La Sicilia passeggiata di Consolo nelle foto di Leone
“La vita o si vive o si scrive”. Parafrasando il Pirandello de “Il fu Mattia Pascal”, anche la Sicilia la si vive o si ammira nei libri. Come quello di rara bellezza pubblicato dall’editore Mimesis, “La Sicilia passeggiata”, con un testo di Vincenzo Consolo e fotografie di Giuseppe Leone (pag. 176, euro 16.00). Il volume, curato dal professore Gianni Turchetta, è inserito nella collana “Sguardi e visioni” diretta da Francesca Adamo. Il libro è la riproposizione arricchita di una prima edizione presentata in occasione della 42a edizione del Premio Italia, tenuto a Palermo nel settembre del 1990. Il titolo muove da un’opera secentesca di Ambrogio Maia. Sono pagine connaturate da un ritmo gioiosamente mozartiano. Un continuo rimando tra la scrittura ipnotica e onirica di Vincenzo Consolo e lo stupore affatturante delle immagini di Giuseppe Leone. La filosofia che sottende questa pubblicazione alberga nelle parole dello scrittore siciliano: «Io non so che voglia sia questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di percorrere ogni lato, ogni capo della costa, inoltrarmi all’interno, sostare in città e paesi, in villaggi e luoghi sperduti, rivedere vecchie persone, conoscerne nuove. Una voglia, una smania che non mi lascia star fermo in un posto. Non so. Ma sospetto sia questo una sorta di addio, un volerla vedere e toccare prima che uno dei due sparisca».
Il libro svela una Sicilia sognante, forse illusoria, popolata da monumenti, chiese, piazze, paesaggi, un continuo racconto di prodigi, sortilegi, incantamenti.
«Da molti anni speravo di ripubblicare “La Sicilia passeggiata” – sottolinea Gianni Turchetta, docente di Letteratura italiana all’università Statale di Milano e curatore dell’opera completa di Vincenzo Consolo per i Meridiani della Mondadori - Mi piace ricordare subito come anche Caterina, la compagna di una vita di Vincenzo Consolo, lo desiderasse molto. Benché rimasto appartato, e conosciuto quasi solo dagli specialisti, questo testo, esercita sul lettore una seduzione intensa, fatta di leggerezza e profondità, dinamismo e erudizione. Queste qualità sono rilanciate e riecheggiate a ogni pagina dalla forza vibrante e dalla fulminea capacità di condensazione visiva e simbolica delle foto di Giuseppe Leone».
Grazie anche al contributo di Claudio Masetta Milone, è stato possibile recuperare le postille al testo di Consolo che hanno consentito non solo di ampliarlo materialmente, ma anche contribuito a spostare l’intonazione verso l’alto. Questa nuova edizione si avvale di una appendice fotografica integrativa, oltre cento immagini firmate dal celebre fotografo ragusano.
«Questo libro, grazie al testo di Consolo è tra i più belli che io abbia mai pubblicato – commenta Giuseppe Leone – Ricordo ancora, con intensa emozione, le lunghe conversazioni con Vincenzo nella sua casa di via Volta a Milano. Abbiamo scelto con cura le immagini che compongono questo racconto fotografico. Ancora oggi, sfogliando queste pagine, assumono un’intensità di rara bellezza, soprattutto in questo triste momento di crisi mortale dell’editoria d’arte Sono felice di aver firmato questo volume, lo interpreto come un omaggio dovuto in ricordo di un grande scrittore, un artista raro, un intellettuale contro»
Il testo di Consolo è una narrazione che fonde felicemente poeticità e saggismo. L’autore de “Il sorriso dell’Ignoto marinaio”, dal suo esilio milanese, la sua aspra Tauride, evoca una Sicilia sognante: «Sospinti dal vento, immaginiamo d’approdare sulla costa siciliana tra Thapsos e Megara Hyblaea, dove gli uomini dell’età del bronzo costruirono villaggi, dove giunsero i coloni di Micene, Megara Nisea, Calcide, Corinto; oppure d’inoltrarci nel golfetto, più in su di punta Izzo»
Questo
è l’attacco consoliano, marcato a ogni passo dai verbi di moto, in
una continua sosta e ripartenza: «Siamo giunti: all’Ànapo che
gorgoglia sonoro tra le gole di Pantàlica. Perché è da qui che
vogliamo partire, per un nostro viaggio, per una nostra ricognizione
della Sicilia, per inventarci, liberi come siamo da confini di
geografia, da limiti d’epoca storica o da barriere tematiche, un
modo, tra infiniti altri, per conoscere quest’isola al centro del
Mediterraneo, questo luogo d’incrocio d’ogni vento e assalto,
d’ogni dominio e d’ogni civilizzazione».
Una scrittura che
si invola e rapisce, questa era la cifra caratteristica dello
scrittore di Sant’Agata di Militello. Un’elencazione ipnotica,
dalle sonorità antiche e mediorientali, un’architettura
linguistica ineguagliabile, perfetta, tonda e fratta allo stesso
tempo, come certe partiture musicali. Un innesto continuo da saggio
storico, trattato di botanica, esposto di archeologia. Quello
proposto è un viaggio in verticale attraverso le stratificazioni
storiche della Grande Isola. Come era già accaduto in uno dei
romanzi più noti di Consolo, quel “Retablo” che vede
protagonista Fabrizio Clerici, un pittore lombardo giunto in una
Sicilia di una vago Settecento. Consolo e Leone, in questo libro,
come Clerici e Isidoro, intraprendono un viaggio da oriente a
occidente, dal Mito alla storia. Le pagine più intense sono quelle
dedicate a Palermo, l’approdo finale: «Rossa, Palermo, come
immaginiamo fosse Tiro o Sidone, fosse Cartagine, com’era la
porpora dei Fenici; di terra rossa e grassa, con polle d’acqua, da
cui alto e snello, pieghevole ai venti, s’erge il palmeto fresco
d’ombra, eco e nostalgia di oasi, verde moschea, tappeto di ristoro
e di preghiera, immagine dell’eterno giardino del Corano».
La bellezza ineffabile della Sicilia è quella intrappolata nei fotogrammi di Leone e incastonata nelle parole di Consolo. Una magarìa che si contrappone alla quotidianità, quella dei processi di imbarbarimento, delle perdite, degli orrori, del degrado, della corruzione, della cupezza.
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