La violenza di genere sconosciuta ai magistrati
Solo il 12,3 per cento delle procure italiane (17 su 138) dispone di un gruppo di magistrati specializzati esclusivamente nella violenza di genere e domestica, sebbene non sempre i procedimenti in materia siano assegnati a loro. Nel 77,5 per cento (107 su 138) delle procure, invece, è stato costituito un gruppo di magistrati che si occupa principalmente di violenza di genere contro le donne, ma insieme ad altre materie riguardanti i cosiddetti «soggetti deboli o vulnerabili». Del tutto assenti magistrati specializzati nella violenza contro le donne nel 10,1 per cento delle procure (14 su 138), con conseguente assegnazione dei procedimenti in materia a tutti i magistrati indistintamente. Sono questi alcuni dati, riferiti al triennio 2016-2018, emersi da una indagine condotta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, con l’intento di verificare se e come i princìpi fondamentali della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica abbiano trovato concreta attuazione. La rilevazione, effettuata attraverso la somministrazione di questionari a partire da dicembre 2019 e conclusasi nel 2020, ha avuto un tasso di risposta molto alto, pari al 98,6 per cento (138 procure su 140) ed è stata rivolta non solo alle procure e ai tribunali ordinari, ma anche ai tribunali di sorveglianza, al Consiglio superiore della magistratura, alla Scuola superiore della magistratura, al Consiglio nazionale forense e agli ordini degli psicologi.
L’esigua percentuale di magistrati specializzati esclusivamente nella violenza di genere e domestica lascia intravedere come «i responsabili della organizzazione degli uffici giudiziari non hanno ancora raggiunto una adeguata consapevolezza della particolare complessità che la trattazione della materia della violenza di genere e domestica richiede, tanto che il 62 per cento delle procure dichiara di equiparare alla altre materie nella distribuzione dei carichi di lavoro trai magistrati» si legge nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, approvata dalla stessa Commissione nella seduta del 17 giugno 2021. A questo deficit se ne affianca un altro, che riguarda i consulenti tecnici d’ufficio (CTU). La nomina degli psicologi per le consulenze psicologiche sui minori, infatti, non avviene sempre sulla base dell’accertamento di una effettiva specializzazione nella materia della violenza di genere e domestica.
Tenuto
conto sia dell’attenzione alla materia della violenza di genere e
domestica sia del grado di omogeneità dell’intervento giudiziario
all’interno della stessa procura, la Commissione raggruppa le
procure coinvolte nell’indagine in quattro gruppi. Uno, costituito
da 16 procure su 138, presenta sia un’elevata attenzione alla
materia della violenza di genere e domestica–che riesce anche a
tradursi in azione tramite l’assegnazione della materia a
magistrati specializzati–sia un elevato grado di omogeneità
dell’intervento giudiziario. All’estremo opposto si colloca il
gruppo costituito dal 10 per cento delle procure (14 su 138), tutte
di piccole dimensioni, lontano dall’avvio del processo di
cambiamento, non solo culturale. In queste procure, i «procedimenti
della materia vengono equiparati agli altri al momento della loro
assegnazione e nella distribuzione del carico di lavoro tra
magistrati», così come vi è «un’attenzione più bassa della
media nei confronti della specializzazione dei CTU» specifica la
Commissione nella relazione che ha visto come relatrice la senatrice
Valente. Tra questi due estremi, si osservano tre ulteriori gruppi.
Un primo, il più numeroso (42 per cento delle procure, ossia 58 su
138), in cui le procure sono qualificate per «attenzione alle
professionalità ma con qualche ritardo nella uniformità dell’azione
interna». Un secondo gruppo intermedio (6 per cento delle procure, 9
su 138) si caratterizza per la «elevata omogeneità nell’azione ma
il non adeguato bilanciamento nei carichi di lavoro». E, infine, il
terzo gruppo intermedio - il 30 per cento delle procure, 41 su 138-
si connota per la «scarsa consapevolezza della specializzazione».
In quasi la metà dei tribunali che hanno partecipato
all’indagine (130 su 140) prevalgono comportamenti positivi,
mentre nei restanti primeggiano comportamenti negativi. Nel caso dei
tribunali di sorveglianza, solo in un numero limitatissimo si è
rilevata la buona prassi rappresentata dal coinvolgimento anche delle
vittime nell’istruttoria finalizzata alla concessione dei benefici
penitenziari: «ciò conferma la mancanza di una seria e concreta
valutazione della loro esposizione al pericolo connessa alle
decisioni che riguardano la concessione delle misure alternative alla
detenzione», osserva la Commissione parlamentare.
Neanche dati
sulla formazione degli operatori, tema centrale nella Convenzione di
Istanbul, rilevati dalla Commissione, sono incoraggianti. Riguardo
alla magistratura, l’offerta formativa appare, nel complesso,
piuttosto carente e con la prevalenza di magistrate interessate alla
materia della violenza di genere e domestica. Anche le donne avvocato
sono più sensibili al tema rispetto ai colleghi uomini: «nei 100
eventi in materia di violenza di genere e domestica vi hanno
partecipato oltre 1.000 avvocati» (su un totale di 243.000 circa) di
cui oltre l’80 per cento donne»- riporta la Commissione.
Relativamente agli ordini degli psicologi, solo la metà – 9 su 17
– ha organizzato dei gruppi di lavoro mirati sulla materia della
violenza di genere e domestica.
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