Le nuove armi dell'Apocalisse nucleare in mano a ragazzi birichini

Società | 29 gennaio 2019
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1.La raggelante “Galleria dell’Apocalisse”

Il dottor Stranamore è tornato. O piuttosto non se ne era andato definitivamente. Ma in questi nostri tempi è ormai scatenato, irrefrenabile. E come nel film del geniale regista inglese Stanley Kubrick del 1964 (“Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba”) alcuni attori, in particolare il protagonista Peter Sellers e George Scott, interpretavano contemporaneamente più ruoli, l’attuale dottor Stranamore ha assunto i connotati di più nostri padroni della vita e della morte: il russo Vladimir Putin, l’americano Donald Trump, il cinese Xi Jinping. Anche per il nordcoreano Kim Jong-un c’è una parte. Non da protagonista come i primi tre ma di sicuro non marginale, non da comparsa.

Quella che emergerà in questo lungo articolo – da inquadrare di fatto come un approfondimento o piuttosto come un vero e proprio saggio – è una raggelante “Galleria dell’Apocalisse” che si sta componendo sotto gli occhi distratti di un mondo totalmente preso da deliri di egemonia e vocazioni a superpotenza, risorgenti nazionalismi, sovranismi, razzismi, fanatismi ed estremismi jihadisti, inaccettabile disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza, divario crescente fra troppo ricchi e troppo poveri. Tutti possibili co-fattori scatenanti dell’Apocalisse nucleare. Ma non ce ne vogliamo rendere conto. Facciamo come gli struzzi che mettono la testa sotto la sabbia. Evitiamo di pensarci. Anche il movimento pacifista nel mondo - per quanto spesso accusato di essere strabico, storicamente a tradizionale trazione antiamericana ed antisraeliana - si è ridotto a ben poca cosa. Una voce ogni giorno più flebile. E la corsa alle armi di distruzione di massa - sempre più inintercettabili, sempre più da “giudizio universale” - va avanti con velocità e realizzazioni impressionanti che, prima ancora di un carico di uranio distruttivo, sono il prodotto di un carico di follia progettuale che va oltre ogni possibile idea di inumanità. Chi – facendosi scudo della “Deterrenza” e in nome dell’”Equilibrio del terrore” – autorizza, progetta, produce armi della potenza distruttiva di quelle che passeremo in rassegna nelle pagine che seguono fa apparire principianti dello sterminio tutti i grandi massacratori del passato ed i capi del regime nazista.

Peraltro nel mondo bipolare degli anni della Guerra Fredda, dalla conclusione della Seconda Guerra Mondiale al disfacimento dell’Unione Sovietica, il sistema della deterrenza e dell’equilibrio del terrore poteva essere meglio controllato rispetto ad un mondo ormai tripolare quanto a superpotenze militari globali (Usa, Russia, Cina) con una galoppante tendenza non all’ordine quanto piuttosto al disordine nel sistema politico internazionale. Il quadro dunque si complica, si sfalda progressivamente e il modello difensivo basato sulla deterrenza si profila sempre più succube dell’errore e della follia umana. In un conflitto nucleare – e ormai, come vedremo, si evoca sempre più spesso la possibilità di un ricorso all’arma nucleare anche in conflitti di rango regionale, non planetario – il processo di annientamento, una volta innescato, è irreversibile e la collaborazione tra le superpotenze “dopo l’insorgere del problema” – ammesso che ci possa essere collaborazione – risulta inefficace.

Bisogna dare vigore ad un pacifismo nuovo, anch’esso ormai globale ed “unificato”. Non ci sono più due fronti, il capitalismo da una parte e il comunismo dall’altro, con la propensione sottotraccia o in totale buona fede dei movimenti ad assegnare il ruolo dei prevalenti “cattivi” all’uno o all’altro dei due totem ideologici. Il comunismo cinese è solo imperialismo in spettacolare espansione economica e militare, sebbene per quanto concerne la connotazione economica negli ultimi anni abbia fatto registrare qualche segnale di rallentamento. La Cina è divenuta la vera padrona dell’intero continente africano oltre ad avere un amplissimo raggio di azione in Asia. Putin a Mosca è solo uno zar spregiudicato che persegue con una politica sfacciatamente aggressiva l’intento storico di una Russia che non fa mistero di considerarsi invincibile ed invitta. Dopo aver sconfitto Napoleone e Hitler e grazie alla sua sterminata ampiezza, da oltre due secoli complica la vita ai popoli di tutte le aree confinanti, dalla Scandinavia al Baltico, all’Europa orientale, al Medio oriente, all’Asia centrale e sud-orientale. Alla Casa Bianca siede un presidente attaccabrighe, del tutto inadeguato al suo ruolo, imprevedibile, inaffidabile, che disconosce il significato stesso ed il rispetto dovuto alla parola “alleati”. Gli Stati, grandi e piccoli, si arroccano e si chiudono come i castelli nell’epoca medievale. Il globalismo economico-finanziario ha lasciato sul terreno produttivo e sociale morti e feriti. Si torna per reazione all’”America First” e un po’ dappertutto in Europa e negli altri continenti al nazionalismo/sovranismo più scontroso.

In questo delirio, appunto, “disordinato” giocano una loro parte le potenze nucleari meno globali o regionali, spesso (ci riferiamo a quelle extraeuropee) alle prese con storiche beghe con i vicini: Francia, Gran Bretagna, India, Pakistan, Israele con la Corea del Nord che ha fatto negli ultimi dieci anni il grande salto a potenza atomica di raggio d’azione extraregionale. Vari altri Stati sono in condizione di dotarsi in poco tempo dell’arma nucleare e dei vettori per lanciarla nelle sempre più ricorrenti crisi regionali. Secondo attendibili statistiche, però non recentissime, del 2011, della “Federation of American Scientists Statistics of World Nuclear Forces” – ecco il numero di testate possedute dai paesi del club atomico: Russia circa 8.500, Usa circa 7.700, Regno Unito circa 220, Francia circa 300, Cina circa 240, India circa 80, Pakistan circa 90, Corea del Nord 10-20, Israele circa 80.(1) Dal 2011 al 2018 queste le variazioni che sarebbero intervenute e i numeri aggiornati: Russia 6.850, Usa 6.450, Regno Unito 215, Francia 300, Cina 280, India 130-140, Pakistan 140-150, Corea del Nord 20, Israele 80.(2) Il Sud Africa al 2011 era l’unico tra i paesi che hanno lavorato alla realizzazione di bombe nucleari, con la collaborazione israeliana, ad avere smantellato di sua volontà il proprio arsenale. In passato, a partire dagli anni ’60, hanno abbandonato programmi nucleari già avviati numerosi stati: Jugoslavia, Svezia, Svizzera, Egitto, Taiwan, Corea del Sud, Iraq, Libia, Brasile, Argentina, Romania, Algeria. Tre paesi mediorientali - Iran, Arabia Saudita, Siria - “ci hanno tentato” o “ci tentano”. Soprattutto i primi due tra i quali è sempre più conflittuale la rivalità come potenze regionali, mentre il terzo è ormai ridotto ad un cumulo di macerie per la lunga, sanguinosa guerra civile che tuttora vi si combatte.

