Le mani della politica sulla sanità siciliana

Società | 4 novembre 2021
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«Il legame in Sicilia tra politica e sanità è ovunque solido, antico, irrisolto. Spesso, purtroppo, opaco: la privatizzazione della gestione della sanità siciliana, declinata secondo interessi e convenienze non sempre legittime, rappresenta un elemento ricorrente di questi ultimi vent'anni. E l’elemento che viene fuori negli ultimi vent'anni ci dice che l’interferenza della politica continua a essere molto pervasiva, spesso assillante». Questa la fotografia che emerge dall’inchiesta sulla Sanità siciliana della commissione Antimafia regionale, presieduta da Claudio Fava, presentata all’Ars. Un’indagine a cui la commissione ha dedicato undici mesi di lavoro svolgendo cinquantacinque audizioni tra amministratori, medici, sindacalisti, giornalisti, imprenditori, dirigenti regionali, parlamentari, assessori, e che si è concentrata soprattutto su due direttrici: la trasparenza o meno della spesa sanitaria e dunque l’efficacia dei meccanismi di controllo; la legittimità o meno delle interferenze della politica nella gestione della sanità siciliana. Ne emerge «un quadro a tinte cangianti - si legge nella relazione che si compone di 133 pagine -. Accanto a qualità e professionalità complessive dell’offerta medica - pubblica e privata - in Sicilia, si collocano una serie di episodi non marginali di corruzione, interferenza, arrivismo, manipolazione della pubblica fede». «Esemplare e imbarazzante», ricostruisce la commissione anche su questo versante «la lunga permanenza, a fianco degli uffici di governo siciliani all’epoca della giunta Crocetta, d’un 'governo parallelò, estraneo alle istituzioni regionali, avido ed impunito, che puntava ad orientare scelte, carriere, spesa e profitti. Fino all’epifania giudiziaria dell’inchiesta Sorella sanità che ci ha mostrato la labilità del confine che separa certa supponente antimafia dalla pratica della corruzione».


La mancata lotta a corruzione e malaffare

«A margine delle testimonianze raccolte, resta la sensazione che l’attività anticorruzione sia vissuta come una sorta di mero adempimento: molto formale, molto burocratico, molto lasco, molto distratto. Spesso i dirigenti responsabili devono dividersi su più fronti, con le ovvie conseguenze sul piano dell’efficacia e dell’efficienza dei presidi di prevenzione». Continua la relazione dell’inchiesta sulla Sanità siciliana della commissione Antimafia regionale, presieduta da Claudio Fava, che ha per oggetto, in particolare, «le interferenze della politica e gli aspetti corruttivi» e presentata oggi pomeriggio all’Ars. «Altre volte è l’assenza di un supporto effettivo e di un sentiment assolutamente poco condiviso a svilire il ruolo di questa funzione. E non può passare inosservato il fatto che i rischi legati all’emergenza pandemica raramente abbiano determinato un innalzamento dei livelli di controllo». Dalla lettura di tutte le relazioni dei responsabili della prevenzione corruzione e trasparenza «è possibile individuare due criticità in particolare: la frequente assenza di un supporto adeguato e la concentrazione di altri incarichi in capo al medesimo soggetto». Anche il concetto di rotazione diventa «una chimera in un contesto in cui il personale dirigenziale si conta sulle dita di una mano, come ci confermano il direttore generale dell’Arnas «Civico» di Palermo, Roberto Colletti, e il direttore generale dell’ospedale «Papardo» di Messina, Mario Paino (e con loro molti altri ancora)». E’ necessario quindi che «tutti avvertano come prioritaria la lotta alla corruzione».


La sanità pubblica un condominio da gestire

E ancora: la sanità pubblica, «nelle parole di Antonio Candela, sarebbe stata solo «un condominio» del quale spartirsi quote millesimali, carriere, appalti, profitti: tutto. Ad intercettare la molestia e l’avidità di certi comportamenti è intervenuta (quando ha saputo, quando ha voluto) la magistratura. Raramente la politica. Poche le denunce, pochissimi gli interventi in autotutela». E’ il dato più significativo che consegnano «questi undici mesi di lavoro - prosegue la relazione nelle conclusioni - un peccato di ignavia, nel più benevolo dei casi; più spesso, una somma di interessati silenzi che hanno messo la nostra sanità nelle condizioni di essere costantemente contesa, occupata, maltrattata. E chi ha avuto cuore e libertà per denunciare, spesso ne ha pagato un prezzo alto in termini personali, di carriera, di isolamento». C'è poi un ritardo complessivo della politica siciliana «nel mettere in campo strumenti normativi che diminuiscano le aree di arbitrio, garantiscano qualità e rapidità delle scelte sottraendo la spesa pubblica ai rischi corruttivi. In questo senso il fallimento dell’esperienza della Cuc è il monito più significativo che questa inchiesta registra».


