La Sicilia va male, anzi no. Moody's promuove i conti e fa riflettere

Economia | 26 ottobre 2018
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 L'agenzia Moody's ha confermato il rating della Regione siciliana con Ba1 con outlook stabile. La Sicilia e il Lazio sono le uniche regioni il cui debito pubblico è stato considerato in miglioramento nell'ultimo triennio “a conferma degli sforzi di risanamento del bilancio in corso che potrebbero compensare le potenziali pressioni dovute al deterioramento della qualità del debito sovrano”. Poteva sembrare una fake new nel giorno in cui i titoli dei quotidiani riportavano un profluvio di dati statistici tutti all'insegna del lamento sull'isola “ultima degli ultimi”. Invece è vera ed induce a qualche riflessione distonica con la vulgata prevalente. Non già perché la Sicilia non sia afflitta da una somma di problemi gravissimi, ma per la ragione che continuare ad insistere nella teoria del tutto va male diventa un formidabile alibi per le classi dirigenti attuali e passate. 

Vediamo allora di distinguere tra la mitologia del malessere generalizzato e la realtà, utilizzando alla bisogna i documenti ufficiali del governo regionale. Sul sito delle delibere della Giunta regionale, aggiornato al 24 ottobre, non è disponibile, nel momento in cui scriviamo,il testo della Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza regionale (DEFR). Siamo perciò costretti ad utilizzare le notizie riportate dalla stampa e dai siti web. Innanzitutto vediamo i dati macroeconomici: secondo le dichiarazioni del vicepresidente della Regione ed assessore all'economia Gaetano Armao, al 2021 sarà stato recuperato solo il 60% della perdita del PIL regionale prodottosi nel corso della lunga depressione 2008-2014 (15,3%). Ciò deriva dalla somma tra il 20% recuperato nel biennio che ci sta alle spalle e la più robusta attesa di crescita (40%) per il prossimo quadriennio. 

Quindi il sistema Sicilia continuerà a crescere poco, nonostante la dichiarata volontà del governo di procedere “alla riforma delle generali procedure amministrative da accompagnare con riforme di settore (urbanistica ed edilizia, appalti, contributi, controlli, organizzazione” finalizzate al superamento dell'altissimo tasso di peso burocratico che incombe sull'isola. Fin qui si tratta di obiettivi condivisibili, come è corretta la polemica nei confronti dell'assenza di politiche statali a sostegno dell'economia e della società meridionali nel lunghissimo decennio di crisi. Cosa manca allora , a nostro modesto parere? Nell'ossessiva damnatio memoriae di cui il centro destra siciliano è fautore è assente, a differenza di quanto fa onestamente l'agenzia di rating internazionale, il riconoscimento del percorso di risanamento che è stato impostato dal precedente governo di centrosinistra. Se questa mancanza di generosità è comprensibile, meno comprensibile appare che si continui ad impostare l'asse della manovra di bilancio su una rinegoziazione degli accordi con lo Stato che, nonostante le dichiarazioni ottimistiche, è resa altamente improbabile anche in conseguenza della situazione nazionale che vede lo scontro tra il governo italiano e la Commissione europea sulla prossima legge di bilancio caratterizzata da un deficit programmato del 2,4%. 

Si rinvia la possibilità di interventi per lo sviluppo all'ipotetico accordo con Roma e, nel frattempo, ci si scorda di dire ai siciliani che si continuano a praticare politiche vecchie e che hanno già dimostrato i propri limiti. Si veda, per esempio, la delibera di Giunta n. 369 del 12/10/2018 con la quale si autorizza ad avanzare alla Commissione la richiesta di ridurre il cofinanziamento nazionale del POR FESR al 20%. In sostanza il valore del programma regionale più dotato di risorse scende a euro 4.273.038.773 con una notevole riduzione della quota nazionale che viene accantonato e destinata ai cosiddetti programmi operativi complementari. Per superare, invece, la ghigliottina della scadenza del 31 dicembre di quest'anno si ricorre allo stravecchio strumento dei progetti coerenti imputando a spesa europea il grande progetto dell'itinerario Agrigento- Caltanissetta e quello del passante ferroviario di Palermo. Alla faccia del cambiamento: ancora una volta l'unica cosa che conta è certificare ad ogni costo la spesa invece di puntare sull'efficacia dell'utilizzo delle risorse e sulla quantittà e qualità di sviluppo che potrebbe derivarne. 

Le colpe di questo eterno ritorno al passato sono tante ed equamente distribuite tra questo governo e quello che lo ha preceduto. Niente di illegittimo, beninteso: si tratta di misure concordate con l'Agenzia Nazionale per la Coesione e la Sicilia non è la sola ad adottarle. Infatti ben cinque programmi operativi nazionali e il Por Molise fanno compagnia alla nostra regione, anche se per la verità con tassi assai meno rilevanti di riduzione del cofinanziamento. E' quanto, tra l'altro, ammette oggi in un'intervista ad un quotidiano regionale il direttore dell'Agenzia Antonio Caponnetto. Tutto ciò, in ogni caso, sta avvenendo senza alcun confronto con il partenariato economico e sociale e senza alcuna sede di verifica della concreta capacità di rispettare gli obiettivi programmati. 

E' un modo vecchio ed inconcludente di affrontare le questioni, in un'isola che, come riconosce lo stesso presidente Musumeci, ha davanti a sé la questione drammatica di due generazioni di giovani rimaste nella stragrande maggioranza fuori dal mercato del lavoro. Si tratta di più di mezzo milione di ragazze e ragazzi che rappresentano il futuro di questa terra e invece sono stati disastrosamente e colpevolmente trascurati da una politica che si è preoccupata solo di difendere l'esistente. Non c'è avvenire per la Sicilia se non si riportano i giovani dentro il circuito virtuoso del lavoro dignitoso e della crescita: è questo il più tragico handicap e la vera priorità della nostra isola ed è tempo che tutti, a partire dalle forze sociali, se ne rendano pienamente conto.

 di Franco Garufi

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