Come si fa a parlare di deterrenza e di equilibrio del terrore in un contesto planetario così frantumato? Il millenario “Si vis pacem para bellum” dei Romani non regge più, superato dallo strapotere distruttivo delle armi dei nostri tempi. Per i sovvertimenti climatico-ambientali giustamente tutti concordano e ammoniscono che stiamo per superare, o forse abbiamo già superato, il punto di non ritorno. Per l’impennata nucleare del XXI secolo perché è assordante il silenzio di chi, sfilando nelle strade, sulla stampa, nei parlamenti, nei governi, dovrebbe ogni giorno ammonire sull’evidenza che il punto di non ritorno per l’Apocalisse nucleare altroché se è stato superato e lavorare per un mondo che sia meno forsennatamente armato?


2.Il drone sottomarino russo “Status-6” e lo tsunami di proporzioni inimmaginabili

Prima di entrare nei particolari di questo saggio che delinea le nuove farneticanti dottrine militari e si sofferma sull’illustrazione delle Armi dell’Apocalisse, sui modelli “ultimo grido” – per ricorrere ad una espressione commerciale di mercato che suona tristemente ironica in questo genere di ricerca ed applicazione scientifica – è bene anticipare che ai fini della maggiore comprensione possibile non si potrà fare a meno di ricorrere ad un linguaggio spesso tecnico e complesso se non addirittura in qualche passaggio tecnicistico, da addetti ai lavori. E’ il prezzo da pagare per “per capirci qualcosa”, per renderci meglio conto della follia di scienziati, militari e politici e per avere piena evidenza di come siamo seduti su di una incommensurabile polveriera. Si direbbe quasi con indifferenza, con inconsapevolezza.

Iniziamo da un sistema d’arma non propriamente recentissimo come concezione, lo “Status-6”, nome in codice NATO “Kanyon” (un’altra sua definizione è “Poseidon”). E’ un veicolo sottomarino “made in Russia” lungo 24 metri e di 1,6 metri di diametro senza pilota, sperimentale a lunga gittata armato con una testata nucleare al cobalto da 100 megatoni. In grado di creare con l’esplosione del carico bellico uno tsunami neppure immaginabile, con onde alte 500 metri, di inquinare con la radioattività residua ampi tratti di mare prospicienti alle coste e di distruggere l’industria petrolifera sulle piattaforme. Il drone sarebbe lanciato da due nuovi modelli di sottomarini della classe Oscar e della classe Yasen che la Russia ha iniziato a produrre negli ultimi tre anni. Avrebbe una portata di 10.000 chilometri viaggiando a 100 nodi e ad una profondità di 1.000 metri grazie alla propulsione affidata ad un piccolo reattore nucleare. Sviluppato da un ufficio di progettazione di sottomarini a San Pietroburgo, sarebbe in grado di evitare con la tecnologia “stealth”, per intenderci quella dei cosiddetti “aerei invisibili”, tutti i dispositivi di localizzazione acustica ed altre trappole. Con l’esplosione il cobalto-59 si trasformerebbe nel ben più radioattivo cobalto-60, in grado di inquinare vasti tratti di mare per un periodo di almeno cinque anni (un arco temporale che ci sembra troppo ottimistico). Recenti informazioni hanno ridotto la velocità massima a 56 nodi, pari a 100 chilometri orari, e la profondità massima raggiungibile a 975 metri mentre si conferma la gittata ad oltre 10.000 chilometri.(3)

Lo “Status-6” sarebbe una risposta asimmetrica allo schieramento del sistema di difesa missilistica BND (Ballistic Missile Defence) da parte degli Stati Uniti e della NATO, consentendo di trasportare una testata nucleare di grande potenza sulle coste statunitensi, neutralizzando qualsiasi dispositivo di difesa americano.

Sconcertante: il copyright dello “Status-6” è di Andrei Sakharov, “pentito” scienziato nucleare sovietico, Premio Nobel per la Pace nel 1975. Negli anni ’50 lo “Strategici Air Command” americano avrebbe potuto distruggere l’Unione Sovietica con un attacco nucleare preventivo, senza che l’Urss potesse opporsi o effettuare ritorsioni. Il fisico nucleare Andrei Sakharov propose lo sviluppo di un siluro armato con una testata nucleare da 100 megatoni, in grado di devastare le coste degli Stati Uniti, generare uno tsunami di enormi proporzioni, contaminare le aree costiere ma anche dell’entroterra per centinaia di chilometri con le radiazioni residue. Altro non sono, pari pari, che caratteristiche e dati sviluppati nel progetto dello “Status-6” dell’era putiniana.(3)


3.La nuova frontiera della distruzione: le armi ipersoniche. Il sistema russo “Avangard”

L’anno scorso, l’1 marzo, nel suo discorso sullo stato della nazione, alla vigilia delle presidenziali del 18 marzo, Vladimir Putin, sicuro vincitore della competizione elettorale, avvertiva il mondo: ora siamo “invulnerabili”. La Russia ha nel suo arsenale armi ipersoniche, ha dichiarato Putin: ”La loro potenza può essere enorme e presto potranno diventare invulnerabili ai sistemi di difesa aerea e antimissile, in quanto i veicoli intercettori non possono raggiungerle”. E metteva in guardia: “Abbiamo detto diverse volte ai nostri partner che avremmo preso delle misure in risposta al piazzamento dei sistemi antimissili americani. Nonostante tutti i problemi che abbiamo affrontato, la Russia era e rimane una potenza nucleare. Ma nessuno ci ha ascoltato. Allora ascoltateci adesso” ha concluso. Aggiungendo allo stesso tempo però che Mosca “non ha intenzione di minacciare nessuno”.(4) Giustificazione a metà strada tra l’ipocrisia e l’arrampicata sugli specchi da parte di uno che si nutre di espansionismo camuffandolo da necessità di difendersi. Il solito ritornello.

Torniamo alle parole dello zar Vladimir. E’ “una unità nucleare potente e di dimensioni ridotte” ad assicurare la propulsione del nuovo missile che avrà “una gittata quasi illimitata, traiettoria imprevedibile e la capacità di superare gli intercettori”. Si tratta, ha sottolineato il presidente russo, di un “sistema invincibile contro ogni sistema di difesa esistente e futura, contro ogni sistema di contraerea”. Il missile da crociera è invisibile ai radar, vola basso e può portare una testata nucleare. Un missile ad energia nucleare è stato lanciato con successo alla fine del 2017 da un poligono russo ed ora si è pronti a iniziare a sviluppare “un sistema completamente nuovo, un sistema strategico nucleare con un missile nucleare”.(5)

Pochi mesi dopo, nel luglio dello scorso anno, il Ministero della Difesa russo ha diffuso sulla rete le primissime immagini dell’aliante ipersonico Avangard svelato dal presidente nel discorso alle Camere riunite dell’Assemblea federale dell’1 marzo. L’obiettivo della Russia è mostrare agli Stati Uniti i prototipi in via di sviluppo, alcuni dei quali già pronti per la produzione in serie. Poche settimane prima, il 21 maggio 2018, a Sochi Putin aveva annunciato che il sistema Avangard entrerà in servizio tra non molto, in questo 2019, seguito dal missile superpesante Sarmat.(6)


