Le infrazioni europee costano all’Italia 180 milioni di euro

Economia | 2 agosto 2016
Condividi su WhatsApp Twitter
Ogni anno l’Unione Europea stila un rapporto sullo stato di implementazione della legislazione europea e quando viene violato il diritto Ue si aprono le cosiddette procedure di infrazione. In Italia, lincapacità di usare appieno le risorse messe a disposizione dallUnione Europea, e la propensione a non rispettare le direttive comunitarie sono problemi che costano parecchio alle casse dello stato. Un costo che è fatto di fondi stanziati per lItalia che non vengono utilizzati, e di procedure di infrazione che risultano in salate sanzioni economiche. Nel 2014, secondo i dati forniti da Openpolis, il nostro paese, che è storicamente fra quelli con più procedure aperte, era al primo posto per numero di questioni pendenti. Erano, infatti, 1.347 le procedure di infrazione aperte: 322 (23,90%) nel settore ambientale, 223 (16,56%) in quello della mobilità e dei trasporti, e 162 (12,03%) nel settore del mercato interno.

Anche se leggermente in crescita rispetto al 2013 (1.300), nel complesso il dato è in calo dal 2010, quando quelle aperte erano 2.100, con una contrazione del 35,86%. A fine 2014 l’Italia era in cima al podio insieme alla Grecia, con 89 casi di violazione e/o recepimento tardivo del diritto Ue. Anche se il totale del paese ellenico è identico al nostro, lItalia è il paese europeo con più procedure pendenti per violazione del diritto Ue. Va comunque sottolineato che per procedure avviate nel 2014, è al nono posto con 41 casi. Le procedure aperte nei confronti dell’Italia, come nel resto del continente, sono tuttavia diminuite negli anni: lultimo aggiornamento del governo risale a metà giugno, quando si contavano 82 casi pendenti. I settori più coinvolti sono ambiente e trasporti. In materia di infrazioni negli ultimi anni il numero dei procedimenti aperti risulta in costante diminuzione. A fine 2010 erano 128, 99 a fine 2012, 89 a fine 2014, e a metà del giugno scorso 82. Di queste, 60 erano per violazione del diritto dellUnione Europea, e 22 per mancato recepimento di direttive. Il 18,29% di queste infrazioni è in materia ambientale, mentre un 9,75% riguarda affari interni. Nei primi 6 mesi del 2016, le infrazioni aperte sono state quattordici, tutte ancora nella fase della messa in mora, e tutte, tranne due, per mancato recepimento di direttive Ue. Il dato che però merita attenzione, secondo Openpolis, è il numero di casi Eu Pilot, un sistema introdotto nel 2008 per limitare le infrazioni aperte. Lo strumento anticipa di fatto la messa in mora, richiedendo un chiarimento da parte di uno Stato membro in seguito a una segnalazione (da parte di cittadini, imprese, …) su una possibile infrazione. Questi ultimi devono fornire entro 10 settimane spiegazioni o soluzioni, compresa unazione correttiva per porre rimedio a violazioni del diritto Ue. In caso di esito negativo inizia formalmente il processo di infrazione. Mentre le infrazioni diminuiscono, aumentano i reclami Eu Pilot nei confronti dell’Italia: erano 107 nel 2012, 122 nel 2013 e 128 nel 2014 ( il 10,6% del totale Ue-28). A fine 2015 in totale, per tutti i paesi, risultano ancora aperti 1.348 casi di reclami Eu Pilot, e lItalia risulta il paese più coinvolto con 139 casi. A seguire, con una certa distanza, troviamo la Spagna con 91 casi, e Grecia e Polonia con 73 ciascuno. Gli stati membri hanno 70 giorni per rispondere ai reclami Eu Pilot, in media il nostro paese risponde in 78. Solo tre paesi fanno peggio: Danimarca (81), Cipro (93) e Francia (95). Dal 2011 ad oggi lItalia ha rispettato la soglia solo nel 2012. Tutto questo ovviamente ha un costo: l’Italia ha già versato a Bruxelles oltre 180 milioni di euro, di cui più di 100 solo per i problemi legati a discariche e rifiuti.

