La stagnazione secolare che frena l'Europa
In un una recente intervista a Romano Prodi su”Il Corriere della Sera”del 22 aprile 2016, lo stesso afferma tra l’altro:
“La Banca centrale ha capito il pericolo di una stagnazione prolungata e fa di tutto per evitarla.Ha evitato il disastro, ma ha esaurito le sue munizioni. Il pericolo della stagnazione è ancora di fronte a noi: se continuiamo con la distruzione della classe media e l’accumulazione della ricchezza nella classe più elevata, che non consuma, costruiamo la stagnazione secolare”.
Personalmente, condivido il concetto che alla radice del problema vi sia l'eccessiva concentrazione della ricchezza prodotta in poche mani. Questo peggioramento dell'ineguaglianza, a mio parere, porta ad un prevalere di una classe agiata che ha una minor propensione al consumo rispetto ai ceti più poveri e con una tendenza a preferire la rendita al lavoro produttivo. A loro volta, le imprese, di fronte a questa contrazione della domanda mondiale, tendono a ridurre gli investimenti e la richiesta di capitali al settore finanziario.
Sicuramente, fino a quando la dilatazione del debito pubblico e privato ha consentito ai ceti medi dei paesi industrializzati di mantenere o addirittura migliorare il loro livello di vita, la domanda non ne ha risentito. Anche la spesa pubblica complessiva dei paesi industrializzati, finanziata in parte dai paesi emergenti, è stata funzionale. Il gioco è saltato quando l’indebitamento privato è stato eccessivo proprio nella capitale del mondo: gli USA. La crisi finanziaria del 2008 è stata la constatazione dell'eccessivo indebitamento delle famiglie.
In seguito alla crisi finanziaria le disponibilità dei paesi emergenti si sono spesso orientate poi all’acquisizione delle dirette attività produttive occidentali, spogliando in parte le nostre risorse. La delocalizzazione produttiva, operata da molte multinazionali, ha fatto il resto e per il capitale finanziario è stato utile investire nei paesi emergenti che assicuravano maggior ritorno dell’investimento con produzioni a basso costo che hanno invaso i mercati mondiali.
Oggi colossi come la Cina cominciano a guardare con maggiore attenzione lo sviluppo della propria domanda interna e sono meno disponibili a finanziare il nostro debito.
Atri paesi emergenti rallentano il passo e rischiano la fragilità a causa dell’eccessivo indebitamento finanziario delle proprie aziende nei confronti dei capitali esteri e per la crisi dei prezzi dei prodotti energetici di cui sono esporatori.
Nei paesi industrializzati le famiglie del ceto medio di certo non possono subire l'impoverimento progressivo, se si vuole ritornare a parlare di miglioramento delle condizioni generali di vita. Una quota maggiore della ricchezza sociale prodotta o direttamente (con maggiore occupazione e/o aumento dei salari) o indirettamente (tramite l'investimento pubblico) deve tornare ai ceti popolari e medi se vogliamo far ripartire la crescita produttiva.
Personalmente sono quindi convinto che per combattere questa tendenza alla stagnazione si dovrebbero attuare due interventi :
a) ridurre la disuguaglianza, aumentando la quota di ricchezza prodotta da distribuire ai ceti popolari e medi;
b) potenziare gli investimenti pubblici specialmente in quei settori che possono ulteriormente modificare il livello di ricchezza sociale complessivo ma che immediatamente possono risultare non particolarmente convenienti. Un pò quello che nel passato è avvenuto con i grandi processi di elettrificazione, la ferrovia, le grandi conquiste sociali, con la ricerca spaziale, con le autostrade informatiche ecc che hanno modificato la nostra vita e aumentato in maniera stabile la crescita economica.
Per attuare una adeguata redistribuzione delle ricchezze in tempi rapidi è necessario prendere in seria considerazione la leva fiscale per consentire da un lato un maggiore contributo sociale dei redditi più elevati e in qualche modo scoraggiarne la diffusione e la crescita. .
Politicamente può essere una misura impopolare, con forti controindicazioni per il consenso politico dei partiti che porteranno avanti queste politiche; tuttavia, mi auguro di sbagliarmi, ma non vedo alternative.
Una parte dei paesi industrializzati, in particolar modo dell’area europea, rischia per molti anni un avvitamento ed una possibile decadenza se non riesce a far riprendere la propria domanda interna con una migliore distribuzione dei redditi nei confronti dei ceti popolari e medi e l’incremento della spesa pubblica:precondizione necessaria per una ripresa sostanziale degli investimenti produttivi, della ricerca ed innovazione.
Abbiamo bisogno di nuovi traguardi mondiali da conseguire insieme sia in campo tecnologico ed energetico, sia per migliorare complessivamente le condizioni di vita nostre e di tante popolazioni che vivono al disotto dei livelli di povertà.
Mi sembra probabile, inoltre, che senza misure forti in tal senso andremo incontro ad un acuirsi delle tensioni popolari interne ed internazionali, proprio a causa delle difficoltà connesse all'arrestarsi del processo di crescita. Lo scoppio di una nuova conflittualità e una ridefinizione degli equilibri e dei pesi specifici fra le nazioni.
Uno dei territori interessati è alle nostre porte ed è l'area del Medio Oriente e del Nord Africa. La mia preoccupazione è che non si tratti solo di un riassetto degli equilibri interni ma che chiami in causa anche una ridefinizione dello scambio e del potere economico nei confronti del mondo occidentale, a partire dalla vicina Europa.
In tutto questo, mentre vedo una visione
moderna e costruttiva della nuova sinistra (come quella del nuovo
gruppo dirigente del PD) mi sembra che sia assente una proposta
articolata da parte dell’area progressista più legata alla
tradizione del movimento operaio. Questo, alla fine, rappresenta un
elemento di debolezza
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