La statistica che affligge la Sicilia

7 novembre 2013
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 Sfuggo alla tentazione di commentare i dati statistici con la mente rivolta al dibattito politico fresco di giornata. Non v'è dubbio che il quadro dell'economia e della società siciliana che emerge dall'ultimo Rapporto della Svimez e dalle rilevazioni dell'Istat è disastroso, e sembra non dar adito a speranze, ma le cause risalgono alle scelte dissennate degli ultimi quindici anni.

Per questo, delle meditazioni apocalittiche alla Pietrangelo Buttafuoco riesco ad apprezzare solo la scrittura frizzante. Le più recenti rilevazioni statistiche parlano purtroppo un linguaggio univoco. La variazione percentuale del Pil isolano nel 2012 rispetto all'anno precedente è del -4,3%; la nostra è la peggiore tra le regioni meridionali distante più di un punto percentuale dalla media del Mezzogiorno (-3,2%, mentre il dato del Centro Nord si ferma al -2,1%). Su una popolazione di cinque milioni di abitanti, gli occupati nel 2012 sono 1.394.200 con una flessione rispetto all'anno precedente di 38.600 unità (-2,7%).

Il tasso totale di attività è del 50,0%,  ma il tasso di occupazione femminile è fermo al 28,6 % (Mezzogiorno 31,6%, Centro Nord 55,5%). La cassa integrazione guadagni ha superato 16 milioni e 600 mila ore. Il tasso di disoccupazione ufficiale è il 18,6% (Mezzogiorno 17,2%, Centro Nord 8.0%), ma quello “corretto” (cioè comprensivo di Cig e mobilità) è del 32,9%. I giovani che non studiano, non sono impegnati in attività formative e non lavorano (gli ormai famosi NEET) sono 504.100 pari al 39,7 %della popolazione di età corrispondente (Mezzogiorno 35,7%, Centro Nord 18,1%) [1]. Il 29,5% delle famiglie siciliane  (in numero assoluto 595.300) sono in condizioni di povertà relativa.[2] Il 5,8% delle famiglie percepiscono meno di 6.000 euro l'anno e si trovano in condizioni di povertà assoluta.

A conferma delle difficoltà a far quadrare i conti, una ricerca a campione condotta dalle Acli, mette in rilievo che il 75,5% dei siciliani  fa la spesa negli hard discount, il 68% ha rinunciato a qualche acquisto, il 67% ha pagato in ritardo o non ha pagato una rata. Sarebbe inoltre utile capire in che misura si sono ridotti nel corso della lunghissima crisi i risparmi dei siciliani e come è cambiata la struttura patrimoniale delle imprese e delle famiglie. La  Svimez fornisce un dato interessante: nell'isola i depositi bancari ammontano a 51.900 milioni di euro e i prestiti bancari a 66.793 milioni.  La  messe di  dati statistici con la quale ho annoiato il lettore mi era indispensabile per introdurre il discorso sulle complessità di quanto sta avvenendo in Sicilia in conseguenza di una   recessione che ha colpito in pieno il Mezzogiorno.

Le politiche di bilancio dello Stato hanno peggiorato la situazione, contribuendo ad ampliare il divario tra  Nord e Sud. “il peso a carico del Centro Nord  (delle manovre di correzione è) pari al 6% circa del Pil e quello a carico del Mezzogiorno si avvicini al 9%...Incidono su questo divario, in particolare, i tagli della spesa in conto capitale: una misura particolarmente penalizzante per il Sud poiché gli investimenti pubblici  hanno nell'area un impatto particolarmente forte”[3]. Il taglio della spesa ordinaria per investimenti ed il carente e dispersivo utilizzo dei fondi strutturali europei hanno aggravato le debolezze strutturali dell'economia siciliana che non è riuscita, se non in minima parte, ad agganciarsi ai processi di internazionalizzazione. Nella struttura economica dell'isola balzano agli occhi le radicali modifiche intervenute nell'agricoltura isolana che ha puntato sulle produzioni orticole, sul vino  e sulla frutta, spesso di nicchia.