4.Il vettore Sarmat per portare in orbita gli alianti ipersonici Avangard

I sistemi HGV, acronimo di Hipersonic Glider Vehicle, del Programma ipersonico 4202 sono testati dalla base missilistica di Dombarovsky, nella regione di Oremburg. Qualsiasi sistema d’arma che raggiunge o supera una velocità di oltre 5 Mach è considerata ipersonica. Ogni aliante ipersonico è concepito per essere armato con una testata nucleare con una resa esplosiva compresa tra i 550 chilotoni e i 2 megatoni. Cerchiamo di farci una idea di queste unità di misura. L’energia esplosiva degli ordigni nucleari è la quantità di energia liberata quando un ordigno viene detonato, espressa in chilotoni o kilotoni (migliaia di tonnellate di TNT, trinitroluene) o megatoni (milioni di tonnellate di TNT). Per avere un termine di confronto ricordiamo che le atomiche del 1945 sganciate su Hiroshima e Nagasaki avevano una potenza esplosiva rispettivamente di 11-13 chilotoni e 18-23 chilotoni. Praticamente mortaretti rispetto alla terrificante resa esplosiva delle nuove armi nucleari che saranno rese operative. Un singolo vettore Sarmat potrebbe trasportare fino a 24 alianti ipersonici Avangard in grado di eludere qualsiasi sistema di difesa esistente. E’ una precisazione superflua ma necessaria: nessun sistema missilistico di difesa, russo o americano, potrebbe azzerare un attacco di saturazione di una potenza nucleare. L’attuale tecnologia non è semplicemente in grado di arrestare un massiccio attacco missilistico. Il citato programma BMD (Ballistic Missile Defence) statunitense, ad esempio, è stato progettato per sperare di intercettare una manciata di missili ipoteticamente provenienti dall’Iran o dalla Corea del Nord. Non esiste uno scudo di difesa antimissile in grado di azzerare una minaccia stratificata di proiezione lanciata da una potenza nucleare. Ed è un dato inconfutabile.(6)

La rilevazione iniziale, il tracciamento e la soluzione di fuoco richiede comunque del tempo (parliamo sempre di secondi) che però potrebbero essere troppi considerando il regime ipersonico. La contromisura anti-balistica per le tradizionali, “vecchie” testate a rientro convenzionale è ben nota e si basa sul calcolo della traiettoria di discesa attraverso l’atmosfera delle testate multiple indipendenti. Il problema dell’elevata velocità di rientro è stato aggirato preventivamente con l’impiego di missili intercettatori progettati per distruggere le testate multiple indipendenti prima della loro fase di rilascio. Ma nelle nuove armi la velocità ipersonica annulla tale fase critica rientrando nell’atmosfera in planata ad altissima velocità ed avvicinandosi all’obiettivo con una traiettoria relativamente piatta. Rispetto alla traiettoria delle testate tradizionali imbarcate sui missili balistici intercontinentali, Avangard vola ad una altitudine di diverse decine di chilometri negli strati densi dell’atmosfera. Mentre manovra lungo la sua traiettoria di volo ed in base alla sua altitudine, la testata dell’aliante bypassa le capacità di rilevamento ed intercettazione delle difese missilistiche nemiche. Avangard dovrebbe essere lungo 5,4 metri e sviluppare una velocità superiore a Mach 20 ossia venti volte quella del suono.(6) C’è anche chi sostiene che possa raggiungere Mach 27 ossia la fantascientifica velocità di circa 30.000 chilometri orari.

Secondo i russi la resa esplosiva della testata Avangard sarebbe superiore ai 2 megatoni. Se così fosse Avangard eclisserebbe in potenza qualsiasi altra testata termonucleare in servizio negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Cina. Una delle armi più distruttive sul pianeta è la testata “W88” da 455 chilotoni della linea pesante da attacco imbarcata sui sottomarini della classe Ohio degli Stati uniti. I 400 missili intercontinentali Minuteman III schierati nei silos di Wyoming, North Dakota e Montana sono armati con una singola testata “W87” con resa esplosiva di 300 chilotoni (475 probabile). In entrambi i casi Avangard è quattro volte più potente.(6)

Ad oggi i sistemi russi noti armati con testate termonucleari della classe Megaton sono due: il Sarmat ed il siluro Poseidon ovvero lo “Status-6” che abbiamo descritto in precedenza. Il Sarmat, armato con 24 Avangard di 2 megatoni, ha una resa esplosiva stimata di 48 megatoni. Nel giro di qualche anno la Russia potrebbe strutturare la sua linea d’attacco Avangard sul Sarmat RS 28 che, con la sua autonomia stimata di oltre 12.000 chilometri, sarebbe destinato al territorio statunitense.(6)

Il missile termonucleare super-pesante RS 28 Sarmat dovrebbe trasportare fino a 15 testate atomiche multiple in configurazione variabile per una resa di 150 chilotoni/1 megatone oppure 24 alianti ipersonici Avangard da 550 chilotoni/2 megatoni. Un veicolo a slittamento ipersonico elimina molte delle vulnerabilità esistenti con i missili intercontinentali tradizionali, come le traiettorie di volo ampiamente prevedibili dopo il lancio. Le enormi dimensioni del missile hanno richiesto lavori di ristrutturazione dei silos che sono stati completati lo scorso anno presso il centro spaziale di Plesetsk, nel nord ovest della Russia. Questo missile super-pesante termonucleare da oltre 100 tonnellate di peso a propellente liquido è in fase di sviluppo dal 2015 in risposta al sistema americano Prompt Global Strike. E’ stato progettato per raggiungere Mach 20 e rilasciare testate termonucleari a rientro multiplo indipendenti su traiettorie circumpolari. Per il Sarmat si parla di bombardamento orbitale frazionale: i veicoli di rientro entreranno brevemente nell’orbita bassa “diventando freddi”, rendendo cioè difficile il loro tracciamento. Il Sarmat dovrebbe entrare in servizio con sette reggimenti delle Forze Missilistiche Strategiche della Federazione Russa. Mosca garantirà copertura finanziaria fino al 2027 per sviluppare e produrre il Sarmat e l’Avangard.(6)


5.La reazione americana: il programma “Glide Breaker” e “l’intercettazione cinetica”

Veniamo agli Stati Uniti. Nella competizione tra superpotenze militari ad ogni azione corrisponde una reazione. E infatti i militari americani sono particolarmente preoccupati dalle più recenti armi russe ipersoniche. Inoltre temono che anche la Cina stia attivamente sviluppando armamenti ipersonici.

