La tragedia delle scelte ragionevoli in Grecia

Economia | 19 luglio 2015
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Secoli di storia all’origine della nostra civiltà non avevamo mai suscitato un interesse così concentrato sulla Grecia come il rischio dell’imminente default del suo sistema economico-finanziario e con esso dell’uscita precipitosa dall’Area Euro.La forza drammatica della terribile fase socio-economica del Paese Ellenico, nel rapporto con il mondo circostante, forse, tra tanto altro, ha mostrato - in modo più chiaro e in un Teatro ancora fondamentale come l’Antico Continente Europeo - quella che si può definire una vera guerra economica dagli effetti di un conflitto convenzionale. Una guerra ancora “a bassa definizione”, ma con imprevedibili possibilità di escalation in senso bellico, non più da interpretare nella sua componente militaristica e di tecnologia di difesa preventiva ed offesa distruttiva.Il male delle grandi guerre “guerreggiate” dagli eserciti – oggi non si procura ai popoli nemici con bombardamenti a tappeto di aerei e artiglierie, sempre più potenti e sofisticate, che mettono in ginocchio un Paese distruggendo le sue infrastrutture, la sua capacità produttiva e impedendo l’approvvigionamento e l’erogazione di generi e servizi di prima necessità.Volendo adottare la faticosissima arte di stare sui fatti, è il caso di sottolineare che, al di là dell’evidente pochezza politico-culturale degli Statisti in campo, era evidente una difficoltà in più di questi stessi leader che dovevano provare a gestire la più grande crisi di una realtà politico-istituzionale come la UE che, in realtà, non esiste perché gli stessi leader non sono riusciti a costruirLa.Certo, poi sopra e in mezzo a tutto questo ci sono le diverse visioni del mondo e perfino gli egoismi beceri da fare passare come virtù capitali attraverso la consacrazione di presunte verità scientifiche di un’economia, ormai talmente inaffidabile, da essere capace di sconfessare continuamente se stessa anche quando afferma di professare dettami infallibili.In realtà, ormai non crede più nessuno all’ineluttabilità di una economia dominante, discendente dalla teoria della “mano invisibile” del mercato che lasciata il più possibile libera di agire rappresenterebbe, non la condizione migliore per tutti, ma la condizione di privilegio per quanto e quanti possibile, fatti sempre salvi i forti interessi concentrati.Insomma, esiste una fede sulla libera economia e sui “sacerdoti” che dovrebbero garantirne la “purezza” che, come sempre nella storia, vale solo per quelli che, nel nostro linguaggio ordinario, chiamiamo fessi, ossia soggetti identificati, in tutti i tempi, nei senza mezzi, senza informazioni, senza voce. Praticamente quelli che non contano nulla e devono subire un’economia da altri costruita per mantenere differenze che sembrano inevitabili nel consesso dell’Umanità.Quella che si è creata in questi mesi a Bruxelles è stata una situazione caotica e dominata da tante e tali spinte che si inseguivano tanto tumultuosamente da rendere difficile isolare delle categorie logiche per approntare un ragionamento che provasse a collegare i sentimenti dell’indignazione e della riprovazione, inevitabili nella situazione data, con il necessario realismo.Qualcuno considera il realismo un ostacolo al progresso che, però, si converrà, non è possibile lanciare fuori dall’ambito della discussione, ma, bensì e se va bene, spostarlo, con pazienza e determinazione.Certamente nessuna persona comune ha ancora in mano sufficienti elementi, tecnici e politici, per valutare le scelte di Tysipras, comunque connotate da responsabilità terribili che, inevitabilmente, gli stanno procurando un scarico addosso di invettive e frustrazioni da parte di chi voleva dal suo Leader, magari non l’impossibile, ma sicuramente molto di più.Per questo, probabilmente, il problema principale - non solo per i greci, ma anche per tutta la sinistra che ancora aspira ad essere tale - è sgombrare il campo, almeno sul piano culturale, dalla solita categoria devastante del tradimento, distinguendo nettamente la definizione di tradimento da quella, eventuale, dell’errore.L’errore non è, ovviamente, escludibile per nessuno, non solo per la caducità delle decisioni umane, ma anche perché questa partita, così irresponsabilmente imposta da chi dava le carte del