La speranza degli ultimi sulla via del sangue
Tranne quello sciacallo di Matteo Salvini, nessuno ha speculato sull'ultima strage che si è consumata al largo delle coste libiche. Mi hanno colpito, per esempio, le parole del presidente della Croce Rossa Italiana: non di emergenza si tratta ma di un susseguirsi di sciagure che si protrae ormai da anni ed ha prodotto oltre ventimila morti accertati, cui vanno aggiunti quelli di cui non si è avuta notizia. Quali le cause e le responsabilità che hanno determinato tale tragedia? Quali gli strumenti necessari ad affrontarla? La globalizzazione ha prodotto la libera circolazione dei capitali e delle merci, ma gli spostamenti delle persone restano subordinati a regole del tutto superate. I flussi migratori che interessano l'Europa sono di vario tipo e la maggior parte non passa neanche nel Mediterraneo; tuttavia proprio nel tratto di mare che ci separa dalle sponde africane si è innescata una situazione esplosiva. Masse di diseredati dall'Africa sub-sahariana spingono per entrare in un'Europa che appare ancora ai loro occhi, nonostante la crisi, un continente splendente di beni di consumo e ricco di occasioni di lavoro. Ad essi si aggiungono asiatici che compiono un giro lunghissimo per conquistare l'agognato ingresso in “Occidente” (uno dei superstiti dell'ultimo tragico naufragio è un bengalese) e- negli ultimi anni- centinaia di migliaia di profughi in fuga dalle guerre e dalle persecuzioni politiche, religiose, razziali sempre più diffuse nel Medio-Oriente e nella stessa Africa. Per tutti costoro una delle rotte più battute passa dal canale di Sicilia e ha nell'isola il punto di transito verso altre destinazioni, in molti casi fuori d'Italia, oppure per restare nel nostro paese ed alimentare il mercato clandestino di braccia in agricoltura e in edilizia. Non si tratta dell'unica rotta, come dimostrano i morti nel mare di Cipro, ma è certamente la più affollata. E' una vera e propria tratta di esseri umani gestita da potenti organizzazioni mafiose internazionali, con solide basi anche in territorio italiano, come segnalano gli arresti di Catania. L'introduzione del reato di clandestinità e la gestione assai approssimativa e venata di affarismo e clientelismo politico dei centri di identificazione ed espulsione e dei centri d'accoglienza per i richiedenti asilo hanno peggiorato la situazione e finito per favorire l'attività degli organizzatori del traffico. La miopia e la pusillanimità delle istituzioni europee che hanno sottovalutato il fenomeno, sono alla radice degli avvenimenti recenti, come è stato per evidenziato da quanti hanno messo in luce l'assoluta inadeguatezza della missione europea Triton rispetto all'italiana Mare Nostrum. Il modello di democrazia e di inclusività europea ne viene messo pesantemente in discussione, non solo perché si scaricano su un solo paese i costi di un problema che riguarda tutta l'Unione ma perché si indeboliscono i valori fondamentali dell'accoglienza, del multiculturalismo, del diritto di asilo a chi nella propria terra è perseguitato. Non sarà accettabile, che trascorsi i giorni del cordoglio, tutto resti com'è, anche perché l'esodo non è destinato ad esaurirsi. Cosa fare allora? In primo luogo, sul terreno legislativo, abolire il reato di clandestinità. In secondo luogo, come proposto dalla Cgil, predisporre un piano di accoglienza con quote da distribuire equamente tra tutti i paesi europei e, su questa base, creare un canale di ingresso legale oggi inesistente; poi pensare a forme di assistenze direttamente nei paesi di provenienza per sottrarre donne, bambini ed uomini dalle grinfie dei trafficanti. Tuttavia, è bene non illudersi che ciò possa bastare nella situazione di disfacimento di ogni funzione e potere dello Stato che attraversa la Libia. La destabilizzazione libica è stata una conseguenza dell'avventato intervento militare, operato su pressione francese, al quale partecipò anche l'Italia. Tutta la situazione del Magreb, così come quella egiziana, sono frutto degli errori politici dei principali paesi europei che non riescono a fare i conti con il retaggio negativo del passato coloniale e che non hanno avuto pudore nel sostenere i peggiori dittatori, salvo scaricarli quando non servivano più. Inoltre la nostra limitata conoscenza e gli stereotipi di cui siamo vittime nei confronti del mondo musulmano non riescono a cogliere alcuni fenomeni di portata assolutamente nuova: per esempio che l'emergere dell'Isis dopo la conclusione delle primavere arabe e nel pieno della guerra civile in Siria è innanzitutto uno scontro durissimo all'interno del mondo islamico, nel quale si confrontano visioni diverse e contrapposte. Attenzione a non riportare indietro l'orologio della storia: non siamo alla vigilia della battaglia di Lepanto. Il discrimine non è tra mondo cristiano e mondo musulmano, ma tra inclusi ed esclusi, tra il terzo del mondo che ha avuto troppo e i due terzi che continuano a non aver quasi nulla. Chiudere le porte agli esclusi e trasformare l'Europa in una fortezza sarebbe- per tutti- la scelta peggiore.
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