L’agenzia governativa statunitense per la ricerca e difesa (DARPA) ha presentato la concezione dell’intercettore Glide Breaker che, nelle intenzioni, dovrebbe essere in grado di contrastare le armi ipersoniche russe e cinesi. Secondo gli sviluppatori, Glide Breaker è un velivolo di piccole dimensioni che distruggerà i missili ipersonici del nemico tramite la cosiddetta intercettazione cinetica, che presuppone di colpire direttamente il bersaglio. L’intercettazione cinetica non implica una unità di fuoco separata e la neutralizzazione del bersaglio avviene con l’intera struttura dell’apparato. “L’obiettivo del programma Glide Breaker – si legge in un comunicato della DARPA – è di migliorare le capacità degli Stati Uniti di difendersi dalle armi oltre la velocità del suono e da tutti i tipi di minacce ipersoniche”. Non sono stai esposti ulteriori dettagli sul nuovo dispositivo militare.(7)



6. Putin: “Collassa il sistema globale di deterrenza degli armamenti”

A dicembre il presidente Putin ha presenziato dalla sala di controllo del ministero della Difesa al test dell’Avangard, coronato da successo. Il lancio è avvenuto dalla base di Dombarovsky, nella regione degli Urali. Avangard ha attraversato ad alta quota tutta la Siberia per colpire un poligono nella penisola della Kamchatka distante 6.000 chilometri. Il presidente ha additato la nuova arma come risposta allo sviluppo del nuovo sistema antimissile Usa e al clima di forte tensione che monta tra Mosca e Washington. “Avangard è invulnerabile a qualsiasi mezzo di difesa antimissile esistente o futuribile” ha insistito Putin aggiungendo che l’arma ipersonica a planata “si dirige sul bersaglio come un meteorite, come una palla di fuoco”.(8)

Dopo tutto questo dispiegamento di potenza militare distruttiva, talmente elevata da incenerire nel giro di qualche ora ogni forma di vita sull’intero pianeta Terra e sterminare l’intera popolazione mondiale, pochi giorni dopo, sempre a dicembre, nella consueta grande conferenza stampa di fine anno a Mosca, Putin davanti a 1.750 giornalisti, con preventive lacrime di coccodrillo e come se lui non fosse parte rilevantissima del problema, dichiara: “Parto dal presupposto che l’umanità abbia un sufficiente senso di autoconservazione per non arrivare al punto di non ritorno”. La tendenza a sottovalutare la possibilità di una guerra nucleare nel mondo sta crescendo. Si osserva il crollo del sistema internazionale di deterrenza delle armi. Queste le parole di Putin: “Il pericolo di uno sviluppo del genere nel mondo è in qualche modo oscurato, via via sembra impossibile o qualcosa di non così importante. Ma allo stesso tempo, Dio non lo voglia, si pone qualcosa di simile, che può portare alla morte dell’intera civiltà e forse del pianeta”. Putin si è rammaricato del fatto che questa “tendenza a sottovalutare sia in atto e persino in crescita. Ci sono pericoli. Il primo è il crollo a cui stiamo assistendo del sistema globale di deterrenza degli armamenti”.(9)

Secondo il presidente russo il declino della sicurezza internazionale soprattutto nell’ambito della corsa agli armamenti “aumenta l’incertezza”. Il riferimento è ovviamente alla minaccia degli Stati Uniti di uscire dal trattato INF (“Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty”) sulle armi nucleari. Una scelta che secondo Putin rappresenta l’accennato “collasso del sistema internazionale di deterrenza”. Ed ha chiosato con le solite tesi autoassolutorie: “La superiorità russa nella difesa missilistica serve a mantenere la parità strategica e se arriveranno i missili in Europa poi l’Occidente non squittisca se reagiremo”. Proprio così: ha usato spregiativamente il verbo squittire, che indica il verso dei topi o di alcuni uccelli o, nella migliore ipotesi, estensivamente ma sempre spregiativamente, persone che parlano con voce stridula. Secondo Putin il rischio maggiore per l’Europa (e in particolare per la Russia) è quello dell’utilizzo di armi nucleari “a bassa potenza”. Questa idea che da tempo si sta stabilizzando in alcune Difese occidentali, in particolare al Pentagono, secondo il Cremlino è indice di una pericolosa corsa verso la catastrofe atomica.(10)


7.Continente europeo nuovamente sotto tiro: il processo di smantellamento del trattato INF

L’improvvido annuncio del 20 ottobre 2018 del presidente americano Trump di volere uscire dal trattato INF sui missili nucleari a medio raggio è stato una miccia buona per ogni innesco. Un vero e proprio assist per dare a Putin la patente di uno costretto a difendersi e dunque a realizzare armi sempre più distruttive.

Sembravano lontani, congelati nei libri di storia, quei momenti di paurosa tensione tra Est ed Ovest che negli anni ’80 venivano temuti come il preludio ad una catastrofica guerra nucleare combattuta specialmente sul suolo europeo. Sembrava davvero che le città della nostra vita quotidiana potessero d’improvviso sprofondare sotto il fuoco di una esplosione atomica, con una colossale nube a fungo svettante fino alla stratosfera. Questa era la paura atomica degli anni della Guerra Fredda. Ciò che allora rendeva più facile e tempestivo l’abbassamento della soglia nucleare in caso di scontro tra i due blocchi era la diffusione di quelli che la stampa ribattezzò come “euromissili”, ovvero i missili, sia balistici che da crociera, a testata nucleare a raggio intermedio, dislocati direttamente in Europa da entrambe le superpotenze, Usa e Urss. Con l’aggravante che gli assai più ridotti tempi di volo degli euromissili, a confronto degli aerei armati di bombe e dei missili intercontinentali che partivano da molto più lontano, riducevano enormemente anche i tempi di valutazione e reazione, moltiplicando il rischio di una guerra scoppiata per errore oppure per eventuale, disperato quanto folle, tentativo di risolvere lo stallo con lanci a raffica nella più totale sorpresa. Questa angosciante stagione tramontò, come è noto, a partire dall’8 dicembre 1987 quando a Washington, dopo mesi di trattative, Ronald Reagan e Mickhail Gorbachev apposero finalmente la loro firma al trattato INF.(11) L’accordo impegnava Usa e Urss a distruggere interamente i loro missili a testata nucleare di medio e intermedio raggio ovvero di gittata compresa tra 500 e 5.500 chilometri. Il trattato portò così entro maggio 1991 all’eliminazione di quasi 2.700 vettori russi ed americani di base in Europa. Si trattava da parte americana dei Pershing II e dei “cruise” Tomahawk nella loro versione a testata atomica battezzata Gryphon e da parte sovietica dei SS 20 in codice NATO e dei più obsoleti SS 4 e SS 5, sempre secondo la definizione NATO. L’INF è stato già di per sé uno dei principali motivi per cui negli ultimi trenta anni il timore di un conflitto nucleare è stato relegato agli ultimi posti nella scala delle paure collettive più diffuse. Ma entro pochi anni se non pochi mesi questo timore potrebbe ritornare in posizione preminente. Negli ultimi mesi del 2018, infatti, l’architettura del trattato INF è entrata sempre più in crisi. Soprattutto a causa della spinta degli Stati Uniti che da un lato danno ad intendere di volerlo migliorare includendo anche la Cina, la quale non ne vuole sapere, dall’altro sostengono a bella posta che la Russia lo starebbe violando per prima e sbandierano tale pretesto per giustificare un proprio ritiro dal patto in tempi ben più brevi di quanto necessario per effettuare tutte le verifiche del caso, ammesso che si voglia davvero salvare l’INF.(11)