gioco, non consentiva a nessuno di escludere l'azzardo e, quindi, uno sviluppo da valutare solo alla risposta degli avversari, anzi dei nemici, dato che di una guerra parliamo. Per quello che è stato dato e si è saputo comprendere, delle due "proposte" - la prima rifiutata e la seconda accettata da Tysipras - non sembra si possa parlare di un risultato nullo – o addirittura controproducente - della resistenza dei negoziatori greci e delle timide e tardive iniziative a favore dell'intesa da parte di Francia e Italia.Il punto è decidere se nel ragionamento si vuole stare all'interno di una logica di trattativa che - per definizione - non può non tenere conto dei rapporti di forza.Oppure si vuole ritenere, legittimamente, che era necessario scardinare il sistema della trattativa che è poi il precipitato di un’Unione Europea basata su “Trattati” tra Stati che non possono trovare una comune sintesi politica perché non sta nella volontà dei trattanti parlare su tutta la politica con un’unica voce. Piaccia o no, la realtà è questa.Una cosa è certa, se l’idea della trattativa, nelle condizioni date, viene rifiutata, si devono prendere relativamente in esame i dati tecnici che non risulterebbero mai soddisfacenti essendo il metro di giudizio del tutto spostato sulla convinzione che sia stato un errore accettare una composizione nella situazione data.Una trattativa, oltre che tecnicamente, politicamente non poteva che svolgersi nei termini richiesti dalle parti, quelle che erano e con il peso che erano in grado di mettere in campo e -  non si dimentichi - all'interno di una situazione globale in cui - a favore e sfavore - bisognava tenere conto della presenza sullo sfondo di convitati di pietra del peso di Stati Uniti, Russia e Cina. In tutto questo c'era da considerare la condizione materiale della gran parte della popolazione greca che, nonostante ha saputo creare interessantissime forme mutualistiche e di solidarietà concreta alternative al sistema, purtroppo vivendo ogni giorno nelle forme economiche preesistenti, rischiava di vedere precipitare la sua condizione – già difficilissima – in un baratro sociale, perfino di difficile immaginazione.Uscendo fuori di metafora, se i Bancomat continuassero a non erogare a lungo, se pensioni e stipendi pubblici non venissero pagati senza alcuna prospettiva, se altro del genere capitasse e si consolidasse, non sarebbero immaginabili né le conseguenze, né il grado di sofferenze delle tantissime persone già in difficoltà nel Paese Ellenico.La si può pensare come si vuole sulla trattiva, sul referendum e su tutto il resto, ma sicuramente tutto questo era in capo a Tysipras.Quanto al famoso piano B - che non so se colpevolmente non è stato previsto - sicuramente non era facile prevederlo in condizioni in cui l'azzardo non era un optional, ma una necessità contingente con le conseguenze difficilissime da sostenere per chiunque. Infatti, lo steso Varoufakis – ex Ministro delle Finanze oggi in aperto dissenso con il suo ex Capo del governo – sostiene che il minacciare misure che prefigurassero l’uscita della Grecia dall’Euro era un elemento di forte pressione - secondo lui tatticamente e strategicamente vincente – per ottenere condizioni più vantaggiose e meno “invalidanti” per l’economia greca.Ma se la lettura del dissenso di Varoufakis fosse questa saremmo nella categoria dell’errore, opinabile e misurabile quanto si vuole, ma certamente che nulla a che vedere con il tradimento.E’ un vizio antico della sinistra politica di avere difficoltà a dosare la capacità di pragmatismo –non sempre ancorato a valori di riferimento – con un massimalismo che non distingue – neanche nei suo avversari interni – la differenza tra errore e dolo.Probabilmente, il problema più grande – soprattutto per la sinistra europea- resta, oltre all’urgenza di recuperare la sua grande tradizione, la politica da elaborare fuori dalle emergenze, avendo ben chiaro che qualcuno ha interesse che tutti i popolo delle Nazioni - parlare di Unione Europea ormai appare più che una burla - ognuno a suo modo, viva una situazione di perenne emergenza in cui chi ha il reale potere economico-finanziario può sempre buttare sul tavolo "proposte che non si possono rifiutare" e che, forse, nessuno – dicasi nessuno – può rifiutare.
 di Giovanni Abbagnato

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