Quanto all'industria, invece, un terzo della capacità di raffinazione degli oli grezzi di petrolio è rimasto in Sicilia tra Siracusa, gela e Milazzo. Fragile appare il tessuto di piccole imprese orientato all'innovazione ma anche all'esportazione. Il terziario assorbe in Sicilia il 75% del lavoro dipendente ed autonomo (il 68% nella media nazionale e produce l'81% del valore aggiunto; all'interno di quest'ultima cifra il 32% è prodotto dalla pubblica amministrazione. Un tessuto produttivo caratterizzato da “dimensioni ridotte, alta dipendenza dal credito bancario, scarsa propensione al ricorso ad altre forme di finanziamento”[4].

Il limite è la carenza di informazioni certe sulle caratteristiche dell'imprenditoria dell'isola e sulle trasformazioni assai grandi che  si sono prodotte all'interno del ceto imprenditoriale nell'ultimo decennio: perciò, molte delle asserzioni che vanno per la maggiore nel dibattito isolano restano prive di verifica.  Sono  tre  le cause che, a mio avviso, hanno determinato, nel pieno della crisi globale, una devastazione del tessuto economico e sociale dell'isola della cui reale portata non abbiamo ancora piena contezza. In primo luogo ci si è rifiutati di procedere alla revisione strutturale dei meccanismi di gestione ed erogazione della spesa pubblica. Poi, non vi è stato neanche il tentativo di elaborare e praticare una politica dei fattori produttivi a sostegno dei processi di innovazione che pure andavano affacciandosi in una parte delle imprese siciliane. Sulla politica industriale, i partiti siciliani sono stati afoni o hanno detto corbellerie.

Infine le poche risorse disponibili per lo sviluppo, in particolare i fondi strutturali europei, sono state in gran parte sprecate o utilizzate per fini impropri. Clientelismo politico e l'illegalità economica diffusa  alimentata dalla presenza mafiosa hanno fatto il resto. Parafrasando il titolo di un vecchio romanzo di Milan Kundera: la vita politica è altrove. Tuttavia, il vecchio sindacalista “out of date” s'interroga sulla debolezza ( non fosse per i precari e per i nuclei di lavoratori comunque legati alle sofferte vicende della spesa pubblica) dei movimenti di massa nella regione.

Attraverso quali canali si esprime il disagio sociale che emerge dai dati statistici? Siamo oramai in una fase di tale frantumazione del tessuto sociale che anche strutture  forti e capillarmente radicate nel territorio non riescono più ad organizzare e rappresentare le domande collettive?  E la rappresentanza politica?  Si è frantumata,.anche a sinistra,nel microvoto ?[5]  

V'è chi sappia rispondere?



[1]     Utilizzo qui i dati dell'ultimo  Rapporto Svimez presentato il 17 ottobre a Roma. L'ultima rilevazione del Ministero del Welfare, che si riferisce alla fascia d'età 15-24 anni,  quantifica al 32,8% la percentuale dei NEET in Sicilia, a fronte di una media Mezzogiorno pari al 44,9%  e di un dato nazionale del 21%. La differenza tra le due rilevazioni evidenzia il preoccupante diffondersi del fenomeno nei giovani a cavallo dei trentanni.

[2]             Il concetto di povertà relativa, com'è noto, esprime la difficoltà nella fruizione di beni e servizi, in rapporto al livello medio di vita dell'ambiente; la soglia è fissata per una famiglia di due persone a 990,88 euro al mese

[3]     M. Centorrino P. David “Il Sud non sarà più un Paese per giovani” in Strumenti Res,  anno V n.4 settembre 2013

[4]     S Butera “A che cosa è veramente servita l'autonomia siciliana” in Strumenti Res, anno V n.4 settembre 2013.

[5]     M. Calise, “Fuorigioco. La sinistra contro i suoi leader”, Bari  ottobre 2013 afferma  a pag. 38a proposito del Pd:”le sue basi organizzative, in tutto il territorio nazionale vengono erose e sbriciolate dal virus della micropersonalizzazione.

 di Franco Garufi

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