Il 3 dicembre scorso il segretario generale della NATO, il norvegese Jens Stoltenberg, aveva fatto da apripista anticipando: “La Russia ha sviluppato e dislocato un nuovo missile con capacità nucleare che potrebbe raggiungere le città europee con scarso o nessun preavviso. Gli Usa sono in regola con il trattato INF. Esso ha eliminato una intera categoria di armi ma ora è messo a rischio dalla Russia”. L’indomani, nel corso del vertice dei ministri degli esteri della NATO nel quartier generale di Bruxelles, è il segretario di Stato americano Mike Pompeo a far partire una sorta di conto alla rovescia od ultimatum dichiarando: “Abbiamo avviato il processo di sospensione dei nostri obblighi del trattato INF in 60 giorni, tempo necessario perché la Russia torni a conformarsi al trattato. Quando è stato firmato nel 1987 rappresentava lo sforzo compiuto in buona fede da due paesi rivali per ridurre la minaccia di una guerra nucleare. A prescindere dal successo del trattato, oggi ci troviamo davanti agli imbrogli della Russia rispetto ai propri obblighi di controllo degli armamenti. La Russia ha cominciato a testare il missile SSC-8 sin dalla metà degli anni 2000. Il suo raggio lo rende una diretta minaccia per l’Europa. Gli Stati Uniti hanno rispettato il trattato in maniera scrupolosa. Davanti alle irregolarità russe, siamo stati estremamente pazienti e ci siamo sforzati per convincere la Russia a rispettare i termini dell’accordo. La sospensione durerà sei mesi, poi il caso verrà riesaminato”. Contando dal 4 dicembre significa che se entro il 4 febbraio i russi non dimostreranno di non aver violato il trattato, gli americani inizieranno a sospenderne unilateralmente l’applicazione per sei mesi. Di fatto iniziando ad annullarlo essendo l’INF un patto bilaterale che per definizione non potrebbe persistere azzoppato. Se poi entro i sei mesi successivi (4 agosto 2019) dalla Russia non verrà percepito alcun segnale gradito a Washington, può darsi che l’INF finisca per decadere definitivamente.(11)

Nel febbraio del 2017 gli americani sostenevano di temere soprattutto alcune versioni del sistema missilistico russo a breve raggio Iskander. Secondo loro supererebbe i 500 chilometri di gittata e dunque i limiti inferiori del trattato. Secondo Mosca non supererebbe i 415 chilometri e dunque li rispetterebbe. Ma nel 2018 l’attenzione degli americani si è spostata, come abbiamo osservato, sul SSC-8. Missile di cui non si sa molto. Derivato, a quanto pare, da un missile navale convenzionale già usato in Siria per bombardare dal mare postazioni dell’Isis e di altri nemici del governo di Assad sostenuto dal Cremlino.

In risposta ai primi mugugni statunitensi del febbraio 2017 il 28 marzo dello stesso anno il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov dichiarava: “Abbiamo ripetutamente confermato la nostra osservanza degli impegni del trattato INF. Non ci sono violazioni da parte nostra. Gli Stati uniti sostengono il contrario ma non forniscono alcuna informazione che possa essere verificata”. Di contro i russi reagivano aumentando i loro già ampi sospetti sulle basi antimissile americane realizzate in Europa orientale, il cosiddetto sistema Aegis Ashore, cioè la versione terrestre del sistema antibalistico imbarcato sugli incrociatori della marina Usa. E’ un sistema difensivo che può offrire mascheramento a missili di crociera offensivi dato che il modulo di lancio verticale è dello stesso tipo di quello impiegato per i “cruise” offensivi Tomahawk. Proprio dei Tomahawk la Marina americana ha già annunciato di volere reintrodurre una versione armata con testata nucleare, ufficialmente destinata all’imbarco sui sottomarini ma che nessun serio ostacolo tecnico impedisce di spostare in qualsiasi momento su piattaforme terrestri.(11)

Si sa che la prima importante base antibalistica, quella di Deveselu, in Romania, è attiva dal 2016 con almeno 24 lanciatori ed altrettanti missili. Una seconda installazione è in fase di costruzione a Redzikowo, in Polonia, e potrà contare su una forza similare. Perciò il presidente Putin aveva buon gioco a dichiarare già più di un anno fa, il 14 dicembre 2017: “Gli Usa di fatto si sono già ritirati dal trattato INF quando hanno dispiegato i sistemi di lancio in Romania. Quindi tutte le accuse sono intese a presentare la Russia come violatrice del trattato in modo da usare la situazione come un pretesto per un ritiro ufficiale. Noi non abbiamo intenzione di ritrarci da qualsivoglia trattato deteriorando la sicurezza internazionale”.(11)


8.Lo scudo antimissile americano

Quando si consumò il primo strappo nel paziente tessuto di controllo degli armamenti che l’accorta classe politica della Guerra Fredda aveva faticosamente confezionato era il 13 giugno 2002. E alla Casa bianca sedeva George Walker Bush, ossia Bush junior, che decise di arrogare all’America mano libera negli ambiziosi progetti di National Missile Defence (MND) e poi Ballistic Missile Defence (BMD) sbandierando l’ambizione, forse più propagandistica che reale, di rendere l’America e le sue basi principali invulnerabili a un attacco missilistico nemico. Un vecchio sogno che risaliva a Ronald Reagan e che aveva cominciato a prendere effettiva forma sperimentale negli anni Novanta sotto la presidenza di Bill Clinton, rivelandosi poi un costante indirizzo strategico di tutte le amministrazioni americane degli ultimi vent’anni. Ne scaturirono i programmi antimissile proseguiti poi sotto le presidenze di Bush junior, Barak Obama e ora Donald Trump. Sfociando, tra l’altro, negli avamposti di Deveselu e Redzikowo, vicinissimi alle frontiere russe e quindi all’ipotetica “fase ascendente” dei missili balistici russi, quando sono più vulnerabili sia perché i motori a razzo sono in funzione e lasciano una vistosa traccia infrarossa, sia perché testate multiple armate e finte testate-esca per ingannare le difese sono ancora racchiuse nell’ogiva. E che il cosiddetto “scudo antimissile” ripartito in numerosi sistemi a breve o lungo raggio, di quota bassa o alta, non fosse indirizzato solo ai missili balistici degli “stati canaglia” come Iran o Corea del Nord ma anche a quelli russi lo si capiva da molti indizi. Come la collocazione in Europa Orientale dell’Aegis Ashore che sarebbe stato meglio posizionato in funzione anti iraniana in Turchia.(11)


9.Le reciproche violazioni del trattato INF e la chiamata in causa della Cina da parte di Washington

Nel caso delle accuse alla Russia sull’INF gli Stati Uniti non sono stati, almeno fino a queste prime settimane del 2019, precisi né solerti nel fornire prove. Ammettendo che i russi siano, tutto sommato, propensi a sviluppare i loro nuovi armamenti dietro un comprensibile schermo di riservatezza – come fanno da sempre tutte le potenze, Usa compresi – spetterebbe a Washington dimostrare che i missili russi SSC-8 superino la gittata consentita, cioè siano in grado di colpire ad oltre 500 chilometri. Se gli americani, come sembra, non sono stati in grado di raccogliere in proposito precisi dati da lontano, con sensori aerei o satellitari, un’ipotesi potrebbe essere l’ampio ricorso allo spionaggio. Ma non è nemmeno da escludere che gli Stati Uniti non abbiano, semplicemente, alcuna prova in mano e stiano montando un caso con accuse gratuite per avere poi mano libera.

Nonostante percepiscano la relativa pericolosità, o perlomeno inquietante incognita, rappresentata dalle basi del sistema Aegis Ashore a ridosso del loro confine, i russi hanno affrontato la questione in termini più cauti degli americani. Non hanno mai, finora, messo in discussione il trattato INF in quanto tale. Né, in particolare, hanno minacciato di uscirne o lanciato ultimatum agli Stati Uniti. E sì che i sospetti di Mosca sono suppergiù dello stesso livello di quelli di Washington quanto a vaghezza. Mentre la Russia, quindi, non si spinge a tanto, gli Stati Uniti da tempo scalpitano e, pur di minare il trattato, cercano appigli anche in Estremo Oriente.

