Le origini del carnevale nell’ancestrale rito dei Saturnali
Tra le varie tesi sulle origini storiche della festa più pazza dell’anno, il Carnevale, quella più accreditata ne indica le scaturigini nell’ancestrale rito dei “Saturnali”, simbolica renovatio della mitica età dell’oro, quale sarebbe stato il regno felice di Saturno. Dal latino “carnem levare” poi corrotto in “carne, vale”! (addio, carne!) per il divieto ecclesiastico di consumare carne durante il periodo quaresimale, deriverebbe infatti per molti l’attuale sostantivo. Sebbene incerta appaia (insieme all’origine) perfino la derivazione etimologica che per altri andrebbe invece ricondotta comunque ad un’altra espressione latina “carrum novalis” (il carro navale con cui i romani inauguravano la festa).
Sebbene si sia pensato anche alla festa ateniese delle Antesterie, a feste primitive di carattere orgiastico o perfino alla civiltà egizia (in onore di Iside 2000 anni a.C.), la provenienza e l’origine più profonda del Carnevale sembra dunque essere la festa pagana dei “Saturnali”, che si svolgeva nell’antica Roma dal 17 al 23 dicembre (ma si parla anche dell’intero periodo compreso tra il 17 dicembre e il 15 febbraio, cioè fino ai “Lupercali”, altri festeggiamenti in onore del Dio Padre) il cui momento essenziale era costituito da una “sconfinata libertà” – di cui parla l’etnologo siciliano Serafino Amabile Guastella – che tendeva alla rievocazione del tempo felice del regno di Saturno, il quale veniva simbolicamente rappresentato durante il Carnevale (“Re Carnevale”). Un momento di estasi e di liberazione culminante in un vero e proprio “mondo alla rovescia”, con scambio di ruoli e di sessi.
Questa figura simbolica, durante il brevissimo ciclo del suo regno, era investita di poteri illimitati che sconvolgevano qualsiasi ordine e rapporto sociale, ma alla fine doveva poi uccidersi o venire ucciso mettendo fine con la sua morte ad un regno fatto di piaceri e di orge. “Ma - come scrive l’etnologo catanese Sebastiano Lo Nigro (Catania 1919-Parigi1984) - nel processo che si concluderà con la condanna s’inserisce, quale elemento importante sul piano folcloristico, il testamento del Carnevale che costituisce la pubblica confessione dei peccati di tutta la comunità e meglio la denuncia delle sue malefatte, dei soprusi e dei raggiri delle persone preposte alla sua amministrazione. Oggi, però, il Carnevale ha perduto il suo carattere di protesta e di contestazione dei pubblici poteri, diventando puro spettacolo pittoresco per la festa dei colori e dei costumi. La manipolazione a scopi commerciali e turistici del Carnevale è forse l’esempio più vistoso del processo di appropriazione borghese della cultura popolare, cioè della mistificazione dei suoi autentici valori socio-culturali”
Contrapposto alla lugubre seriosità gotica, il Carnevale – festa popolare per eccellenza – riesplode in età rinascimentale, recuperando un universo simbolico di libertà in contrasto con le ritualità ecclesiastiche e del rigido stato feudale, chiuso nelle gerarchie, nei tabù religiosi e nell’inviolabilità delle norme morali. Sicché aprendo al riso, il riso del popolo (Rabelais) irride ai divieti ed ai limiti trasgredendo, ma oggi sempre più all’interno d’un apparato di regole codificate che in definitiva lo funzionalizzano alla conservazione e ne fanno soltanto un fugace momento d’innocuo divertimento.
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