La rivolta dei docenti contro Renzi viene dal cuore
6 maggio 2015
Ho voluto partecipare il 5 maggio, da dirigente sindacale in pensione, al corteo palermitano contro la riforma della scuola. Conosco abbastanza le piazze siciliane per affermare, senza tema di essere smentito, che si tratta di una delle più affollate manifestazioni degli ultimi dieci anni. Tuttavia ciò che mi ha colpito non è stato tanto il numero quanto la qualità delle donne e degli uomini che partecipavano: essa per una percentuale significativa differiva dalle usuali platee delle manifestazioni sindacali. C'erano gli studenti, era presente qualche delegazione di categorie operaie, ma -questo è il dato di novità- per le strade di Palermo hanno sfilato quelli che nella scuola ci lavorano.
- Il mondo della scuola è variegato, sia professionalmente che dal punto di vista politico, ma si tratta in gran parte del “ceto medio riflessivo “ che costituisce una quota tutt'altro che secondaria del consenso del centrosinistra in Italia. Non è un mondo unitario, anzi è attraversato da interessi e opinioni diversificate; ciononostante ha nel suo complesso subito la progressiva svalutazione che nel nostro paese ha investito la scuola pubblica. I nostri insegnanti sono i peggio pagati d'Europa, hanno una carriera “piatta”che deprime le abilità professionali, l'aggiornamento è in genere affidato alla loro buona volontà, passano di ruolo tardi e dopo lunghi ed umilianti percorsi nella giungla delle varie forme di precarietà creata dall'affastellarsi di una legislazione contraddittoria, che ha aggrovigliato la loro condizione lavorativa.
- A questo mondo la riforma ha proposto in sostanza la rinuncia all'autonomia conseguente alla condizione di pubblici impiegati , la destrutturazione degli organismi di autonomia scolastica, la subordinazione ad un ruolo del dirigente scolastico che sarebbe diventato anomalo per eccesso rispetto a quello che la legge configura per la dirigenza statale. Tutto ciò condito con la promessa, attuabile solo con un decreto legge mai emanato, di stabilizzare centomila precari, ma senza alcuna certezza di modificare i confusissimi percorsi d'ingresso nel mondo della scuola (ho due figli trentenni che stanno svolgendo il tirocinio formativo abilitante e vi assicuro che il racconto della loro esperienza mi ha confermato che siamo in presenza di un garbuglio di norme contraddittorie che rende oscuro il destino di giovani che hanno alle spalle mediamente vent'anni di studi). A un mondo tanto complesso e sofferente, una garbata signora che, avendo insegnato linguistica prima di diventare “ministra”, dovrebbe conoscere il significato delle parole, ha dato dello “squadrista” e un giovane sottosegretario – che conosco da molti anni – ha spiegato che hanno scioperato perché ingannati da chi diffonde paure immotivate. Ma vi pare il modo? Eviterò di polemizzare anch'io con Davide Faraone, ma vorrei sommessamente riflettere con lui su due questioni. La prima è che non esiste una democrazia che possa cambiare se stessa senza conflitto. Roberto M. Unger, filosofo brasiliano sostenitore dello “sperimentalismo democratico” e già ministro di Lula, ha scritto che il “ l'intensificarsi del conflitto...fa vacillare i presupposti di appartenenza comune e di possibilità trasformativa e rimodella il concetto di interesse di gruppo... (ma)...anche l'interesse di gruppo più rigidamente concepito può essere difeso con due diverse strategie.
- Una si aggrappa alla posizione ed alle prerogative attuali del gruppo...l'altra ... fa causa comune contro (i gruppi) superiori. Questi due metodi hanno implicazioni radicalmente diverse. Mentre il primo riafferma l'ordine stabilito, il secondo prima o poi lo sfida“ (Roberto Mangabeira Unger, Politics, Roma 2015). I giovani esponenti del governo Renzi non perderebbero il loro tempo se cercassero nel dibattito in corso sul futuro del riformismo a livello internazionale, la conferma di una regola contro la quale hanno impattato in passato tutti i tentativi della sinistra di governo di cambiare l'Italia: non si fanno le riforme senza coloro che si vuole rappresentare, tanto meno contro di essi. La seconda osservazione è che nella società italiana, dopo anni di pessimismo e di individualismo dominanti, ricompare la capacità di scendere insieme in piazza a difendere le proprie ragioni: non dobbiamo temere il conflitto sociale gestito nella forme della democrazia, ma far nostra l'idea che il modo giusto per farlo sviluppare in una direzione positiva è l'individuazione di obiettivi chiari e largamente condivisi intorno a cui realizzare la massima unità possibile. E' questo, a me pare, il segno del movimento che si sta costruendo nella scuola; al paese serve che duri e produca risultati. Il 5 maggio si è ben seminato; se son rose fioriranno.
Franco GarufiLa protesta continua: boicottate le prove invalsi
Prosegue la protesta in Sicilia contro la riforma della scuola del governo Renzi. Dopo lo sciopero generale di ieri, stamani in alcune scuole di diverse città dell'isola i genitori non hanno mandato i proprio figli a scuola boicottando così le prove Invalsi. Il tam tam in molti casi è avvenuto sui social network, con gruppi di madri e padri che hanno concordato le azioni, condividendo così la protesta dei docenti. Aula semivuote nella direzione didattica Partanna Mondello, a Palermo, nei plessi di Santocanale, Riso, Pascoli e Gregorio. «Abbiamo protestato - dice Lino Galioto, genitore di un alunno - per manifestare contro questa riforma della scuola che penalizza i nostri figli creando scuole di serie A e di serie B. Siamo rimasti lì dalle 7,50 fino alle 8,30. Il tempo necessario per aprire e chiudere le porte». A Palermo le prove Invalsi sono state boicottate anche nelle scuole Corrao, Nino Bixio e Ilaria Alpi, Cavallari, Sava, Monte Iblei, Pitrè e nella Direzione didattica Nazario Sauro, comprese le due succursali. Stessa protesta anche a Ficarazzi, in provincia di Palermo. «Noi non ci stiamo - dicono i genitori - perchè la scuola deve continuare ad essere pubblica e non parametrata a indicatori economici che ne sviliscono la missione. Noi non vogliamo che sia definitivamente smantellata l'istruzione pubblica con scelte che privilegiano gli imprenditori dell'istruzione privata». La referente regionale delle prove Invalsi Maria Rosa Turrisi spiega che al momento non c'è un dato complessivo su quanti istituti abbiano eseguito regolarmente le prove e in quanti non si siano svolte. «Stiamo parlando di grandi numeri. Sono circa mille le classi nelle quali si dovevano svolgere le prove - spiega la responsabile - So che ci sono stati istituti che hanno regolarmente svolto le prove. Numeri complessivi non se ne possono avere».
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