L’attirare la Cina nel quadro dell’INF, da cui è sempre stata estranea, offre agli Usa una arma diplomatica, dando ad intendere la presunta volontà di mantenere in vita il trattato, purché venga allargato alla potenza asiatica per eliminare la nutrita forza di missili balistici a raggio intermedio. La base di partenza è ineccepibile, nel senso che i cinesi sono sempre stati liberi di progettare e schierare vettori regionali che tengono sotto tiro le maggiori basi americane nel Pacifico, come quelle in Giappone e nell’isola di Guam nonché le squadre navali di portaerei americane in navigazione nei mari cinesi.

Fra i missili balistici cinesi che più impensieriscono gli americani vanno considerati il Dong Feng DF-26, raggio di azione di 3.500 chilometri, e il Dong Feng DF-17, di più breve raggio, sui 2.000 chilometri circa. Entrambi recentissimi e precisi. Soprattutto entrambi probabilmente in grado già dal 2020 di operare portando nell’ogiva il veicolo di rientro DZ-DF, uno dei nuovi ordigni ipersonici, sorta di alianti sagomati per la ricaduta manovrata nell’atmosfera terrestre recando testate di vario tipo, noti come “hypersonic gliders”, in questo omologo del russo Avangard e dell’americano AHW ideato avendo in mente il concetto di Global Strike.

La Cina ha già però fatto sapere che non ha alcuna intenzione di farsi coinvolgere in un trattato nato in tutt’altro contesto e fra altri attori. Il portavoce del ministero degli Esteri ha espresso il punto di vista cinese: “Il ritiro unilaterale degli Usa dal trattato avrà un effetto multilaterale negativo”. Che gli Stati Uniti puntino poi a sollevare la questione cinese, in parte per dividere gli interessi di Mosca e Pechino, in parte per spingere i russi, col ricatto della possibile fine dell’INF, a premere sui loro alleati cinesi perché rinuncino ai missili a medio raggio, sembra estremamente improbabile. Tanto che lo scorso 5 dicembre lo stesso ambasciatore russo a Washington Anatoly Antonov ha supportato le rimostranze di Pechino osservando: “Se il trattato INF dovesse comprendere la Cina, allora dovrebbe allargarsi anche agli altri stati della NATO, primariamente Francia e Gran Bretagna”. E’ quindi difficile pensare che a Washington credano davvero di potere costringere la Cina a sedersi a un tavolo per aderire a una sorta di New INF.(11)

La “carta cinese” sembra quindi niente di più che una mossa d’immagine per rafforzare la pretesa legittimità della denuncia dell’INF. Troppo, del resto, si è spinta in avanti, con una inerzia di lungo periodo, l’enfasi posta dalla Cina sui suoi missili medi e intermedi, per colpire in caso di necessità tutta la cintura di potenziali avversari da Taiwan al Giappone, perché nel giro di pochi anni i dirigenti di Pechino possano anche pensare di sbaraccare tutto, rinunciando ad una parte così ingente del loro arsenale strategico. Tutto lascia pensare che, in ottemperanza alla nuova dottrina Trump – che peraltro rende più facile il ricorso alle armi nucleari, preferibilmente puntando su precisione e minor potenza distruttiva – l’America cerchi di mantenere la supremazia su Russia e Cina, vanificandone i rispettivi potenziamenti di capacità convenzionali nelle rispettive regioni geopolitiche. Nel frattempo, avviando un rinnovo senza briglie della sua linea di vettori e ordigni nucleari, Washington trarrebbe un notevole beneficio anche per il suo apparato industriale.(11)


10.A rischio anche il trattato sulle armi intercontinentali strategiche

C’è poi il timore che la fine dell’INF porti anche, entro breve tempo, alla caduta dei limiti nel campo degli armamenti strategici intercontinentali. Dopo il patto AMB e quello INF, il pericolo è che il New START, che dovrebbe essere riconfermato nel 2021, possa saltare. Perciò il 7 dicembre il ministro degli Esteri russo Lavrov avvertiva: “Ho visto una dichiarazione secondo cui se l’INF cessasse di esistere verrebbe messo in discussione anche il New START. Sembra che si stia semplicemente preparando il terreno per smantellare anche questo trattato. La Russia ha presentato più volte agli Stati Uniti delle proposte per avviare un serio e onesto dialogo sull’INF, sul New START e su come affrontare le questioni relative alla stabilità strategica. Dagli americani non c’è mai stata risposta e ogni volta che glielo ricordiamo ci dicono che dobbiamo cancellare le violazioni commesse da noi”.

Il New START, stipulato nel 2010 fra Russia e America in sostituzione dei trattati precedenti, limita le armi nucleari strategiche a 1.550 testate per parte con 800 vettori ciascuno fra missili a) intercontinentali ICBM, b) imbarcati nei sottomarini, c) imbarcati sugli aeroplani da bombardamento, di cui più di 700 vettori operativi nello stesso momento. Scadrà il 5 febbraio 2021 e potrà proseguire sulla base di rinnovi quinquennali. Se tutto va bene, s’intende, poiché l’incertezza derivante da una prevedibile fine dell’INF potrebbe, già tra due anni, compromettere anche i negoziati per questo rinnovo. Una stagione di crescente nervosismo è infatti dietro l’angolo.(11)


11.Assisteremo ad una “crisi venezuelana” come la “crisi di Cuba” del 1962?

Attenzione alla crisi venezuelana, peraltro prepotentemente esplosa ed avvitatasi come guerra civile e crisi diplomatica internazionale proprio in questi giorni. Se non intervengono al più presto composizioni Caracas rischia di diventare una Damasco del Sud America. Attenzione anche perché il Venezuela di Maduro stava mettendo in opera tutte le premesse per diventare ciò che era stata Cuba nella angosciante crisi dei missili sovietici del 1962. Con le evidenti innovazioni strategico-militari intervenute a 57 anni da allora. Un episodio poco noto è indicativo al riguardo. Fra il 10 e il 15 dicembre 2018 due bombardieri pesanti russi Tupolev Tu-160, in grado anche di trasportare missili nucleari, conducevano esercitazioni in Venezuela, ospiti dell’alleato governo di Caracas, decollando dal paese sudamericano per voli di pattuglia nell’area dei Caraibi, assai vicino ai confini degli Stati Uniti. Non era la prima volta che gli aerei Tu-160 venivano schierati da Putin in Venezuela. Era già accaduto nel 2008 e nel 2013 ma stavolta il dispiegamento assumeva tutt’altro valore nella crescente tensione con l’America. Mosca segnalava tra le righe che tra le possibili contromisure ci potrebbe essere, come già negli anni ’60, l’utilizzo dei paesi sudamericani come base avanzata di deterrenza, non solo con bombardieri strategici ma anche con missili là basati.

