Le mani dei boss sui fondi anti Covid, già tremila indagini

21 ottobre 2020
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La pianificazione delle indagini sconvolta. La fibrillazione operativa senza soste. Di fronte a finanziamenti COVID-19 e Recovery Fund in arrivo Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza aumentano potenza, calibro e precisione delle armi nei loro arsenali investigativi. Insieme alle procure, le direzioni distrettuali e la Procura Nazionale Antimafia. Tra penali e amministrative, si possono stimare a oggi già 3mila indagini avviate con la cifra COVID-19. Siamo solo all’inizio.

Ogni forza di polizia ha scatenato il suo patrimonio di specialisti. La Guardia di Finanza, al comando del generale Giuseppe Zafarana, ha già consegnato ai reparti Scico e Valutario quasi 2mila s.o.s., le segnalazioni di operazioni finanziarie sospette, targate COVID-19. Grazie a banche dati con un volume informativo esteso e qualificato, le Fiamme gialle sono in grado di cogliere una rete molto ampia di movimentazioni anomale; sul territorio attingono ai flussi informativi dei nuclei di polizia economica finanziaria presso i comandi provinciali. Ma al comando Gdf c’è stata anche una scelta di fondo: non ostacolare il processo dei finanziamenti con un’economia allo stremo. Adesso, però, le elaborazioni investigative sono continue. In attesa della montagna di euro in arrivo con il Recovery Fund.

L’Arma, guidata da Giovannni Nistri, ha in prima linea il Ros, dotatosi di un catalogo aggiornato con l’emergenza: i settori più sensibili alle infiltrazioni criminali, le differenze tra gli appetiti delle cosche. Quelle pugliesi e camorristiche volteggiano sulle forniture di mascherine. Cosa Nostra è in agguato tra le commesse pubbliche per le attrezzature di sanificazione. La ’ndrangheta, in particolare, si aggira sui nuovi capitoli di edilizia pubblica, specie sanitaria, e dei rifiuti. Nessuna distinzione, invece, nella bramosia dei clan per fare affari con il credito illecito e il riciclaggio; mercanteggiare con l’usura in aumento; moltiplicare il welfare mafioso tra disoccupati e fasce deboli della popolazione come aveva già sottolineato un anno fa la Dia. Il Ros, poi, si avvale dell’unicità dell’Arma: l’apporto informativo capillare delle 4.500 stazioni, in 3.700 Comuni sono l’unico presidio di polizia.

La «dimora» delle forze di polizia resta il ministero dell’Interno dove sono partiti subito gli imput di allarme operativo. Il ministro Luciana Lamorgese con una direttiva ha sollecitato i prefetti nel loro ruolo di coordinamento e monitoraggio. Si rafforza l’impegno dei Gia, gruppi ispettivi antimafia interforze (Ps, Cc e Gdf) a disposizione di ogni prefetto. Potrebbero esserci altre novità da introdurre con norme già da tempo all’esame del Viminale.

Il prefetto Franco Gabrielli, va ricordato, è capo della Polizia ma anche direttore generale della Pubblica sicurezza. Così le sue direttrici per l’azione di prevenzione e contrasto sono state duplici. Si riunisce a cadenza periodica presso la Criminalpol l’organismo permanente di monitoraggio sulle infiltrazioni, presieduto dal vicecapo Vittorio Rizzi. Gli specialisti investigativi delle forze di polizia consegnano le analisi aggiornate su tattiche e strategie mafiose. I report finali sono sul tavolo di Gabrielli e di Luciana Lamorgese.

Poi c’è la linea operativa della Polizia di Stato: parte dalla direzione centrale anticrimine e coinvolge le squadre mobili, le divisioni anticrimine, i servizi centrali operativo e anticrimine. Esploso il COVID-19, l’input immediato alle questure è stato di concentrare le attività informative e investigative, in coordinamento continuo con le procure, sui crimini da profitto. I cosiddetti reati spia - lo scenario vale per tutte le forze dell’ordine - diventano adesso la frode nelle pubbliche forniture, l’evasione fiscale, la turbativa d’asta. Occhio anche alle false fatture. La peculiarità della Polizia di Stato è di poter agire a tenaglia: il braccio armato della polizia giudiziaria, in sede penale, e quello delle proposte congiunte questore-procuratore della Repubblica per sequestri e confische di prevenzione.

Resta però un problema non da poco. Le pene «troppo basse» secondo un addetto ai lavori «sui reati da profitto. Se un criminale rischia 20 anni di carcere con il ricavato del traffico di cocaina ma ottiene lo stesso guadagno con truffe e frodi su finanziamenti pubblici, la condanna è di circa sei anni, sceglie a occhi chiusi queste ultime».

Un lavoro sconfinato è svolto dalla Pna-procura nazionale antimafia, guidata da Federico Cafiero De Raho. Non soltanto nel ruolo di coordinamento e impulso delle direzioni distrettuali antimafia. La sua banca dati è una delle più ricche a livello internazionale, dotata di algoritmi speciali per l’incrocio dei dati. E Cafiero De Raho diverse volte ha sollecitato un ruolo ancor più in prima linea della procura nazionale per controllare fin dall’inizio soggetti e richieste di incentivi. «Le mosse della mafia in questa fase si concentrano più che mai su finanziamenti, acquisizioni e infiltrazione nelle imprese- sottolinea il procuratore nazionale - stiamo controllando, per esempio, quelli che definiamo investimenti “incoerenti” tra volumi, soggetti e destinazioni. Il monitoraggio in corso è straordinario con un’azione immediata davanti a ogni positività». Quella mafiosa emersa dal «frullatore», come lo chiama De Raho, delle banche dati Pna e delle Dda.  (Il Sole 24 Ore)



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