La terribile storia dei frati di Mazzarino è finita, ora ci sono le suore
I frati non ci sono più. Il loro posto è stato preso da quattro suore. “Mancanza di vocazione” è trapelato, e nulla più, dalla curia. Un cambio epocale. Eppure la storia è presente anche senza frati. Il tempo sembra essersi fermato e l’alone dei frati cappuccini sembra non essersene mai andato. Girando per i corridoi del convento di Mazzarino si ha l’impressione di essere nel surreale. Quei dipinti, quegli affreschi di trecento e più anni fa; quei libri catalogati con certosina cura, ma con la polvere che sembra preservarli dal male, ti fanno assaporare cose mai viste. Il convento è lì, alle porte del paese, nella zona bassa. Con le nuove costruzioni che paiono essersi arrestate per non superare quella barriera mistica che le antiche pietre racchiudono.
Una storia ancora presente e che non può essere nascosta. Lì in quei corridoi, in quelle stanze, in quel cortile, poco più di sessant’anni fa tutto sembrò essere travolto dallo scandalo.
Quattro frati, che in quel convento vivevano, vennero incatenati con accuse pesantissime: associazione a delinquere, estorsioni, omicidi e tentati omicidi. “La terribile istoria dei frati di Mazzarino” titolò un suo libro Giorgio Frasca Polara. Una storia, che seppure sono trascorsi oltre sessant’anni è ancora viva nella mente dei mazzarinesi e non.
Padre Venanzio, padre Agrippino, padre Carmelo e padre Vittorio, quattro frati con un identico destino. Vennero arrestati dopo che una guardia municipale di Mazzarino, Giovanni Stuppia, li denunciò. Stuppia aveva subito una richiesta estorsiva, ma non volle cedere. Una sera mentre rincasava gli spararono contro due revolverate e lo colpirono alle gambe. Probabilmente lo credettero morto, ma l’uomo era ferito e si trascinò sanguinante sino alla caserma dei carabinieri. Ai militari raccontò ogni cosa e fece i nomi dei frati ai quali avrebbe dovuto consegnare il denaro. Accusò anche l’ortolano del convento Carmelo Lo Bartolo e tre sgherri che sarebbero stati al servizio della banda, Girolamo Azzolina, Giuseppe Salemi e Filippo NIcoletti.
Quella notte stessa, era il 5 maggio del 1959, furono arrestati tutti, tranne l’ortolano che, risultò essere il cervello della banda, riuscì a scappare. Venne acciuffato qualche tempo dopo a Ventimiglia, mentre con venti milioni di lire in tasca, stava acquistando una casa in riva al mare. Carmelo Lo Bartolo venne trovato impiccato nella sua cella del carcere di Caltanissetta il giorno prima di essere interrogato al processo. La vedova sostenne che: “Me lo hanno suicidato perché non riuscisse a raccontare la verità”.
Il primo processo si concluse il 22 giugno del 1962: trent’anni per Azzolina e Salemi; 14 per Nicoletti; assoluzione per i quattro frati (per non avere commesso il fatto il primo e per avere agito in stato di necessità gli altri tre).
Undici mesi dopo il processo di appello. Il 6 luglio uscì la sentenza: confermate le condanne emesse in primo grado e condannati anche i frati Venanzio, Agrippino e Carmelo a 13 anni e assolto frate Vittorio.
Il 10 febbraio del 1965 la Cassazione annullò tutto, ordinando un nuovo processo. Nel frattempo padre Carmelo era morto. Quarto procedimento nel 1966 a Perugia. In quella occasione i due frati (Venanzio ed Agrippino) furono condannati ad otto anni e la corte diede 14 anni a Nicoletti, 24 ad Azzolina e 17 a Salemi. Il 30 settembre del 1967 la parola fine della Cassazione. La sentenza dei giudici della corte di Assise di Appello di Perugia passa in giudicato. Frate Agrippino e frate Venanzio che erano liberi si costituirono poco dopo. Tra condoni e buona condotta furono scarcerati il 5 luglio del 1969, definitivamente liberi.