Pochi giorni prima, il 4 dicembre, il generale russo Leonid Ivashov aveva anticipato in una dichiarazione a metà strada tra il farneticante e l’inquietante, di quelle che riportano indietro le lancette dell’orologio della storia: “La Russia e gli Stati Uniti hanno poche chances di mantenere in vita il trattato INF. E’ necessario puntare verso il territorio americano non solo con missili intercontinentali ma anche con missili a raggio intermedio, in primo luogo missili da crociera. Per quanto riguarda la loro collocazione, sarebbe necessario esplorare se possa essere a Cuba o in un altro paese latinoamericano”. “Altro paese” che sicuramente sarebbe il citato Venezuela.

L’evocare il ripetersi della crisi dei missili che Krushev schierò a Cuba nel 1962 ha portato subito, il giorno dopo, il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov a prendere le distanze dai commenti del generale: “Non abbiamo nulla a che fare con questa idea”.(11)


12.Paesi europei e NATO nel nuovo assetto militare post smantellamento INF. La preoccupazione americana e la deterrenza sempre più precaria

E’ certo che la fine del trattato INF porterebbe perlomeno in Europa a un proliferare di vettori che prenderebbero di mira le rispettive basi. Ovvero anche molti paesi della NATO. Il 5 dicembre il Capo di stato maggiore delle forze armate russe, il generale Valerij Gerasimov, ha inequivocabilmente avvertito gli addetti militari delle ambasciate straniere a Mosca: “In quanto militari professionisti dovreste capire che non il territorio degli Stati Uniti ma i paesi che ospitano i sistemi statunitensi con missili a raggio corto e intermedio diventeranno gli obiettivi per le misure di rappresaglia della Russia. Mentre gli Stati Uniti costruivano il loro scudo antimissile globale, noi russi abbiamo rafforzato le forze nucleari strategiche di terra, anche con il nuovo vettore a planata ipersonica”. E infatti, come abbiamo già scritto, solo tre settimane dopo, il 26 dicembre 2018, Putin assisteva al collaudo di quello che ha definito “un regalo al popolo russo per l’imminente nuovo anno” (!): la testata manovrabile Avangard.

Il capo del Comando Strategico degli USA, generale John Hyten, ha commentato con preoccupazione: “Non abbiamo difese che possano prevenire l’uso di quest’arma contro di noi”. L’ex capo della NASA ed ingegnere del Pentagono Michail Griffin ha lamentato come alle forze americane manchino radar adatti a captare il velocissimo, sfuggente ordigno russo: “Bisogna coprire migliaia di miglia, non centinaia, e la curvatura terrestre nonché l’estensione dell’Oceano Pacifico, dove mancano isole adatte a porvi stazioni radar strategiche, rendono difficile la sorveglianza. Non ci sono molti luoghi dove si possono installare dei radar. E, se li trovate, diventano automaticamente dei bersagli. Bisognerebbe ampliare la rete dei sensori orbitanti nello spazio”.

Mantenere l’equilibrio ed evitare che una delle due parti sia tentata di attaccare per prima nell’illusione di vincere la guerra nucleare, ancorché limitata, resta quindi una via maestra per evitare la catastrofe. Secondo Dimitrij Suslov, responsabile del centro studi europei e internazionali alla Scuola superiore di economia di Mosca e consigliere di Putin: “E’ una situazione più pericolosa che negli anni Cinquanta. C’è una novità decisiva in termini teorici: per la prima volta gli Stati Uniti hanno ufficialmente dichiarato in un documento di dottrina militare che in futuro gli ordigni nucleari potranno diventare armi di guerra e non solo armi di deterrenza. Questo giustifica l’intenzione degli americani di produrre e spiegare una nuova generazione di armi atomiche di potenza limitata. Ma è uno sviluppo pericolosissimo. In un quadro del genere, se ci fosse uno scontro militare diretto tra Russia e America, rischierebbe inesorabilmente di diventare nucleare, perché non avremmo più strumenti per controllarlo o prevenirlo.”. Ecco perché - di fronte ad una America che potrebbe davvero togliere alle armi nucleari quella loro etichetta di eccezionalità apocalittica allo scopo di renderle razionalmente impiegabili come armi qualsiasi - la Russia stessa potrebbe essere costretta a rimettere il dito sul bottone rosso come e più di quaranta anni fa. Anche valutando che, se basi IRBM d’intercettazione americane sorgessero troppo vicine ai confini russi, un’opzione potrebbe essere quella di distruggerle in anticipo. Ancora Suslov: “Ci sarebbe una grossa differenza se i missili fossero installati per esempio in Germania o Italia, oppure in Polonia orientale e nei Paesi Baltici. E’ un tema delicatissimo. Nel primo caso Mosca risponderebbe con uno spiegamento analogo. Ma nel caso della Polonia o dei Paesi Baltici allora la situazione sarebbe molto più pericolosa poiché il tempo di volo di un missile da lì al territorio russo è più basso del tempo di decisione necessario perché le forze russe possano impiegare armi atomiche. Se missili nucleari fossero installati in Polonia o nei Paesi Baltici la Russia sarebbe costretta a fare ricorso ad un’azione preventiva per eliminarli”.

La velocità micidiale delle macchine rischia di travolgere la capacità umana di discernere, capire e intavolare trattative per evitare il peggio. Le lezioni della Guerra Fredda non sembrano essere state sufficienti e i progressivi smantellamenti da parte statunitense dei trattati di sicurezza rischiano di alzare troppo la posta, secondo un gioco calcolato ma rischiosissimo, potendo alimentare in ognuno dei contendenti errate valutazioni delle reali intenzioni dell’altro.(11)

Né più né meno quello che – in altra epoca e con armi nucleari meno sofisticate e distruttive – Kubrick aveva immaginato nel suo film.


13.Il sistema di difesa spaziale americano

E’ in questo contesto ogni giorno più deteriorato che, a metà gennaio2019, poche settimane fa, Donald Trump ha ordinato di rafforzare il sistema di difesa spaziale e di creare un nuovo corpo ad hoc delle forze armate, lo Space Force. “Entriamo in una nuova era della difesa missilistica. Il mondo cambia e noi dobbiamo cambiare più velocemente degli altri” ha sottolineato il presidente avendo bene in mente in particolare la corsa al riarmo di Mosca e Pechino e il nuovo missile ipersonico che rappresenta una grave minaccia per Usa e suoi partner dentro e fuori la NATO. Anche se nella visione del presidente americano in questa fase è l’Iran a rappresentare la minaccia più grande, il più pericoloso di quelli che ha definito “paesi ostili”. C’è però un ostacolo da superare: il voto del nuovo congresso spaccato a metà fra repubblicani e democratici. Sono Camera e Senato che dovranno votare sia la proposta della costituzione di una Space Force sia gli investimenti per prepararsi allo scenario delle guerre stellari.(12)

Gli Stati Uniti, dunque, starebbero valutando la possibilità di uno spiegamento di armi nello spazio, inclusi satelliti e laser, per intercettare missili nemici. Non è stata ufficializzata nessuna decisione concreta al riguardo ma appare certo che l’Amministrazione Trump punti a rafforzare lo scudo antimissile per proteggere gli Stati Uniti e i suoi interessi all’estero da possibili attacchi. Con un messaggio molto diretto da parte della Casa Bianca. Alla Russia ma anche alla Cina. A dicembre la Cina ha lanciato una sonda sulla Luna che sta offuscando l’immagine dell’egemonia scientifica che si sarebbe voluta celebrare a cinquanta anni dalla prima orma sul satellite della Terra di un astronauta americano. La Cina sta dimostrando di saperci fare, sta esplorando la parte invisibile del nostro satellite, testa nuovi importanti esperimenti scientifici, sta avviando la costruzione di una nuova stazione spaziale dopo che a ogni suo astronauta è stato impedito di salire sulla Stazione Spaziale Internazionale. Le leggi americane che vietano alla NASA una concreta collaborazione con la Cina non solo non hanno finito per condizionare lo sviluppo dei programmi cinesi ma hanno finito per rafforzarne la tecnologia.(13)

