La Sicilia uscirà dal tunnel della crisi ma non subito
Le anticipazioni del
rapporto Svimez 2016 sull'economia del Mezzogiorno, presentate ieri a
Roma hanno trovato nei media
scarsa attenzione a differenza dell'anno scorso, quando
all'allarme sulle condizioni del sud furono dedicati i titoli di
testa di quotidiani e telegiornali e perfino Roberto Saviano impegnò
la sua firma per sollecitare al presidente del Consiglio interventi
urgenti per le aree più arretrate. Oggi invece, a parte l'enfasi
dell'Unità, ormai house organ renziano che ha titolato a
pagina piena, i grandi quotidiani nazionali hanno escluso l'evento
dalla prime pagine e qualche testata a diffusione regionale ha
parlato addirittura di “sorpresa”. In realtà sarebbe bastato
leggere i rapporti sulle economie regionali della Banca d'Italia e-
per quanto riguarda la nostra isola- le previsioni recentemente
presentate dalla fondazione RES per scoprire che si tratta di
tendenze da tempo annunciate.
Il valore aggiunto del Rapporto della benemerita Associazione di via Pinciana è costituito dalla visione unitaria che permette di leggere con uno sguardo d'insieme quanto sta avvenendo a livello della macro-area. Cosa dice, dunque, di così sorprendente il Rapporto 2016? Afferma semplicemente che, dopo sette anni di recessione ininterrotta che ha determinato una flessione del 13,2% (Italia -9%, Centro- Nord -7,8%) il Pil del Sud ha visto nel 2015 un incremento dell'1%, di due centesimi di punto superiore alla media nazionale (0,8%, Centro- Nord 0,7%). In sostanza abbiamo cominciato a risalire dal fondo del barile. La buona notizia è che- non era scontato- la caduta si è fermata, ma risalire la china che ci separa dal 2008 richiederà un lungo ed assai faticoso impegno. Basilicata, Abruzzo e Molise guidano la ripresa (rispettivamente con il 5,5%, il 2,5% e il 2,9%), la Sicilia guadagna l'1,5%, restano indietro Campania, Puglia e Sardegna (tutte e tre con lo 0,2%) soprattutto per il peso di crisi industriali irrisolte.
L'analisi
della Svimez pone all'origine dell'andamento congiunturale i
seguenti elementi: un'annata agraria assai positiva, la crescita del
turismo, l'aumento dei consumi soprattutto delle famiglie, cenni di
ripresa degli investimenti, l'accelerazione di spesa dei fondi
strutturali europei connessa alla conclusione del ciclo 2007-2013, il
riavvio del mercato del lavoro. Il valore aggiunto dell'agricoltura,
che nel settennio di crisi era calato del 11,7% cresce nel solo 2015
del 7,3% (un incremento eccezionale non facile da ripetersi nei
prossimi anni): L'industria manifatturiera che aveva subito una
drastica contrazione del 33,8% recupera l'1,9%, lievi segni di
ripresa anche nel settore delle costruzioni che, dopo aver cumulato
nel corso della crisi una contrazione di ben il 35,3% cresce di un
modesto 1,1%. I servizi che erano calati meno degli altri settori
(6,7%) recuperano appena lo 0,8% La spesa in conto capitale della
pubblica amministrazione che nel 2001 era pari a 25 miliardi di euro
ed era scesa nel 2004 a 13,2 miliardi, mostra segni di ripresa e si
attesta nel 2015 a 15,5 miliardi, ma di questi solo 5,1 sono risorse
ordinarie mentre ben 10,4 miliardi vengono da risorse aggiuntive (6,1
fondi strutturali, 3,0 risorse nazionali di cofinanziamento, 1,3
FSC). Si conferma, cioè, il carattere sostitutivo invece che
addizionale della spesa per lo sviluppo. Nel Sud sono stati
attivati nel corso del 2015 94.100 nuovi occupati, (1,6% in più
rispetto al 2014) ma di essi il 55,8% è a tempo determinato e solo
il 37,0% a tempo indeterminato nonostante i cosiddetti contratti a
tutela crescente introdotti dal jobs act. Ancora, di essi il 63,3%
hanno un rapporto di lavoro a tempo pieno e il 30,8% a tempo
parziale. Passiamo ora alle cattive notizie: al Sud mancano ancora
