Le mafie temono le confische a livello transnazionale

10 dicembre 2020
Condividi su WhatsApp Twitter

Pio La Torre (politico e sindacalista siciliano) fu tra i primi a comprendere l’importanza di sottrarre i patrimoni dalla disponibilità dei mafiosi, avendo vissuto in prima persona l’evoluzione della mafia e il suo passaggio dalla dimensione “agraria” a quella “imprenditoriale”. Egli comprese che per dare una svolta alla lotta contro il crimine organizzato si rendeva indispensabile colpirlo nelle ricchezze e nei patrimoni accumulati. Questa azione avrebbe diminuito il potere economico e di conseguenza la credibilità sociale dei mafiosi. Grazie al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti e ai conseguenti guadagni smisurati le mafie si rafforzano economicamente sempre di più e questo permette loro di potersi sedere al tavolo degli affari con rappresentanti della politica, dell’economia, della finanza e dell’imprenditoria.

 La legge voluta fortemente da La Torre è uno strumento davvero efficace poiché rende possibili indagini sul tenore di vita, sul patrimonio e sulle disponibilità finanziarie di tutte le persone indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, ma anche nei confronti dei familiari e conviventi e di quelle persone fisiche o giuridiche, associazioni o enti, dei cui patrimoni costoro risultassero poter disporre. La confisca, con passaggio dei beni alla Stato, scatta quando il soggetto non riesce a dimostrare la legittima provenienza degli stessi sotto sequestro. Nello studio ultra trentennale delle mafie abbiamo compreso che impoverire i mafiosi sia un’azione repressiva fondamentale da attuare non solo a livello nazionale ma soprattutto in prospettiva europea e internazionale. Un capo mafia senza ricchezze può essere paragonato a un re senza regno. Le ingenti risorse economiche consentono alle mafie di riprodursi nel tempo e nello spazio e quindi di radicarsi in un determinato territorio avendo seguito e credibilità. Pensate per un attimo a un capo mafia rinchiuso al 41 bis mentre i suoi familiari continuano a gestire il suo immenso patrimonio. Per quel gruppo criminale cambia poco o nulla se non il fatto che un membro sia stato arrestato mentre il proprio patrimonio criminale sia rimasto intatto e pienamente gestibile, quindi, in grado di garantire la sopravvivenza della cosca mafiosa.

 Con i loro patrimoni i nuovi mafiosi investono oggi nell’economia legale acquistando fabbricati, terreni e aziende o comprando azioni, obbligazioni e titoli di Stato. I mafiosi accumulano capitali che poi riciclano facilmente grazie all’aiuto di politici, imprenditori, avvocati, notai, commercialisti, banchieri che offrono i loro servizi in cambio di tangenti o di consistenti parcelle. Colpire le mafie con le confische dei beni però significa dotarsi di un sistema efficiente che funzioni alla perfezione. A oggi, purtroppo, la maggiore criticità resta il tempo che intercorre tra la confisca e il reale riutilizzo del bene. Se non si riducono drasticamente i tempi intercorrenti tra l’iniziale sequestro e la definitiva destinazione dei beni, si rischia di provocare una crisi inconvertibile a tutto il sistema di contrasto economico delle mafie. Con patrimoni rilevanti destinati all’abbandono e al degrado, si creeranno inevitabilmente riflessi negativi per la credibilità dello Stato ed enormi vantaggi per le mafie.

 I beni una volta confiscati vanno ceduti immediatamente in gestione a cooperative di giovani che in questo modo possono lavorare e vivere nel loro territorio senza chiedere favori proprio alle mafie. Gli immobili possono essere concessi a famiglie disagiate o diventare presidi di legalità (es. sedi per le forze dell’ordine, scuole, uffici giudiziari). Le aziende confiscate potranno lavorare nella piena legalità rispettando l’ambiente e garantendo i diritti dei lavoratori. Tutto questo, naturalmente, oggi non basta. La confisca e il sequestro dei beni e dei proventi illeciti delle mafie non possono non avere anche una dimensione transnazionale. Senza il funzionamento delle confische dei beni a livello di cooperazione internazionale non si va da nessuna parte poiché si combatte una “guerra” con armi spuntate contro un nemico che invece ne possiede di micidiali.

Vincenzo Musacchio



Ultimi articoli

« Articoli precedenti