Le procedure di infrazione, se portate fino in fondo, arrivano alla corte di giustizia europea, che può formalizzare una sanzione nei confronti di uno stato membro. L’Italia dal 1952 ad oggi è il paese che più spesso è finito davanti alla corte, con ben 642 ricorsi per inadempimenti. Il dato è interessante perché oltre a essere il primato europeo, stacca di gran lunga il resto dei paesi membri. Il secondo paese in classifica è la Francia, con 416 ricorsi per inadempimenti arrivati alla corte, e subito dietro la Grecia con 400 casi. In totale dei 3.828 ricorsi arrivati alla corte di giustizia europea dal 1952 ad oggi, il 16,77% riguarda lItalia. La conseguenza di arrivare così spesso alla corte di giustizia europea è il dover pagare delle sanzioni economiche. Ad oggi lItalia sta pagando per quattro procedure dinfrazione. La prima, che ad oggi è peraltro la più dispendiosa per il nostro paese, risale al 2003 e riguarda la non corretta applicazione delle direttive 75/442/CE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosie 1999/31/CE sulle discariche. Le sanzioni generalmente includono una multa una tantum da pagare, più una mora di penalità per ogni giorno di ritardo nel pagamento. Per questa infrazione lItalia negli anni ha pagato 79,8 milioni di euro. La seconda infrazione è quella per i contratti di formazione lavoro: lItalia è stata condannata, infatti, per gli aiuti di stato alle imprese nel periodo fra il 1995 e il 2001 per contratti di formazione lavoro a talune categorie di lavoratori che non ne avevano diritto in base alle regole comunitarie. A oggi lItalia ha pagato 53 milioni di euro. Le altre due infrazioni sono quella per il mancato recupero degli aiuti concessi a favore delle imprese nel territorio di Venezia e Chioggia (30 milioni di euro), e quella per lemergenza rifiuti in Campania (20 milioni di euro).


Record di sanzioni per violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo


Oltre 77 milioni di euro. È la cifra che l' Italia ha dovuto versare nel 2015 per gli indennizzi dovuti a violazioni della Convenzione europea dei diritti dell' uomo.
L' importo più alto in assoluto liquidato dal Governo per risarcire le vittime di violazioni accertate o attraverso una sentenza di condanna della Corte europea o a seguito di regolamenti amichevoli e dichiarazioni unilaterali, scrive oggi Il Sole 24 Ore. Segno evidente che, anche se diminuiscono le sentenze di condanna a Strasburgo, non diminuiscono le violazioni dei diritti dell' uomo, che pesano per di più come un macigno sulle casse dello Stato.
La cifra monstre è messa nero su bianco nella relazione annuale sull' esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell' uomo nei confronti dell' Italia.
presentata dal dipartimento per gli Affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio (ufficio del contenzioso) con riferimento al 2015.
Il costo degli indennizzi segna un balzo in avanti imponente rispetto al 2014, anno nel quale l' Italia aveva dovuto versare poco più di 5 milioni di euro. Un aggravio enorme che - si legge nella relazione che viene presentata ogni anno in base alla legge 12/2006 - «è il risultato dell' attuazione delle politiche di riduzione del contenzioso seriale poste in essere attraverso i piani d' azione". In questo modo, da un lato il Governo è arrivato alla chiusura del contenzioso in via transattiva, ma dall' altro lato ha dovuto riconoscere il versamento di indennizzi.
Va detto che sull' importo liquidato ha inciso anche l' esecuzione di due sentenze "pesanti": quella del 2012 (Immobiliare Podere Trieste) con la quale la Corte europea ha condannato l' Italia a versare 47 milioni di euro e quella del 2014 (Società Pratolungo Immobiliare) chiusa con un regolamento amichevole in cui l' Italia si è impegnata a corrispondere 20 milioni.
In ogni caso, anche al netto di queste pronunce, la cifra, rispetto all' anno passato, resta molto alta.
Per le sentenze emesse nel 2015 sono state contabilizzate 12 pronunce per un totale di 1.269.493 euro e otto decisioni pari a 2.195.910 euro. Per quanto riguarda la legge Pinto, l' Italia ha versato 131.319 euro per chiudere 14 decisioni e ottenere la cancellazione dei ricorsi dal ruolo.
Come dato positivo, invece, è da segnalare l' uscita dell' Italia nel 2015 dal gruppo di testa dei dieci Stati che hanno accumulato il maggior numero di condanne nell' anno, arrivando a 24 sentenze.
Diminuito anche il peso dell' Italia rispetto agli affari pendenti ,con un meno 25% rispetto al 2014 che porta Roma al quarto posto dopo Ucraina, Federazione russa e Turchia. Sul piano interno, non funziona l' azione di rivalsa introdotta con l' articolo 43 della legge 234/2012. Nel 2015 il ministero dell' Economia ha avviato un' azione contro l' Anas per recuperare i 50mila euro versati a seguito della sentenza Pecar del 2009. Sono pronti anche 17 decreti di ingiunzione di pagamento che saranno notificati agli enti interessati. Resta da vedere, però, se il sistema di rivalsa reggerà alla prova della Corte costituzionale. Il Tribunale di Bari, infatti, con ordinanza n.
74/2016 ha sollevato una questione di legittimità dell' articolo 43 anche perché la norma non permette di effettuare una gradazione di responsabilità tra Stato e enti locali (la camera di consiglio è prevista per il 21 settembre).
Per quanto riguarda le modifiche legislative seguite a sentenze di condanna all' Italia, grazie alla pronuncia Oliari, il Parlamento ha approvato la legge 76/2016, colmando la lacuna relativa al riconoscimento giuridico di coppie dello stesso sesso. Resta, invece, ancora ferma l' introduzione del reato di tortura. Non è bastata la condanna all' Italia nel caso Cestaro per spingere il Parlamento ad approvare una legge. Con il rischio di nuove condanne dalla Corte europea


 di Melania Federico

Ultimi articoli

« Articoli precedenti