500.000 occupati rispetto ai livelli pre-crisi, mentre il Centro
-Nord è sostanzialmente tornato ai livelli del 2008. Il nodo della
creazione di nuova occupazione resta perciò la grande questione
irrisolta, specialmente per le fasce di età più giovani. I dati
parlano chiaro e sono resi ancor più gravi dal proseguire dell'esodo
dal Sud dei giovani: il saldo migratorio netto del Mezzogiorno tra il
2002 e il 2014 è pari a -653.587, di cui giovani -478.179. Tra i
giovani emigrati i laureati sono 133.000. Continua perciò il
drammatico depauperamento di risorse umane ad alta e media formazione
che ha caratterizzato il Sud nel primo quindicennio del nuovo secolo
e che si configura, anche dal punto di vista demografico, come la
principale emergenza delle nostre regioni. I guai tuttavia vanno ben
oltre. Sono aumentate le diseguaglianze a livello territoriale, come
dimostrano l'ampliarsi della. povertà ed i dati sulle sofferenze
creditizie. Nel Mezzogiorno il 10% della popolazione, pari a
2.084.000 persone versano in condizioni di povertà assoluta, con un
raddoppio rispetto al 2008 (5,2%), mentre è triplo nel Sud rispetto
al Nord il rischio di povertà, la possibilità cioè di precipitare
da una condizione sociale normale nell'area dei poveri. In Sicilia
questo rischio è addirittura del 39,24%, a dimostrazione di quanto
sia urgente la richiesta di metter mano agli strumenti di contrasto,
a partire dall'approvazione del disegno di legge di iniziativa
popolare che giace da mesi all'ARS e dalla immediata ed efficace
applicazione anche nell'isola del Decreto nazionale sullo strumento
di inclusione attiva (SIA). Su 187 miliardi di euro di sofferenze
bancarie nel 2015, 42,5 sono al Sud, ma nel comparto manifatturiero-
nel triennio 2013-2015- l'incidenza delle sofferenze sugli impieghi è
stata al Sud del 33%, doppia rispetto al Centro-Nord.
Questa la
fotografia, con tanti chiaroscuri, della situazione presente. Per
quanto riguarda i “tendenziali” per il 2016 e il 2017,
l'Associazione conferma in entrambe le macro-aree il proseguimento
di una lenta ripresa che però tornerà ad essere maggiormente
apprezzabile in termini percentuali al Centro- Nord (0,9%) rispetto
al Sud (0,3%) e si assesterà allo 0,8% a livello paese (al netto di
eventuali effetti negativi della Brexit), Ricordo che i valori
indicati sono superiori di un centesimo di punto alla previsione del
FMI e coincidono con le stime del Centro studi di Confindustria. Il
quadro che emerge è di una ripresa dovuta in parte a fattori non
ripetibili, con effetti insufficienti sul versante occupazionale , ma
il cui aspetto positivo è che l'area meridionale si è
riagganciata, seppur in posizione di ritardo e con grandi difficoltà,
al sistema paese. Che fare, dunque, per salvaguardare la debole
ripresa, superarne i caratteri di eccezionalità, consolidarne gli
effetti positivi, ancorché limitati, sull'occupazione? Innanzitutto
vanno affrontati i problemi strutturali di competitività: dal sotto-
dimensionamento delle imprese all'urgenza di investimenti pubblici e
privati in logistica, infrastrutture, energie, qualità dell'ambiente
e salvaguardia del territorio. La Svimez ha un'antica tradizione di
attenzione all'industria manifatturiera che viene riproposta con
forza attraverso la richiesta di un'azione di politica industriale
finalizzata non solo a sostenere le eccellenze, ma anche a
consolidare il sistema. Sottolineo a tal proposito, che il
riferimento al disastro che la crisi ha provocato nel sistema
produttivo meridionale, fino al rischio della desertificazione
industriale,viene ora integrato ed arricchito dai concetti della
resilienza dei settori
produttivi meridionali e della reattività del pezzo di industria che
si è salvato innovando ed aprendosi ai mercati internazionali.
