione delle famiglie subiscono l’aumento dei costi
energetici e di produzione, spinti dalla guerra in Ucraina e dalla
siccità. Con la sconvolgente crisi idrica che desertifica le nostre
campagne inevitabile la perdita di una parte dei raccolti. Da
quantificare ma di sicuro non marginale. Gli eventi meteo sono sempre
più estremi, le estati sempre più infuocati.


Colpiscono
le connessioni che rendono un tutt’uno sistema energetico e sistema
internazionale, sistema geopolitico e sistema economico, ambiente e
alimentazione, consumi e produzioni. Tutto è filiera, tutto si
tiene: dal meteo ai campi, dal gas ai fertilizzanti, dalle consegne
ai minerali rari, dalle materie prime ai semiconduttori. Tutto è
concatenato: pandemia, guerra, inflazione, povertà crescente, caro
bollette, aumento del costo delle materie prime, rischi
sull’approvvigionamento energetico, crisi alimentare.


Di
certo attraversiamo un periodo buio. E ci avviamo verso un futuro
che, lungi dall’affascinarci, al contrario preoccupa. Angoscia. Se
siamo avanti negli anni inevitabile pensare non tanto al nostro non
lungo futuro quanto piuttosto a quello dei nostri figli e dei nostri
nipoti. Troppo caos, troppa conflittualità, troppo disordine, troppi
rischi economici per la vita quotidiana, per la qualità della vita
che peggiora piuttosto che migliorare. Dovevamo debellare la fame e
al contrario fame e povertà vanno con il vento in poppa. Dovevamo
provare a dare meno spago all’impazzimento climatico con politiche
energetiche meno velenose e stiamo tornando al carbon fossile per
ragioni geopolitiche (liberarci dalla dipendenza dal gas russo) e per
contrastare carenze di forniture così come impennate pazze dei costi
degli idrocarburi e del gas. Dovevamo ridurre l’inquinamento che
mette a rischio la nostra sopravvivenza ed invece stiamo sempre più
riempiendo gli oceani di miliardi di metri cubi di plastica
assassina. Dovremmo avere religioso rispetto di ogni singolo albero
ed invece ogni estate con criminale determinazione appicchiamo
incendi e roghi che distruggono estensioni immense di foreste,
boschi, coltivazioni.


Nelle
“piaghe d’Egitto” del nostro tempo la presenza divina – più
correttamente: la dimostrazione dell’onnipotenza divina – ha
lasciato il passo, nel quotidiano evolversi delle vicende alla
presenza umana, alla dimostrazione della (presunta) onnipotenza
dell’uomo del XXI secolo. Più che altro ha lasciato il passo alla
suicida imbecillità dell’uomo del XXI secolo.


Per
quanto ci riguarda più direttamente, nel piccolo della nostra
Italia, tra le “piaghe” di questi giorni potremmo aggiungere
anche i partiti, in particolare quelli iscritti nella categoria
“Sfascisti, populisti, sovranisti, destabilizzatori, antieuropeisti
cronici ed affini”. Ma questa è un’altra storia.

 di Pino Scorciapino

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