La rivincita dei documentari al cinema

Cultura | 10 marzo 2015
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Triangle (2014) di Costanza Quatriglio

Costruendo su un parallelismo supportato da un montaggio per contrasto e da una sofisticata scelta linguistica (immagini sdoppiate di un New York degli inizi ‘900 per riprodurne, con filmati di repertorio, la vertiginosa verticalità architettonica e l’originale formato quadrato dei primi documenti visivi, alienanti catene di montaggio mostrate congiuntamente ad una sorta di “sinfonia delle macchine”, scene di vita quotidiana…) Costanza Quatriglio riprende la doppia tragedia della fabbrica americana di tessuti “Triangle”, avvenuta nel 1911 (dove in un incendio morirono circa 150 operaie) e quella verificatasi cento anni dopo a Barletta nel 2011 per il crollo di un edificio (cinque morti, quattro dei quali lavoratrici a cottimo).

Attraverso testimonianze verbali e scritte del tempo (dopo la tragedia newyorkese, anche sulla scorta delle manifestazioni operaie, le condizioni di lavoro cominciarono a mutare in meglio), quindi in particolare quella d’una lavoratrice sopravvissuta alla sciagura di Barletta, Quatriglio “scava” - ma limitandosi ad “ascoltare” (parole della stessa regista) - sui dubbi e gli interrogativi esistenziali dell’operaia superstite ma altresì sulle ragioni d’una accettazione consapevole e della dignitosa difesa da parte della stessa di condizioni di lavoro comunemente ritenute inaccettabili (cottimo privo di contribuiti, familiarità con il “padrone” paternalisticamente visto come componente d’una “famiglia”, in quanto egli stesso lavoratore e non semplice sorvegliante).

Il docufilm finisce così per invertire in soggettiva consolidati impianti ideologici, fornendo uno spaccato inedito e problematico d’una realtà spesso troppo semplicisticamente appiattita in schemi preconcetti. Una coraggiosa ricerca di “oggettività” che valorizza l’opera dell’ormai pluripremiata Quatriglio (vincitrice lo scorso anno al TorinoFilmFest del premio “Cipputi”) la cui filmografia - ricca anche d’un suggestivo e intenso lungometraggio (“L’isola”, 2003) - con quest’ultimo “Triangle”, prodotto dal LUCE e miracolosamente filtrato nelle sale, conferma le non comuni doti d’osservazione, la maturità tecnica ed estetica, della regista palermitana che scandagliando fondamenti e ragioni del vivere contemporaneo (organizzazione del lavoro e diritti dei lavoratori in testa) pone inquietanti ed irrisolti interrogativi, non troppo dissimili dalla pasoliniana denuncia d’una civiltà sbagliata culminante nella sconfortante (ma profetica) distinzione tra sviluppo e progresso.

Gesù è morto per i peccati degli altri (2014) di Maria Arena

Muri srucinati, case diroccate, vicoli maleodoranti, transessuali “in mostra” su usci aperti che schiudono a sguardi fuggenti misere bicocche, “buttane”, lucciole senza luce come fantasmi sopravvissuti d’un passato remoto, immobile, pietrificato. Testimonianza purulenta, ferita ancora sanguinante nel cuore antico d’una Catania sprofondata. Si mostrano così - ai catanesi ormai indifferenti al crudele scempio edilizio compiuto alla fine dei lontani anni ‘50 - gli esangui resti del devastato San Berillo vecchio, quartiere storico sventrato e violentato (con successivo biblico trasbordo coatto di oltre 30 mila abitanti in lontane periferie) da una rapacità edilizia pari alla feroce cupidigia descritta da Rosi nel suo indimenticabile “pamphlet” del 1963 “Le mani sulla città”, sacco criminale dell’altra martoriata Napoli.

