La vera storia dell'accordo tra Stato e Regione Siciliana
Sottoscritto a appena 16
mesi dalla scadenza della legislatura regionale, “l'accordo tra lo
Stato e la Regione in materia di finanza pubblica” è stato
presentato con toni trionfalistici dalla coppia Crocetta- Baccei ed
attaccato con estrema virulenza da un ampio fronte di personalità,
partiti politici di opposizione ed associazioni di rappresentanza.
Gli argomenti sono stati variegati, ma per la maggior parte centrati
sulla pretesa rinuncia della Sicilia all'autonomia speciale, sulla
scarsità delle risorse che all'isola deriverebbero dall'intesa, sul
peso dei debiti che ricadrebbero sulle generazioni future dei
siciliani.
Ad essere sincero, la lettura dell'accordo non giustifica né l'enfasi “rivoluzionaria” dei sostenitori né l'asprezza delle critiche dei detrattori. Si tratta, in realtà, di un accordo-ponte che può essere sottoposto a revisione entro il 31 dicembre 2018 “al fine di consentire la piena attuazione delle prerogative statutarie in materia finanziaria, nel rispetto dei vincoli generali di finanza pubblica” (art.6 ultimo comma) e mantenendo (art.7) intatti poteri e funzioni , a norma dell'art.43 dello Statuto, della Commissione paritetica Stato-Regione chiamata a modificare il decreto presidente della Repubblica 1074/1965 che regola ormai da più di mezzo secolo i rapporti finanziari tra l'isola e lo Stato. Poiché si tratta di un “intesa” (a normativa vigente lo strumento deputato a regolare i rapporti tra i due livelli istituzionali secondo il principio della “leale collaborazione istituzionale) bisogna- nel valutarla- verificare se la collaborazione è stata leale e mettere nel piatto il dare e l'avere. Per la Sicilia l'avere è rappresentato (art.6 primo comma) dal fatto che “il gettito dell'Irpef (sarà) calcolato con il criterio del maturato in luogo del riscosso in modo da attribuire alla Regione entrate pari a 5,61 decimi per l'anno 2016, a 6,74 decimi per l'anno 2017 e a 7,10 decimi a decorrere dall'anno 2018. ”
La Sicilia viene così portata al livello delle
altre regioni a statuto speciale che avevano per tempo modificato i
propri rapporti finanziari con lo Stato. E' poco rispetto ai 10/10
previsti dallo Statuto, cui ha fatto più volte riferimento la Corte
dei Conti? La risposta non può che partire dalla constatazione che
lo Statuto (scritto nel 1946 prima della Costituzione della
Repubblica) è in alcune parti desueto e va rapidamente adeguato alle
norme vigenti in materia di finanza pubblica. A meno che non si
voglia rilanciare il tema dell'indipendenza della Sicilia: libero di
farlo, chi vuole, ma esso è decisamente fuori della storia.
L'operazione sull'Irpef, secondo la tabella allegata all'accordo,
dovrebbe portare nelle casse regionali un incremento pari a 500
milioni di euro nel 2016, di 1 miliardo 400 milioni nel 2017 e di 1
miliardo 685 milioni nel 2018. Per una regione ridotta alla canna del
gas sono cifre rilevanti. Per il 2016 la regione potrà utilizzare
queste somme, depositate in un sottoconto infruttifero della
Tesoreria unica intestato alla regione Siciliana solo in assenza di
altra liquidità disponibile e all'esclusivo scopo di far fronte al
pagamento delle competenze al personale dipendente o alla scadenza di
rate di mutuo. Qualcuno ha affermato che si verrebbe così a
ricostituire la tesoreria unica esistente in passato. Non ho la
competenza tecnica per dare un giudizio; non mi pare tuttavia una
questione dirimente nella misura in cui le somme sono esplicitamente
vincolate.
Risolve l'operazione sull'Irpef il complesso delle
regolazioni finanziarie tra Stato e Regione? Certamente no, pur in
presenza di una giurisprudenza altalenante da parte della Corte
Costituzionale: per questo la revisione del 2018 si rivelerà
decisiva. Ad essa però la Sicilia deve arrivare (tra l'altro con una
maggioranza ed una giunta di governo che saranno all'inizio del loro
mandato legislativo) avendo realizzato una serie di comportamenti
virtuosi che le consentano di presentarsi alla trattative per la
conclusione della nuova intesa più forte e credibile di quanto è
stata sin qui. Nel frattempo – e veniamo al dare- la regione assume
l'impegno a ridurre del 3% l'anno per il triennio 2017-2020 le
proprie spese correnti (che ammontano, conviene ricordarlo ad oltre
il 90% del bilancio) con l'esclusione delle spese per la sanità,
delle compartecipazioni statutarie, del concorso alla finanza
pubblica, degli oneri per i rinnovi contrattuali nei limiti
finanziari previsti dalla legge di stabilità nazionale. Insomma il
rinnovo del contratto dei regionali siciliani dovrà adeguarsi
all'esito del negoziato per il pubblico impiego a livello nazionale.
Dal momento che la Sicilia non ha dato in passato (vogliamo forse negarlo?) esempio di serietà nel rispetto delle regole, l'articolo 3 dell'accordo prevede in dettaglio una serie di obblighi che la regione assume in termini di recepimento di alcune normative nazionali di indirizzo generale e di riorganizzazione della macchina amministrativa. Qualcuno mi criticherà, ma penso da tempo che all'origine di molti dei guai siciliani c'è la pretesa di non applicare nell'isola le norme che hanno vigore nel resto del paese. Poi, naturalmente, le organizzazioni sindacali dei dipendenti regionali faranno giustamente il loro mestiere ma all'interno di regole certe ed omogenee a quelle applicate nel resto delle regioni, anche le altre ad autonomia rafforzata. I punti oscuri dell'accordo a me sembrano, invece, relativi agli articoli 9, 10 e 11 i quali fanno oggettivamente affiorare dubbi rispetto alle risorse finanziarie effettive che arriveranno alla Sicilia. L'art. 9 riguarda le imposte pagate dagli enti pubblici territoriali, dalle Camere di Commercio, dalle ASL, ecc. Il 10 prevede la rinuncia da parte della regione ai ricorsi in sede di Corte Costituzionale. L'11 dispone che le somme riconosciute alla regione siano comprensive degli effetti finanziari delle sentenze in materia di finanza pubblica decise dalle varie giurisdizioni. Si tratta di dubbi che andrebbero chiariti in sede di dibattito all'Assemblea Regionale, anche per evitare amare sorprese. E' comprensibile che l'opposizione, che fa il suo mestiere e ha l'occhio attento alle prossime scadenze elettorali, tenti di esasperare i toni della discussione. Meno giustificabile appare invece l'enfasi del presidente della Regione: non di accordo storico si tratta, ma di un'intesa necessaria e necessitata che tira fuori la Sicilia da una condizione che sarebbe potuta precipitare rapidamente verso il default. Se il Governo nazionale farà coerentemente la sua parte essa potrà avere effetti positivi sulla defedata situazione delle finanze regionali, ma si tratta solo del primo passo di un percorso che resta ancora lungo ed irto di difficoltà.
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