Invero la decisone di Trump ci riporta più furbescamente ad una analoga manovra di Reagan compiuta con la “Strategic Defense Initiative” (SDI) - più nota come “Scudo Spaziale” - proposta nel 1983 per utilizzare sistemi d’arma con base al suolo e nello spazio per proteggersi dai missili balistici con testate nucleari. L’iniziativa si focalizzava sulla difesa strategica piuttosto che sulla dottrina previamente accettata della “Mutual Assured Destruction. La costosissima rete difensiva spaziale non fu mai realizzata perché l’improvvisa minaccia intimidì talmente il nemico sovietico da costringerlo a clamorosi arretramenti e gli investimenti già effettuati furono canalizzati in un progetto più pacifico di collaborazione che finì per fondere le isole dell’orbita bassa americana con quelle russe e generare l’avamposto spaziale che conosciamo come Stazione Spaziale Internazionale. Tornò una calma virtuale e il nemico rosso fu sconfitto senza premere nessun tasto letale.

Oggi la situazione è diversa perché la Cina ha basi molto più solide di quelle del Cremlino degli anni Settanta – Ottanta e detiene un numero impressionante di dollari americani, più certamente delle riserve custodite nei forzieri di Fort Knox, nello Stato del Kentucky. Quella di Reagan fu una mossa astuta, giocata in un momento storico di disgregamento dell’impero di Mosca. Fu la fine della Guerra Fredda. E l’inizio delle guerre regionali.(13) Oggi però né la Russia e tantomeno la Cina sono sull’orlo del collasso.


14.Conclusioni

La nostra ricostruzione finisce qui, aggiornata praticamente a queste ore. Abbiamo fatto il punto sulla inquietante accelerazione che ha fatto registrare la corsa agli armamenti atomici negli ultimi anni due anni. Il rischio di un conflitto nucleare aumenta ogni giorno che passa. La Terza Guerra Mondiale sarebbe l’ultima poiché poi più niente e nessuno del mondo animale e della civiltà sopravviverebbe con il dispiegamento della follia distruttiva degli arsenali di nuova concezione che abbiamo passato in rassegna.

Con questi tipi di armi, ora aggiornate in termini di potenza distruttiva e sempre più numerose, non sono in gioco i destini del mondo ma, nel suo complesso, “il” destino del mondo. E’ una illusione l’attacco preventivo per prendere il sopravvento e parare i colpi. Se il conflitto è dietro l’angolo, consapevolmente o per errore (guasti, sconfinamenti aerei o navali, informatica in tilt, hackeraggi, errata valutazione scientifico-analitica) un risultato è certo: non ci saranno né vincitori né vinti ma un definitivo olocausto che renderà il pianeta Terra un astro senza alcuna forma di vita forse per secoli o millenni, come ce ne sono altri milioni o miliardi nell’universo. Il “game over” della civiltà e della vita.

Dobbiamo e possiamo restare in silenzio di fronte ad una simile prospettiva ogni giorno sempre più in preparazione? Le opinioni pubbliche mondiali – a partire da quelle americana, russa, cinese fino alle europee ed alle altre – devono continuare a fare finta che la realtà non sia così prossima ad essere fuori controllo?

Ogni screzio, ogni crisi locale, ogni ingerenza militare od anche solo diplomatica delle superpotenze in qualsiasi angolo del mondo, ogni scontro, ogni sconfinamento voluto o sinceramente erroneo di un aereo di guerra in perlustrazione o di una nave può causare uno scontro armato, anche di minime dimensioni. E lo scontro armato convenzionale, in rapida escalation, passare a conflitto nucleare, verosimilmente prima con ordigni tattici da teatro e poi con vettori balistici intercontinentali armati con grappoli di megatestate atomiche inintercettabili. E’ un destino prossimo venturo ineluttabile oppure è possibile essere tutti meno passivi, rassegnati, quasi per niente concentrati a fare qualcosa per scongiurare l’Apocalisse? Opinion leader, opinioni pubbliche, cittadini, uomini e donne, giovani e anziani d’ogni dove: sveglia! Mobilitiamoci, non pieghiamoci alla rassegnazione, alla morte, alla fine di tutto! E’ sconvolgente anche solo pensarlo ma è così: nessuna posta in gioco da quando i primi ominidi apparvero sulla faccia della Terra, in Africa, due milioni e mezzo di anni fa, è stata fondamentale come questa.

di Pino Scorciapino


Documentazione:

Considerata la complessità tecnica del tema trattato le note tra parentesi nel testo rimandano direttamente alla documentazione di seguito elencata. Per i paragrafi 7,8,9,10,11,12 si è fatto ampio ricorso ai contenuti dell’articolo indicato al punto 11. Si ringraziano gli autori e gli organi di stampa citati.

(1) Carlo Pallavicini “Paesi con la bomba atomica: paesi che possono dare avvio ad un conflitto nucleare” in “Investire Oggi – Quotidiano economico-finanziario”, 1 maggio 2017

(2) www.sipri.org “Modernization of nuclear weapons continues: number of peacekeepers declines: New Sipri Yearbook out now”, 2018

(3) https://it.wikipedia.org/wiki/Status-6_Oceanic_Multipurpose_System

(4) Sara Gandolfi “Putin: il missile nucleare “Sarmat” può arrivare ovunque” in www.corriere.it, 1 marzo 2018

(5) ”Putin mostra la sua nuova arma X-101: l’”invincibile” supermissile nucleare” in www.lastampa,it, 2 marzo 2018

(6) Franco Iacch “Russia, le prime immagini dell’aliante ipersonico Avangard” in www.ilgiornale.it, 20 luglio 2018

(7) ”USA presentano un modello di arma per intercettare i missili ipersonici di Russia e Cina” in https://it.sputniknews.com, 8 settembre 2018

(8) ”Russia, testata la nuova arma nucleare ipersonica Avangard” in https://www.lettera43.it, 26 dicembre 2018

(9) ”Putin rileva nel mondo sottovalutazione del rischio di una catastrofe nucleare” in https://it.sputniknews.com, 20 dicembre 2018

(10) Renato Zuccheri “Putin: “Rischio di una guerra nucleare e della fine della civiltà” in www.ilgiornale.it, 20 dicembre 2018

(11) Mirko Molteni “”Trattato INF: torna l’incubo atomico in Europa?” in www.analisidifesa.it, 7 gennaio 2019

(12) ”Scudo missilistico e armi in orbita: le Guerre Stellari di Trump” in https://www.lettera43.it, 17 gennaio 2019

(13) Enrico Ferrone “Donald Trump e il riarmo spaziale dell’America. Gli Stati Uniti starebbero valutando la possibilità di uno spiegamento di armi nello spazio” in “L’Indro – L’approfondimento quotidiano indipendente”, 18 gennaio 2019.



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