La
resilienza è “la capacità di un sistema, di un'impresa, di una
persona di conservare la propria integrità ed il proprio scopo
fondamentale di fronte ad una drastica modificazione delle
circostanze” (A. Zolli, Resilienza, ed. it. Milano, giugno 2014):
significa che i sopravvissuti alla crisi hanno fatto tesoro delle
lezioni dell'esperienza attrezzando le loro imprese alle nuove
esigenze di competitività interna ed internazionale. Sono le
politiche pubbliche, quelle cioè di cui è responsabile il
Governo, che finora non hanno svolto il loro ruolo, anzi sono state
del tutto inadeguate. Il Rapporto fa bene ad individuare nella
domanda interna il principale driver per consolidare e rafforzare la
ripresa, ma ciò non può avvenire senza una scelta decisa e
finanziariamente ingente in direzione di investimenti pubblici per lo
sviluppo di un'industria manifatturiera innovativa. Se gli amici
della Svimez mi consentono un'osservazione, non mi convince la
mancata individuazione del carattere di mera accelerazione della
spesa di progetti cantierabili già esistenti che hanno assunto i
Patti che si vanno concludendo con le Regioni e le città
metropolitane. Una dimensione di intervento meramente congiunturale
che è invece ben presente nelle critiche che all'attuazione del
Masterplan ha rivolto Gianfranco Viesti. E 'necessario, insomma,
concentrare gli investimenti su alcuni grandi drivers innovativi che
considerino il Sud, per le sue caratteristiche e per la collocazione
nel Mediterraneo, come una potenzialità non solo per l'Italia ma
per l'intera Europa, nel momento in cui l'Unione è chiamata a
rilanciare il proprio progetto politico e a prestare la massima
attenzione a quanto sta accadendo sulle sponde meridionale ed
orientale. In sostanza, la scommessa per il Mezzogiorno di domani si
gioca su una politica industriale innovativa, gestita in sintonia tra
il governo centrale e le Regioni, che inverta la tendenza al declino
industriale del nostro paese che dura ormai da quasi vent'anni ed è
cominciato prima della crisi.
E' la grande sfida che l'Italia è
chiamata ad affrontare utilizzando, come giustamente viene ricordato
anche le flessibilità negoziate con Bruxelles e della quale fa parte
anche il tema dell'attrazione degli investimenti esteri. Continuo a
coltivare dubbi sull'efficacia della proposta delle ZES in un
contesto come quello italiano. Nella presentazione romana è stato
annunciato che il testo completo del Rapporto dedicherà un capitolo
di merito all'esperienza polacca che viene proposta come esemplare
insieme a quella cinese. Attendo di leggerlo, sperando mi convinca
del mio torto, perché, come dice il proverbio, solo chi non ha idee
non cambia mai idea.
Ultimi articoli
- La marcia del 1983, si rinnova la sfida alla mafia
- Bagheria, consiglio
aperto sulla “marcia” - La nuova Cortina
di ferro grande campo
di battaglia - La riforma agraria che mancò gli obiettivi / 2
- Mattarella, leggi
di svolta dall'incontro
con il Pci - Mattarella fermato
per le aperture al Pci - La legalità vero antidoto per la cultura mafiosa
- Natale, un po' di rabbia
e tanta speranza
nella cesta degli auguri - Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1 - La legge bavaglio imbriglia l'informazione