Il convento di Mazzarino continuò ad essere abitato fino a poco tempo fa dai frati cappuccini. Uno di questi, morto qualche anno fa, il priore frate Deodato non accettò mai il verdetto dei giudici. Lui la definiva “la tragedia” e ce la raccontò prima di incontrarsi con il Padreterno.
“Sono stati i miei professori – ci disse accarezzandosi la lunga barba – non sono stati dei criminali ma dei santi invece”. La rabbia per quella sentenza di condanna era così forte che gli usciva dai pori: “Ci sono le prove della loro innocenza eppure quante sofferenze, quante umiliazioni, hanno dovuto sopportare”. Gli chiesi se pensava di chiedere una revisione del processo, di fare riaprire quella pagina di storia, ma fissò il Crocifisso che dominava il refettorio del convento, alzò l’indice e affermò: “Solo lui può giudicare. Lui, che come i miei fratelli è stato giudicato come un brigante e come un brigante è morto. Gesù Cristo è morto per salvare gli uomini dai loro peccati, i miei fratelli per espiare colpe di altri”. Frate Deodato si sciolse dall’iniziale ritrosia, quei ricordi lo trasformarono come neve al sole: “Il responsabile di tutto – disse – era l’ortolano del convento. Un uomo amato come si può amare un figlio, eppure… Nel muro di una celletta vi sono ancora i fori lasciati dai pallettoni quando tentò di uccidere uno dei miei fratelli. Ma non è bastato al processo. Non è bastata nemmeno vedere quei volti afflitti ma sereni. Avevano la forza della loro fede e questa è stata la loro salvezza”. Frate Deodato ci mostrò un piccolo libretto “In carcere con la Madonna” è il titolo. Sono gli appunti di un diario composto da padre Venanzio. “Lo ha scritto mentre era carcerato e qui sono racchiusi tutti i suoi pensieri. Era un devotissimo della Madonna e solo in Lei ha trovato la forza”. Frate Deodato era un fiume in piena e aggiunse: “L’ortolano venne rinchiuso in carcere dopo che fu arrestato a Ventimiglia. Al processo, però, non giunse mai. Si impiccò nella sua cella il giorno prima del confronto con i quattro fratelli. Non ha avuto la forza di guardarli in faccia. Lui che era stato così amato. Prima di concedarmi il frate mi rivela un segreto, che fino ad allora era rimasto soltanto nella mente dei cappuccini di Mazzarino. “Non era necessario raccontarlo in giro. Noi sappiamo che quei quattro frati erano santi. I quattro frati dopo essere stati scarcerati presero strade diverse. Andarono in diversi conventi, a Siracusa e in Perù. Frate Venanzio fece ritorno a Mazzarino. Era ormai anziano e si ammalò. Fu ricoverato in ospedale ma nonostante le cure dei medici la sua salute andava sempre a peggiorare. Un giorno gli fecero delle analisi e inspiegabilmente tutti i valori erano normali. Era ritornata una persona sanissima. Fu a quel punto che ad un fratello che lo assisteva chiese di voler tornare in convento. I medici si opposero, ma lui insistette. Al fratello che gli stava accanto lo aveva già confessato diverso tempo prima: la sua morte gli era stata annunciata dalla Madonna, sarebbe morto l’11 febbraio alle 10 e 10 minuti del mattino. Il giorno che volle lasciare l’ospedale era il giorno prima. Il giorno dopo alle 10 e 10 minuti morì, senza agonia. Ma non era un giorno normale. L’11 febbraio alle 10 e 10 la Madonna di Lourdes apparve alla piccola Bernadette”. Dopo dieci anni dalla morte la salma venne riesumata e aperta la cassa il cadavere di frate Venanzio apparve intatto, come se dormisse.
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