La ripresa c'è ma non diminuiscono le diseguaglianze

Economia | 19 dicembre 2015
Condividi su WhatsApp Twitter

Siamo alla fine del “secolo socialdemocratico” (come scrisse qualche anno fa Ralf Dahrendorf) che ha saputo conciliare nei paesi occidentali crescita economica, benessere sociale e diritti civili? Nel momento in cui, dopo sette anni, si stanno registrando segni di inversione della recessione economica, non possiamo non osservare con preoccupazione la loro debolezza nelle aree meridionali dell’Ue e soprattutto nel Sud d’Italia. La ripresa c’è, ma non diminuiscono le diseguaglianze; le politiche d’austerità dell’Ue hanno provocato una diffusione dei populismi senza che le sinistre europee sappiano rendere credibili politiche alternative.

In Italia, il risanamento del debito pubblico non è accompagnato da forti investimenti per lo sviluppo, mentre il recente caso di salvataggio di quattro piccole banche ha messo a nudo come il capitalismo finanziario di debito si è affacciato anche nel nostro paese. La domanda che poniamo riguarda il dopo questa fase non volendo rinunciare alla speranza di un futuro migliore.

Senza una politica alternativa credibile della sinistra si afferma il populismo di Le Pen, per ora fermato, ma che è stato votato anche da masse lavoratrici fino a ieri a sinistra; senza una visione strategica dello sviluppo mondiale che superi i divari tra paesi sviluppati e sottosviluppati, che avvii una politica globale per l’ambiente e l’energia per rimuovere le cause nazionali e internazionali della povertà e della fame, sarà impossibile superare i conflitti d’area e sconfiggere la politica terroristica del Daesh.

Nel nostro piccolo già sin dall’inizio del 2015 con la proposta di legge d’iniziativa popolare contro la povertà avevamo messo il dito nella piaga del ritardo di sviluppo della Sicilia e del Meridione. I dati allarmanti sono stati, via via, confermati dal Rapporto Svimez, dai rivelamenti aggiornati dell’Istat e ora più recentemente dalle indagini sul sistema universitario, della Fondazione Res, e sulla situazione sociale, del Censis. Il divario tra Nord e Sud, in termini di prodotto pro-capite si è allargato, il Meridione non sembra partecipare alla ripresa. Il Sud, dal 2008 al 2014, ha perso ben 576.000 unità di lavoro sul totale di 811.000 perse dal paese. Nel Sud l’occupazione dei giovani si riduce; tra i giovani di 15/34 anni risulta occupato uno su quattro, per quanto riguarda le donne una su cinque. Nel Centro Nord il 50,4% delle persone è collocato nei due quinti più ricchi, nel Mezzogiorno il 61,7% si colloca nei due quinti più poveri. Non per caso la povertà assoluta al Sud è quasi doppia di quella al Centro Nord: 10,5% contro 5,6%. Al rischio povertà nel Centro Nord è esposto un individuo su dieci, al Sud uno su tre.

D’altra parte avendo indebolito, con le politiche di austerità e con i tagli alla spesa pubblica, i processi di accumulazione del capitale umano, sociale ed economico della società meridionale, sono scomparse decine di migliaia di imprese, i giovani rinunciano a studiare e a cercare lavoro, o emigrano.

Tutte le indagini sin qui citate concordano sulla necessità che un rilancio delle politiche di sviluppo passa attraverso gli investimenti nell’innovazione, formazione e conoscenza intrecciati con gli interventi di una nuova infrastrutturazione, cioè per una politica attiva di sviluppo, occorrano politiche di sistema interconnesso.

La logistica, la rigenerazione urbana e ambientale, rilanciata dall’accordo di Parigi sul clima, la riqualificazione urbanistica, l’industria culturale, l’agroalimentare, l’agroindustria, la desertificazione industriale, necessitano di politiche economiche, sociali e industriali rinnovate nel processo e nei prodotti.

Solo organizzando il confronto con le forze sociali, culturali, economiche dell’Isola e del Sud i governi regionali e nazionali e un rinnovato centrosinistra potranno dare concretezza al bisogno di speranza e di lavoro. 
 di Vito Lo Monaco

Ultimi articoli

« Articoli precedenti