La stampa italiana è libera ma non troppo, aumentano le minacce

Politica | 24 aprile 2019
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L’Italia progredisce di 3 punti rispetto alla classifica dello scorso anno sulla libertà di stampa, attestandosi alla 43° posizione sui 180 paesi esaminati. Tuttavia, come si legge nel report 2019 di Reporters sans frontières, “il livello di violenza nei confronti dei giornalisti è allarmante e continua a crescere, specialmente in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, così come a Roma e nella regione circostante”. Venti sono i giornalisti attualmente sotto protezione nel nostro paese, tra cui Paolo Borrometi, che malgrado le minacce ricevute “continuano i loro rapporti investigativi”. Non è solo la mafia a tentare di mettere il bavaglio ai giornalisti italiani, ma anche la politica fa la sua parte. Secondo l’Ong francese, “molti giornalisti sono stati criticati e insultati in relazione al loro lavoro da politici, in particolare da membri del Movimento Cinque Stelle (M5S), che li hanno definiti ‘sciacalli inutili’ e ‘puttane’”. Viene, inoltre, fatto velatamente riferimento al caso di Roberto Saviano che, per via delle opinioni espresse sull’operato del governo, ha subito la minaccia di revoca della scorta da parte del vicepremier Salvini.

A guidare il ranking che certifica lo stato di salute della libertà di stampa nel mondo è, per il terzo anno consecutivo, la Norvegia, seguita dalla Finlandia (in rialzo di due posizioni) che ha strappato il secondo posto ai Paesi Bassi (4° posto). Anche la Svezia, terza, perde una posizione per via dell’aumento delle molestie informatiche. Chiudono la classifica il Turkmenistan (180°), la Corea del Nord (guadagna un punto, attestandosi al 179° posto), l’Eritrea (178°), la Cina (177°) e il Vietnam (176°). L’Iran, alla 170° posizione, è uno dei paesi del mondo con il più alto numero di reporter arrestati. Diversi giornalisti sono detenuti, spesso senza processo, anche in Egitto (163°), Bahrain (167°) e in Arabia Saudita (172°). In quest’ultimo paese molti cronisti si censurano o hanno smesso di scrivere del tutto, soprattutto in seguito all’atroce omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi nel consolato saudita a Istanbul l’ottobre scorso. In fondo alla classifica troviamo anche i regimi autoritari come il Venezuela (148°), dove i giornalisti sono stati vittime di arresti e violenze da parte delle forze di sicurezza, e la Russia (149°), dove il governo ha intensificato la pressione su media indipendenti e su Internet con arresti e leggi rigorose. Gli Stati Uniti (48°) hanno perso tre posizioni nell'Indice di quest’anno e il clima mediatico è ora classificato come “problematico” considerato che mai prima d’ora i giornalisti statunitensi erano stati sottoposti a così tante minacce di morte o si erano rivolti così spesso a società di sicurezza private per la protezione.

Tra tutte le regioni del mondo, l’Unione europea e i Balcani rappresentano l’area in cui la libertà di stampa è più rispettata, ma i giornalisti sono comunque esposti a minacce gravi, come nel caso delle violenze senza precedenti subite durante le proteste dei gilet gialli in Francia (32°). O come nel caso della Polonia (59°), dove i cronisti di Gazeta Wyborcza rischiano di essere condannati per aver collegato il leader del partito al potere ad un progetto alquanto discutibile. Altro episodio inquietante giunge dalla Bulgaria (11°), dove due giornalisti sono stati arrestati per via della loro inchiesta sull'uso improprio dei fondi UE. L’America del Nord e del Sud, invece, rappresentano le regioni che hanno subito il maggior deterioramento (3,6 %), non solo a causa delle scarse performance degli Stati Uniti, del Brasile (tre punti in meno, 105°) e del Venezuela (cinque punti in meno, 148°). A pesare su questo bilancio negativo sono anche il Nicaragua (114°), che ha perso ben ventiquattro posizioni, e il Messico (144°), che conta almeno dieci giornalisti assassinati nel 2018.

L'indice mondiale sulla libertà di stampa del 2019 mostra come il numero di paesi dove i giornalisti possono lavorare in completa sicurezza continua a diminuire. “Se il dibattito politico scorre furtivamente o apertamente verso un’atmosfera di guerra civile, in cui i giornalisti sono trattati come capri espiatori, allora la democrazia è in grave pericolo”, ha dichiarato il segretario generale dell'RSF Christophe Deloire. “Arrestare questo ciclo di paura e intimidazione è una questione della massima urgenza per tutte le persone di buona volontà che apprezzano le libertà acquisite nel corso della storia”.

 di Alida Federico

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