La vittoria di Trump e le speranze della destra italiana

Politica | 14 novembre 2016
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La vittoria di Trump, come era facilmente prevedibile, suscita valutazioni diametralmente contrapposte tra chi la esalta, auspica un analogo risultato in Europa e in Italia nell’imminenza di prossimi appuntamenti elettorali, e tra coloro che temono, giustamente, un arretramento nei rapporti tra USA e Unione Europea e difficoltà nuove nelle aree geopolitiche dell’estremo Oriente, Medio Oriente.

La destra europea pensa di beneficiare dell’onda lunga che Trump ha generato, mentre la sinistra (europea e italiana) appare incerta e disorientata.

La destra italiana appare divisa tra quella che si specchia pienamente in Trump e quella che lo considera un Berlusconi major, ma non ne accetta i toni estremistici, quali le scellerate proposte elettorali razziste contro i migranti, i musulmani ecc ecc.

Senza lasciarsi trascinare da visioni apocalittiche o minimaliste, la vittoria di Trump una lezione alle forze della sinistra europea e mondiale la dà. Trump vince con il voto della maggioranza di bianchi e dei ceti medi impoveriti dalla crisi di questi anni e non beneficiati dalla crescita economica e dell’occupazione frutto delle politiche di Obama.

In Italia dobbiamo preoccuparci per la crescita spropositata della povertà e della disuguaglianza sociale non sufficientemente contestate dalle politiche dei voucher o dei bonus preelettorali?
Secondo me sì. Infatti, rileggendo i dati dell’Istat, dello Svimez, la capacità di spesa e l’uso sociale dei fondi europei, statali e regionali, che sinora hanno generato un aumento del divario tra Nord e Sud e una crescita stentata dell’Italia, si ha la prova che le politiche sinora perseguite in Italia ed in Europa non hanno dato i risultati sperati.


Oltre il 10% delle famiglie con povertà assoluta in Italia, quasi il 30% in Sicilia, tutto ciò imporrebbe interventi non emergenziali, ma scelte strategiche di sviluppo e di inclusione sociale. Invece, ad esempio, notiamo che in Sicilia il governo regionale riprende a parlare di cantieri di lavoro e alla vigilia della campagna elettorale (tipo prima Repubblica) e non di affrontare in modo organico e corretto la questione come previsto dal ddl di iniziativa popolare del Comitato No, giacente all’Ars da oltre un anno e che costerebbe molto meno di quanto previsto dall’intervento del governo regionale. Parlare di povertà, disuguaglianze, per gran parte della classe dirigente del Paese, di governo e d’opposizione, sembra menar il can per l’aia . Tra i populisti e i demagoghi di destra e di sinistra corre un filo sottile che evidenzia la loro propensione a comunicare emozioni, ma non soluzioni e strategie concrete anticrisi, passioni partecipative democratiche.

Ciò vale per coloro che hanno negato la crisi sin dall’inizio e per coloro che hanno puntato tutto sul ripristino della fiducia dei cittadini scoraggiati. È stato assente un loro vero impegno a leggere la società e comprenderne le pulsioni.

Il compito non astratto soprattutto di una sinistra che vuole riappropriarsi del suo ruolo storico alternativo, democratico e progressista, è ripensare la sua unità riscoprendo la giustizia sociale, il diritto al lavoro, allo studio, alla salute come obbiettivi da perseguire con politiche di investimenti pubblici, con l’allargamento del Welfare e dei diritti. Non preoccuparsi solo del fallimento delle banche ma anche della scomparsa di migliaia di piccole imprese, agricole, industriali, artigiane, commerciali, comprese quelle dei grandi gruppi industriali storici.

Occorre, dunque, una nuova unità delle sinistre, rifondata sulla comprensione della società, non un allargamento inclusivo della casta verso il centro, ma un allargamento sociale contro disuguaglianza e povertà.

In tale quadro, se la vittoria di Trump genera un cambio di passo epocale a livello globale, lo sapremo dai sui primi atti sul riscaldamento del pianeta (v. Marrakesch), sui trattati di libero scambio di area geopolitica, sui trattati di difesa (v. Nato), sui rapporti con Cina e Russia. Non influenzerà il referendum costituzionale del 4 dicembre. Sbagliano quelli del No come quelli del Si nel pensare di trarre dall’euforia della vittoria di Trump o viceversa dalla paura che suscita vantaggi per il Si o No, identificando il cambiamento di riforma con l’una o l’altra opzione.

Decideranno gli italiani sul futuro della nostra democrazia, se essa sarà a centralità parlamentare o governativa, non confondendo stabilità politica e rappresentanza della sovranità popolare. Gli italiani e le italiane decideranno se nel loro futuro ci sarà una classe dirigente democratica e prestigiosa, capace di includere e unificare il Paese, o una dedita alle risse artefatte, istituzionali e politiche, per camuffare le ingiustizie e far pagare la crisi solo ai ceti più deboli.

 di Vito Lo Monaco

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