La Sicilia uscirà dal tunnel della crisi ma non subito

Economia | 29 luglio 2016
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Le anticipazioni del rapporto Svimez 2016 sull'economia del Mezzogiorno, presentate ieri a Roma hanno trovato nei media scarsa attenzione a differenza dell'anno scorso, quando all'allarme sulle condizioni del sud furono dedicati i titoli di testa di quotidiani e telegiornali e perfino Roberto Saviano impegnò la sua firma per sollecitare al presidente del Consiglio interventi urgenti per le aree più arretrate. Oggi invece, a parte l'enfasi dell'Unità, ormai house organ renziano che ha titolato a pagina piena, i grandi quotidiani nazionali hanno escluso l'evento dalla prime pagine e qualche testata a diffusione regionale ha parlato addirittura di “sorpresa”. In realtà sarebbe bastato leggere i rapporti sulle economie regionali della Banca d'Italia e- per quanto riguarda la nostra isola- le previsioni recentemente presentate dalla fondazione RES per scoprire che si tratta di tendenze da tempo annunciate.


Il valore aggiunto del Rapporto della benemerita Associazione di via Pinciana è costituito dalla visione unitaria che permette di leggere con uno sguardo d'insieme quanto sta avvenendo a livello della macro-area. Cosa dice, dunque, di così sorprendente il Rapporto 2016? Afferma semplicemente che, dopo sette anni di recessione ininterrotta che ha determinato una flessione del 13,2% (Italia -9%, Centro- Nord -7,8%) il Pil del Sud ha visto nel 2015 un incremento dell'1%, di due centesimi di punto superiore alla media nazionale (0,8%, Centro- Nord 0,7%). In sostanza abbiamo cominciato a risalire dal fondo del barile. La buona notizia è che- non era scontato- la caduta si è fermata, ma risalire la china che ci separa dal 2008 richiederà un lungo ed assai faticoso impegno. Basilicata, Abruzzo e Molise guidano la ripresa (rispettivamente con il 5,5%, il 2,5% e il 2,9%), la Sicilia guadagna l'1,5%, restano indietro Campania, Puglia e Sardegna (tutte e tre con lo 0,2%) soprattutto per il peso di crisi industriali irrisolte.


L'analisi della Svimez pone all'origine dell'andamento congiunturale i seguenti elementi: un'annata agraria assai positiva, la crescita del turismo, l'aumento dei consumi soprattutto delle famiglie, cenni di ripresa degli investimenti, l'accelerazione di spesa dei fondi strutturali europei connessa alla conclusione del ciclo 2007-2013, il riavvio del mercato del lavoro. Il valore aggiunto dell'agricoltura, che nel settennio di crisi era calato del 11,7% cresce nel solo 2015 del 7,3% (un incremento eccezionale non facile da ripetersi nei prossimi anni): L'industria manifatturiera che aveva subito una drastica contrazione del 33,8% recupera l'1,9%, lievi segni di ripresa anche nel settore delle costruzioni che, dopo aver cumulato nel corso della crisi una contrazione di ben il 35,3% cresce di un modesto 1,1%. I servizi che erano calati meno degli altri settori (6,7%) recuperano appena lo 0,8% La spesa in conto capitale della pubblica amministrazione che nel 2001 era pari a 25 miliardi di euro ed era scesa nel 2004 a 13,2 miliardi, mostra segni di ripresa e si attesta nel 2015 a 15,5 miliardi, ma di questi solo 5,1 sono risorse ordinarie mentre ben 10,4 miliardi vengono da risorse aggiuntive (6,1 fondi strutturali, 3,0 risorse nazionali di cofinanziamento, 1,3 FSC). Si conferma, cioè, il carattere sostitutivo invece che addizionale della spesa per lo sviluppo. Nel Sud sono stati attivati nel corso del 2015 94.100 nuovi occupati, (1,6% in più rispetto al 2014) ma di essi il 55,8% è a tempo determinato e solo il 37,0% a tempo indeterminato nonostante i cosiddetti contratti a tutela crescente introdotti dal jobs act. Ancora, di essi il 63,3% hanno un rapporto di lavoro a tempo pieno e il 30,8% a tempo parziale. Passiamo ora alle cattive notizie: al Sud mancano ancora 500.000 occupati rispetto ai livelli pre-crisi, mentre il Centro -Nord è sostanzialmente tornato ai livelli del 2008. Il nodo della creazione di nuova occupazione resta perciò la grande questione irrisolta, specialmente per le fasce di età più giovani. I dati parlano chiaro e sono resi ancor più gravi dal proseguire dell'esodo dal Sud dei giovani: il saldo migratorio netto del Mezzogiorno tra il 2002 e il 2014 è pari a -653.587, di cui giovani -478.179. Tra i giovani emigrati i laureati sono 133.000. Continua perciò il drammatico depauperamento di risorse umane ad alta e media formazione che ha caratterizzato il Sud nel primo quindicennio del nuovo secolo e che si configura, anche dal punto di vista demografico, come la principale emergenza delle nostre regioni. I guai tuttavia vanno ben oltre. Sono aumentate le diseguaglianze a livello territoriale, come dimostrano l'ampliarsi della. povertà ed i dati sulle sofferenze creditizie. Nel Mezzogiorno il 10% della popolazione, pari a 2.084.000 persone versano in condizioni di povertà assoluta, con un raddoppio rispetto al 2008 (5,2%), mentre è triplo nel Sud rispetto al Nord il rischio di povertà, la possibilità cioè di precipitare da una condizione sociale normale nell'area dei poveri. In Sicilia questo rischio è addirittura del 39,24%, a dimostrazione di quanto sia urgente la richiesta di metter mano agli strumenti di contrasto, a partire dall'approvazione del disegno di legge di iniziativa popolare che giace da mesi all'ARS e dalla immediata ed efficace applicazione anche nell'isola del Decreto nazionale sullo strumento di inclusione attiva (SIA). Su 187 miliardi di euro di sofferenze bancarie nel 2015, 42,5 sono al Sud, ma nel comparto manifatturiero- nel triennio 2013-2015- l'incidenza delle sofferenze sugli impieghi è stata al Sud del 33%, doppia rispetto al Centro-Nord.