Il ruolo dei faccendieri negli appalti

«La Centrale unica di committenza della Regione siciliana gioca un ruolo fondamentale nell’inchiesta Sorella Sanità. E’ al suo interno, infatti, che si consuma durante la gestione Damiani una sistemica manipolazione e alterazione delle gare d’appalto nel settore sanitario. E lo stesso accade anche all’Asp 6 di Palermo, l’altra pubblica amministrazione presso la quale Damiani continuava a prestare contestualmente servizio. Un pactum sceleris fra pubblici ufficiali e imprenditori con la mediazione di taluni faccendieri, scriveranno i giornali. Il tutto in assoluto spregio dei princìpi di efficienza, legalità, rispetto della concorrenza e del libero mercato e senza che la politica e l’amministrazione si accorgano di nulla». Viene fuori anche questo dall’inchiesta sulla Sanità siciliana della commissione Antimafia. «Comunque sia andata, non resta che rilevare che una tale concentrazione di responsabilità, funzioni e potere - si legge nella relazione - non poteva non apparire in piena distonia con le finalità proprie dei sistemi di prevenzione anticorruzione. Una circostanza che si è affiancata, come abbiamo visto, alle carenze organizzative strutturali della Cuc. L’esito è stato il sostanziale fallimento della mission che era stata affidata alla Centrale unica di committenza siciliana». In sintesi, «poco è stato fatto per migliorare le condizioni di operatività della Cuc siciliana» prosegue il documento. E le conseguenze nella gestione degli appalti per la sanità pubblica «si sono manifestate in termini spesso allarmanti».

C'è un episodio, ricostruito dalla Commissione, che rivela uno dei molti vulnus organizzativi che «ha di fatto paralizzato l’attività della Cuc» e che rinvia alle «(scarse) competenze con cui venivano redatti taluni bandi di gara per gli appalti della sanità siciliana». «Domenico Pontillo è un geologo chiamato, tramite sorteggio, a fare da componente tecnico della commissione giudicatrice di una gara (anzi, della prima gara bandita dalla Cuc), poi finita sotto la lente di ingrandimento dei pm palermitani. Valore della commessa: 202 milioni di euro. Oggetto della fornitura: la gestione e la manutenzione di apparecchiature elettromedicali, materia assai distante dalle competenze professionali di un geologo».


Il caso Humanitas e la nota riservata di Borsellino a Crocetta

Una «circostanza, alquanto incresciosa, per le modalità formali e sostanziali con cui si è determinata». A scriverlo è Lucia Borsellino in una «nota riservata», indirizzata all’allora presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, con cui si fa riferimento all’iter per la presentazione del decreto in merito alla stipula dell’accordo Regione-Humanitas che nella stessa missiva viene definito come «non congruo». Le lettera riguarda infatti il controverso caso Humanitas, ed è emersa nel corso delle audizioni della commissione Antimafia regionale, copia acquisita dall’assessore alla Salute Ruggero Razza. La nota - che presenta un numero di protocollo in uscita dall’assessorato ma che non risulta essere arrivata in Presidenza - aggiunge un tassello «su un giallo, in apparenza senza colpevoli» rispetto all’accordo del 2013 con cui la Regione s'impegnava a convertire 70 posti letto (rispetto ai 96 assegnati) da libero-professionali a pubblici-convenzionati, attribuendo un’ulteriore quota di budget «entro il limite di 10 milioni di euro per anno». L’intesa, «apprezzata dalla Giunta Crocetta», dà il via a un ingente investimento del gruppo, legato agli istituti clinici di Rozzano e di Bergamo, per una nuova struttura che sarebbe dovuta sorgere a Misterbianco. Tuttavia, l’iter sarebbe stato viziato dalla «inusuale presentazione dell’atto» secondo la nota dell’ex assessore Borsellino, che «contraddice le ricostruzioni proposte da alcuni responsabili di quel procedimento, fino a ipotizzare che almeno due di loro abbiano riferito circostanze non veritiere nelle audizioni». Per la commissione, quindi, «le forzature emerse nella ricostruzione dell’iter di questa delibera possano aver condizionato anche gli altri passaggi di una vicenda amministrativa surreale (dalla mancata comunicazione dell’avvio di revoca del provvedimento, decisiva per la sconfitta al Tar, fino scelta di non ricorrere al Cga dovuta a un balzano parere dell’Avvocatura). Fino a imprigionare la Regione in un vicolo cieco. Errori ed omissioni delle quali, fino a questo momento, nessuno è stato chiamato a rendere conto».


Fava: il nome di Borsellino usato in maniera ignobile

«Il nome Borsellino è stato utilizzato in quegli anni in modo ignobile. Nel senso che hanno preso questo nome a salvaguardia di un assessorato e poi hanno circondato l’assessore di un plotoncino di affabulatori portando la sanità in una direzione totalmente opposta», ha detto detto Claudio Fava. La commissione nella relazione ha ricostruito anche le vicende legate al periodo del governo Crocetta dove «anche la sanità aveva il suo «cerchio magico». «Ed è ormai dato acquisito, anche giudiziariamente, che questo ristretto gruppo di consiglieri del presidente abbia avuto un ruolo determinante nel progressivo e logorante processo di isolamento riservato alla dottoressa Lucia Borsellino, assessore alla Salute dall’ottobre 2012 al luglio 2015». «Certamente, la stagione di governo che ha visto Lucia Borsellino alla guida della sanità regionale ed un nutrito nugolo di malversatori e presunti 'consigliorì agitarsi alle sue spalle è una delle pagine meno degne di questi anni. Anche per l’oltraggio che quel cognome, così importante per la Sicilia, ha ricevuto impunemente da taluni personaggi (fino a quando la giustizia ordinaria li ha fermati)».


Organici carenti contro il Covid

«Occorre registrare come la crisi Covid-19 abbia evidenziato, qualora ve ne fosse stato ulteriore necessità, i deficit di organico nel comparto della sanità regionale», si legge ancora nell’inchiesta. «Se è vero che tale tema può essere solo accennato da questa relazione, vale comunque la pena sottolineare che solo lo sblocco delle procedure concorsuali potrà garantire un accesso trasparente ai ruoli della sanità pubblica. Riducendo il potere di condizionamento della politica e ristabilendo il primato del merito nelle procedure di assunzione. In ogni caso, resta ancora molto da fare».




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