Così uno dei più grandi scandali urbanistici d’Europa - oggi assorbito, dimenticato, neutralizzato, da una città sonnolenta che fagocita il suo passato, ha cancellato il centro cittadino del capoluogo etneo per far spazio ad una modernizzazione (legata ad altri scandali) concepita dai pubblici poteri come distruzione dell’esistente. Maria Arena, regista teatrale e cinematografica, documentarista, docente di Digital Video presso L’Accademia di Belle Arti di Catania e alla Scuola di Nuove Tecnologie dell’Arte di Brera Milano, posa ora uno sguardo tagliente, lucido, al contempo tragico e lieve (alle volte persino divertente), sull’odierna realtà di quel che resta dell’antico San Berillo, un gruppo di casupole schiacciato dalla paurosa cementificazione susseguente allo sventramento, promuovendo a protagonisti del suo ultimo lavoro - “Gesù è morto per i peccati degli altri” (presentato in anteprima al cinema “King” di Catania e candidato nella sezione “Panorama” al Festival dei Popoli di Firenze) - un gruppo di emarginati.

Spiandone le misere esistenze e penetrandone essenze, aporie, contraddizioni, credenze, rapporti familiari, inaspettate moralità, inattesi rigori etici, religiosità, fede e spontanea solidarietà tra reietti (anche proiettata nel sociale), Maria Arena reagisce all’impulsivo ripudio collettivo, restituendo all’emblematico gruppo di protagonisti della sua storia una dignità negata e alla smemorata città di Catania un tratto esiziale del suo martirizzato passato prossimo. Prodotto dalla “Invisibile Film”, autrici in tandem la stessa Arena e Josella Porto anche del soggetto e della sceneggiatura, colonna sonora di musicisti catanesi, il docufilm si avvale di una distribuzione indipendente che lo porterà a marzo nelle sale delle principali città d’Italia.

Sul vulcano (2014) di Gianfranco Pannone

Un fatalismo attivo, una rassegnazione consapevole, domina la storica ostinazione delle migliaia di partenopei abbarbicati sulle pendici dell’incombente e pericolosissimo Vesuvio, tutt’intorno devastato dalla “concentrazione demografica più alta d’Europa”, come spiega una guida agli atterriti ed esterrefatti turisti. Croce e delizia d’un orrido e meraviglioso lembo di Campania, il gigante Vesuvio è al centro della riflessione “morale” dell’ultimo documentario del regista Gianfranco Pannone (anche soggettista e sceneggiatore, insegnante al DAMS, all’Università degli Studi Roma 3 e al Centro Sperimentale di Cinematografia, saggista e autore) napoletano trapiantato a Roma, Pannone decifra - attraverso alcune emblematiche figure ricorrenti (una giovane cantante neomelodica, una floricultrice, Matteo) ed altri locali - il rapporto degli stanziali con il vulcano, da sempre ondeggiante tra la non rimossa - ma latente - paura del risveglio e la cognizione d’un privilegio ambientale, quello di vivere in un territorio (per quanto sfregiato dalla lebbra cementizia) pressoché unico al mondo.

 Linguisticamente interessante la sfasatura tra intervista e immagine (spesso gl’intervistati vengono mostrati con la loro stessa voce fuori campo) - prodotto da RAI Cinema, Istituto LUCE e Blue Film - “Sul vulcano” gode (oltre che dell’apporto di terrificanti immagini di repertorio sulle distruzioni compiute dalle eruzioni) dell’apporto letterario corale di una serie di scrittori che sul Vesuvio hanno scritto pagine appassionate e indimenticabili componimenti - da Plino il giovane a Curzio Malaparte, da Matilde Serao a Giacomo Leopardi - recitate sempre fuori campo da una nutrita pattuglia di sperimentate voci narranti (Toni Servillo, Donatella Finocchiaro, Fabrizio Gifuni, Leo Gullotta, Iaia Forte, Enzo Moscato, Renato Carpentieri, Aniello Arena) e d’una triade di “testimoni” (Maria Perfetto, Matteo Fraterno e Yole Loquercio). Non sottovalutate le annose problematiche sociali (disoccupazione, droga, delinquenza…) d’un’area metropolitana sempre più vicina al collasso. Distribuzione claudicante nelle sale cinematografiche (come spessissimo avviene per il documentarismo, nonostante la resurrezione del genere negli ultimi tre lustri), ma visibilità assicurata al grande pubblico con alcuni sicuri passaggi televisivi futuri.

 di Franco La Magna

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