Questa la fotografia, con tanti chiaroscuri, della situazione presente. Per quanto riguarda i “tendenziali” per il 2016 e il 2017, l'Associazione conferma in entrambe le macro-aree il proseguimento di una lenta ripresa che però tornerà ad essere maggiormente apprezzabile in termini percentuali al Centro- Nord (0,9%) rispetto al Sud (0,3%) e si assesterà allo 0,8% a livello paese (al netto di eventuali effetti negativi della Brexit), Ricordo che i valori indicati sono superiori di un centesimo di punto alla previsione del FMI e coincidono con le stime del Centro studi di Confindustria. Il quadro che emerge è di una ripresa dovuta in parte a fattori non ripetibili, con effetti insufficienti sul versante occupazionale , ma il cui aspetto positivo è che l'area meridionale si è riagganciata, seppur in posizione di ritardo e con grandi difficoltà, al sistema paese. Che fare, dunque, per salvaguardare la debole ripresa, superarne i caratteri di eccezionalità, consolidarne gli effetti positivi, ancorché limitati, sull'occupazione? Innanzitutto vanno affrontati i problemi strutturali di competitività: dal sotto- dimensionamento delle imprese all'urgenza di investimenti pubblici e privati in logistica, infrastrutture, energie, qualità dell'ambiente e salvaguardia del territorio. La Svimez ha un'antica tradizione di attenzione all'industria manifatturiera che viene riproposta con forza attraverso la richiesta di un'azione di politica industriale finalizzata non solo a sostenere le eccellenze, ma anche a consolidare il sistema. Sottolineo a tal proposito, che il riferimento al disastro che la crisi ha provocato nel sistema produttivo meridionale, fino al rischio della desertificazione industriale,viene ora integrato ed arricchito dai concetti della resilienza dei settori produttivi meridionali e della reattività del pezzo di industria che si è salvato innovando ed aprendosi ai mercati internazionali.


La resilienza è “la capacità di un sistema, di un'impresa, di una persona di conservare la propria integrità ed il proprio scopo fondamentale di fronte ad una drastica modificazione delle circostanze” (A. Zolli, Resilienza, ed. it. Milano, giugno 2014): significa che i sopravvissuti alla crisi hanno fatto tesoro delle lezioni dell'esperienza attrezzando le loro imprese alle nuove esigenze di competitività interna ed internazionale. Sono le politiche pubbliche, quelle cioè di cui è responsabile il Governo, che finora non hanno svolto il loro ruolo, anzi sono state del tutto inadeguate. Il Rapporto fa bene ad individuare nella domanda interna il principale driver per consolidare e rafforzare la ripresa, ma ciò non può avvenire senza una scelta decisa e finanziariamente ingente in direzione di investimenti pubblici per lo sviluppo di un'industria manifatturiera innovativa. Se gli amici della Svimez mi consentono un'osservazione, non mi convince la mancata individuazione del carattere di mera accelerazione della spesa di progetti cantierabili già esistenti che hanno assunto i Patti che si vanno concludendo con le Regioni e le città metropolitane. Una dimensione di intervento meramente congiunturale che è invece ben presente nelle critiche che all'attuazione del Masterplan ha rivolto Gianfranco Viesti. E 'necessario, insomma, concentrare gli investimenti su alcuni grandi drivers innovativi che considerino il Sud, per le sue caratteristiche e per la collocazione nel Mediterraneo, come una potenzialità non solo per l'Italia ma per l'intera Europa, nel momento in cui l'Unione è chiamata a rilanciare il proprio progetto politico e a prestare la massima attenzione a quanto sta accadendo sulle sponde meridionale ed orientale. In sostanza, la scommessa per il Mezzogiorno di domani si gioca su una politica industriale innovativa, gestita in sintonia tra il governo centrale e le Regioni, che inverta la tendenza al declino industriale del nostro paese che dura ormai da quasi vent'anni ed è cominciato prima della crisi.


E' la grande sfida che l'Italia è chiamata ad affrontare utilizzando, come giustamente viene ricordato anche le flessibilità negoziate con Bruxelles e della quale fa parte anche il tema dell'attrazione degli investimenti esteri. Continuo a coltivare dubbi sull'efficacia della proposta delle ZES in un contesto come quello italiano. Nella presentazione romana è stato annunciato che il testo completo del Rapporto dedicherà un capitolo di merito all'esperienza polacca che viene proposta come esemplare insieme a quella cinese. Attendo di leggerlo, sperando mi convinca del mio torto, perché, come dice il proverbio, solo chi non ha idee non cambia mai idea.


 di Franco Garufi

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